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Muore il figlio della compagna: il convivente può essere risarcito?

Famiglia - -
Muore il figlio della compagna: il convivente può essere risarcito?
Il "compagno di fatto" viene risarcito solo se è provata l'esistenza di una "famiglia di fatto" poichè deve sussistere una relazione affettiva stabile e duratura.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8037 del 21 aprile 2016, si è occupata di un interessante caso di risarcimento del danno richiesto dal compagno di fatto della madre della vittima di un sinistro stradale.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto al compagno di fatto della madre della vittima di un sinistro stradale.

La condannata, proponeva, dunque, ricorso in Cassazione, rilevando come il compagno di fatto, non essendo né padre della vittima né convivente della madre, “non aveva titolo per pretendere il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza della morte della figlia della propria compagna”.

La Corte d’Appello, dunque, avrebbe violato l’art. 2059 codice civile, “il quale consente il risarcimento del danno non patrimoniale nei soli casi previsti dalla legge”.

La Cassazione riteneva, effettivamente, fondato tale motivo di ricorso.

In particolare, la Corte rilevava come “il "danno" in senso giuridico consiste nella perdita derivante dalla lesione d'una situazione giuridica soggettiva (diritto od interesse che sia) presa in considerazione dall'ordinamento” e per “situazione giuridica "presa in considerazione" dall'ordinamento” deve intendersi “quella alla quale una o più norme apprestino una qualsiasi forma di tutela”,

Di conseguenza, secondo la Corte, se “una situazione o rapporto di fatto non è tutelato in alcun modo dall'ordinamento, la lesione di esso non costituisce un danno risarcibile”.

Nel caso di specie, la Corte d'appello aveva, pertanto, erroneamente ritenuto che “la persona la quale conviva more uxorio con la madre di persona deceduta per colpa altrui abbia diritto, per ciò solo, al risarcimento del danno non patrimoniale sofferto in conseguenza dell'uccisione”.

Tuttavia, tale affermazione “contrasta con i principi che regolano il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c.”, dal momento che tale relazione di convivenzaè di per sè irrilevante ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale” per l’uccisione del figlio della compagna.

Infatti, osservava la Cassazione, “sebbene possa in teoria ammettersi che tra il figlio d'una donna che abbia una relazione more uxorio e il compagno della madre possano crearsi vincoli affettivi anche profondi, nondimeno quel che rileva ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale da rottura d'un vincolo affettivo non è la mera esistenza di quest'ultimo, ma la sua rilevanza giuridica”.

Ebbene, “il rapporto affettivo tra il figlio del partner e il compagno del suo genitore può dirsi rilevante per il diritto quando si inserisca in quella rete di rapporti che sinteticamente viene qualificata come famiglia di fatto. Solo in questo caso, infatti, può dirsi costituita una "formazione sociale" ai sensi dell'art. 2 Cost., come tale meritevole di tutela anche sotto il profilo risarcitorio”.

In proposito, però, occorre precisare che per parlare di “famiglia di fatto”, non è sufficiente che delle persone convivano, in quanto risulta necessario che sussistano tutta una serie di indici presuntivi, quali la risalenza della convivenza, la continuità delle frequentazioni, la reciproca assistenza e l’assunzione concreta, da parte del “genitore di fatto”, di tutti i diritti e doveri che incombono in capo al “genitore di diritto”.

La stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo, infatti, ha precisato come la nozione di "vita familiare" può comprendere anche delle relazioni familiari di fatto, “purchè ricorrano un certo numero di elementi, quali il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni, nonchè il ruolo assunto dall'adulto nei confronti del bambino" (Corte EDU CEDU 27.4.2010, Moretti e Benedetti c. Italia, 48).

Secondo la Cassazione, invece, la sentenza impugnata non aveva preso in considerazione questi elementi, “limitandosi a statuire che tra il convivente more uxorio del genitore della vittima e quest'ultima sussistesse una relazione familiare di per sè, in virtù dell'accertamento del solo rapporto di convivenza tra l'attore e la madre della vittima”.

Di conseguenza, appariva falsamente applicato l’art. 2059 codice civile, essendo stato “liquidato un danno non patrimoniale senza previamente accertare se sussistessero tutte le condizioni richieste dalla legge”.

La Corte pertanto, in accoglimento del ricorso presentato, annullava la sentenza, ribadendo il principio di diritto secondo cui “la sofferenza provata dal convivente more uxorio, in conseguenza dell'uccisione del figlio unilaterale del partner, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se sia dedotto e dimostrato che tra la vittima e l'attore sussistesse un rapporto familiare di fatto, che non si esaurisce nella mera convivenza, ma consiste in una relazione affettiva stabile, duratura, risalente e sotto ogni aspetto coincidente con quella naturalmente scaturente dalla filiazione”.


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