Il mondo del lavoro europeo è stato scosso da una sentenza senza precedenti. L'11 settembre 2025, la
Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha pronunciato la
causa C-38/24, stabilendo un principio che rivoluziona completamente l'approccio alla discriminazione sul posto di lavoro. La decisione è chiara e dirompente:
la tutela contro la discriminazione fondata sulla disabilità non appartiene esclusivamente alla persona disabile, ma si estende automaticamente a chi fornisce assistenza essenziale ai propri cari con disabilità grave riconosciuta ai sensi secondo l’art. 3 comma 3 della Legge 104/1992.
Questa pronuncia rappresenta un vero cambio di paradigma nel diritto antidiscriminatorio. Fino a oggi, la protezione legale si concentrava su categorie di persone definite da uno
status specifico: essere disabile, appartenere a una minoranza, avere determinate caratteristiche personali. La
Corte del Lussemburgo ha spostato radicalmente il
focus: ora si protegge non solo lo
status, ma anche la
funzione sociale del caregiver familiare che assiste persone con disabilità grave.
I lavoratori che assistono familiari non autosufficienti acquisiscono così un diritto nuovo e potente che si aggiunge alle tutele già previste dalla normativa italiana: quello di
richiedere e ottenere accomodamenti ragionevoli sul posto di lavoro, come modifiche dell'orario, cambi di turno o riorganizzazioni delle mansioni per conciliare professione e cura familiare. Questo nuovo diritto si somma ai
permessi retribuiti mensili (3 giorni), al
congedo straordinario biennale retribuito, alla s
celta prioritaria della sede di lavoro e al
rifiuto del trasferimento già garantiti dalla
Legge 104.
La sentenza colpisce direttamente quella che può essere definita "discriminazione indiretta", ovvero quella che si nasconde dietro regole aziendali apparentemente neutrali e uguali per tutti, come l'obbligo di turnazione rigida, ma che di fatto penalizzano sproporzionatamente chi ha esigenze di cura non negoziabili verso familiari con disabilità grave. La Corte, interpretando estensivamente la direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento, ha stabilito che il principio di non discriminazione vieta qualsiasi forma discriminatoria, sia diretta che indiretta.
La battaglia di una madre italiana che ha fatto storia
Dietro questa rivoluzione giuridica c'è la tenacia di una singola
lavoratrice italiana, la cui battaglia personale ha innescato un cambiamento a livello europeo. Protagonista della vicenda è un'addetta alla sorveglianza della metropolitana di Roma, madre di un
figlio minore con grave disabilità che richiede cure e terapie costanti nel pomeriggio. La sua richiesta era tanto semplice quanto vitale:
ottenere la stabilizzazione di un turno fisso al mattino per poter essere presente quando il figlio aveva bisogno delle sue cure, un'esigenza che andava oltre i tradizionali permessi mensili già utilizzati secondo la normativa vigente.
Di fronte al
rifiuto dell'azienda di rendere permanente questa soluzione lavorativa, nonostante il suo
status di caregiver di persona con disabilità grave, la donna ha intrapreso un
percorso legale lungo e difficoltoso. Sconfitta nei primi due gradi di giudizio, non si è arresa. Il caso è arrivato fino alla
Corte di Cassazione, dove i giudici italiani hanno immediatamente compreso la portata della questione. Invece di limitarsi a decidere sulla base della sola legislazione nazionale,
hanno riconosciuto un dubbio interpretativo sul diritto dell'Unione e hanno fatto ricorso al rinvio pregiudiziale, interpellando direttamente la Corte di Giustizia UE.
Questa mossa strategica ha trasformato una battaglia individuale in una questione di principio per l'intera Europa, generando una sentenza i cui effetti si propagheranno automaticamente in tutti i 27 Stati membri dell'Unione. La vicenda dimostra come spesso le grandi rivoluzioni giuridiche nascano da battaglie personali di individui che non si rassegnano alle ingiustizie e decidono di lottare fino in fondo per i propri diritti.
Gli obblighi concreti per i datori di lavoro
La sentenza europea non lascia margini di interpretazione ambigua:
il datore di lavoro ha un obbligo positivo di agire quando un dipendente caregiver familiare di persona con disabilità avanza richieste di adattamento lavorativo. Non può più trincerarsi dietro un rifiuto automatico basato sulla rigidità dell'organizzazione aziendale. Al contrario, deve necessariamente
avviare un dialogo costruttivo con il lavoratore e valutare attivamente l'adozione di accomodamenti ragionevoli. L'
articolo 5 della direttiva 2000/78, finora applicato quasi esclusivamente ai lavoratori con disabilità diretta, si estende ora
de facto anche ai caregiver familiari che assistono persone con disabilità grave.
Le soluzioni possibili sono molteplici e devono essere esaminate caso per caso. Tuttavia, l'obbligo aziendale non è assoluto, ma è bilanciato dal principio di proporzionalità. Un datore di lavoro può rifiutare un accomodamento richiesto solo se riesce a dimostrare concretamente che questo comporterebbe un onere sproporzionato per l'azienda.
La Corte ha specificato che la valutazione deve essere rigorosa e basata su fattori oggettivi verificabili: impatto finanziario reale, dimensioni e risorse effettive dell'azienda, possibilità di ottenere sostegni pubblici per implementare la soluzione. L'onere di dimostrare questa sproporzione ricade interamente sull'azienda, che deve produrre prove concrete e documentate. Non bastano più affermazioni generiche come "è complicato" o "non si è mai fatto": serve una dimostrazione circostanziata di come quella specifica richiesta comprometterebbe la sostenibilità organizzativa o economica dell'impresa.
Una rivoluzione che tocca milioni di europei
Questa storica sentenza avrà un impatto diretto su milioni di persone in tutta Europa. In Italia, la platea dei beneficiari comprende tutti coloro che, secondo la Legge 205/2017, si identificano come caregiver familiari, ma con un focus particolare su chi assiste familiari con disabilità. Si tratta del caregiver familiare che si prende cura e assiste un familiare - coniuge, partner di unione civile, parente o affine entro il secondo grado - che ha ottenuto il riconoscimento di handicap in situazione di gravità, condizione che già oggi garantisce l'accesso a diverse agevolazioni e tutele previste dalla normativa italiana.
I prossimi passi sono già tracciati e inevitabili. Innanzitutto, la Corte di Cassazione italiana dovrà decidere il caso specifico della lavoratrice della metropolitana di Roma applicando questo nuovo principio giuridico. La decisione farà giurisprudenza e tutti i giudici nazionali dovranno conformarsi a questa interpretazione nelle future controversie. L'impatto si estenderà rapidamente alla contrattazione collettiva, spingendo sindacati e aziende a inserire nei contratti di lavoro clausole specifiche per la tutela dei caregiver, che si andranno ad aggiungere alle previsioni già esistenti per i lavoratori che assistono familiari con handicap grave.
Si apre così una nuova frontiera per il diritto del lavoro europeo, una che finalmente riconosce che un lavoratore non è soltanto una risorsa produttiva, ma una persona complessa inserita in una rete di affetti, responsabilità familiari e doveri di cura verso persone con disabilità grave. I caregiver familiari acquisiscono ora un ulteriore e potentissimo strumento: il diritto agli accomodamenti ragionevoli, che completa e potenzia il quadro normativo di protezione esistente.