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Lavoratore in malattia per "disturbo dell'adattamento": può svolgere altra attività lavorativa?

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Lavoratore in malattia per "disturbo dell'adattamento": può svolgere altra attività lavorativa?
Secondo la Cassazione la simulazione di malattia può giustificare il licenziamento ma solo se la stessa venga adeguatamente provata.
E’ del 19 dicembre 2017, una interessante sentenza della Corte di Cassazione in materia di diritto del lavoro e di licenziamento disciplinare.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Modena aveva respinto la domanda proposta da un lavoratore (autista di pullman), volta a far accertare l’illegittimità del licenziamento disciplinare che gli era stato intimato dalla propria datrice di lavoro (azienda municipalizzata di trasporto urbano).

Nello specifico, il lavoratore era stato licenziato - ai sensi dell’art. 45 del Regio Decreto n. 148 del 1931 - a seguito di una contestazione disciplinare, con cui gli era stato addebitato di aver “ripetutamente svolto attività lavorativa nella cartoleria tabaccheria della moglie per alcune giornate del settembre e dell’ottobre 2009”, durante il periodo di malattia, concesso per una presunto “disturbo dell’adattamento”.

La Corte d’appello di Bologna, tuttavia, aveva ribaltato la sentenza di primo grado, ritenendo che la “simulazione della malattia” ben può giustificare il licenziamento disciplinare ma, nel caso di specie, “l’attività discontinua limitata temporalmente nell’ambito della tabaccheria gestita dai familiari (…), alla luce della patologia di ‘disturbo dell’adattamento con sindrome mista’”, non consentiva di ritener provata la simulazione stessa, dal momento che quest’ultima attività richiedeva una capacità lavorativa del tutto diversa rispetto a quella oggetto del contratto di lavoro.

La società datrice di lavoro aveva, dunque, deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Osservava la società ricorrente, in proposito, che “una diagnosi di disturbo dell’adattamento (…), dovrebbe essere valutata alla stregua dei criteri clinici” e ciò non era avvenuto, non avendo la Corte d’appello considerato che “colui che è affetto in modo apprezzabile dal disturbo dell’adattamento non può lavorare e non ci riesce, trattandosi comunque di una reazione individuale ad un evento ritenuto stressante che compromette tout court la capacità lavorativa, sia che si lavori in un esercizio commerciale, sia che si svolga un’attività di autista di pullman”.

La Corte di Cassazione non riteneva tuttavia di poter accogliere le osservazioni della società datrice di lavoro e rigettava il ricorso, dichiarandolo inammissibile.

Evidenziava la Cassazione, infatti, che la Corte d’appello aveva, del tutto adeguatamente e motivatamente aveva ritenuto che il “disturbo dell’adattamento con sindrome mista”, da cui era affetto il lavoratore, non si poneva in contrastocon lo svolgimento anche discontinuo e limitato temporalmente di attività presso la tabaccheria di proprietà familiare, diversamente ritenendo invece con riferimento alla capacità di lavoro specifica connessa alla sua prestazione lavorativa di conducente di pullmann di linea”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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