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Il lavoratore in malattia può esercitare un'attività extra-lavorativa?

Lavoro - -
Il lavoratore in malattia può esercitare un'attività extra-lavorativa?
Se l’attività extra-lavorativa svolta dalla dipendente nel periodo di malattia non rallenta o impedisce la guarigione e il rientro al lavoro può essere liberamente esercitata.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15982 del 1 agosto 2016, si è occupata di un’interessante questione in materia di diritto del lavoro.

In particolare, se un lavoratore dipendente è in malattia, può esercitare, durante tale periodo, un’attività extralavorativa?

Nel caso esaminato dalla Cassazione, con la sentenza sopra citata, Poste Italiane aveva licenziato una dipendente, la quale aveva “esercitato una continua attività lavorativa extra­aziendale (…) in periodo di assenza dal servizio per infortunio”.

La Corte d’Appello, nell’accogliere l’impugnazione proposta dalla dipendente, aveva riformato la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento, ordinando “la reintegra dell’appellante nel posto di lavoro con la conseguente condanna risarcitoria”.

Secondo la corte d’Appello, in particolare, non poteva ritenersi provata la condotta addebitata alla dipendente, vale a dire “l’aver espletato un’attività lavorativa extra-aziendale atta ad impedire una sollecita guarigione, per cui doveva considerarsi insussistente la giusta causa dei licenziamento”.

In sostanza, secondo la Corte d’Appello, se l’attività extra-lavorativa svolta dalla dipendente nel periodo di malattia non è di natura tale da rallentare o impedire la guarigione e il conseguente rientro al lavoro, tale attività può essere liberamente esercitata.

Ritenendo la pronuncia di secondo grado ingiusta, Poste Italiane provvedeva a proporre ricorso per Cassazione, il quale, tuttavia, veniva rigettato.

Secondo Poste Italiane, infatti, ai sensi dell’art. 2697 codice civile, “una volta dimostrata l’assenza della lavoratrice e l’espletamento, da parte della medesima, dì attività esterna all’impresa nel periodo della assenza dal lavoro per infortunio, sarebbe spettato a quest’ultima provare la non incompatibilità dell’attività extra-aziendale col suo stato di malattia e coi prescritti riposi e cure”.

Nel caso di specie, invece, la Corte d’Appello, pur mancando tale prova, aveva ugualmente considerato le attività svolte dalla dipendente “come compatibili col suo stato di salute”.

Osserva la Cassazione, tuttavia, come la Corte d’Appello non aveva affatto violato i principi dettati dal legislatore in tema di ripartizione dell’onere della prova.

Infatti, la Corte aveva, del tutto adeguatamente, considerato le prove testimoniali offerte dalle parti, dalle quali non erano emersi elementi sufficienti a provare con certezza che la dipendente “avesse effettivamente espletato, durante il periodo in cui era stata assente dal lavoro a seguito dell’infortunio subito il 3.9.07, attività lavorativa presso il ristorante dei proprio compagno o che, comunque, avesse posto in essere attività tali da ritardare la relativa guarigione”.

Secondo la Cassazione, inoltre, andava osservato che l’attività extra-lavorativa esercitata dalla dipendente non appariva tale da comportare “una violazione delle prescrizioni di riposo e di cure impartite dai certificati medici, non trattandosi di attività richiedenti particolari sforzi, né lunga permanenza in piedi”.

La Corte d’Appello, peraltro, nel motivare la propria decisione, aveva richiamato il contenuto del parere medico-legale, “dal quale risultava che il periodo di inabilità temporanea certificato dai sanitari era sovrapponibile a quello determinato da lesioni dei tipo di quelle diagnosticate”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla ricorrente, condannando la medesima al pagamento delle spese processuali.



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