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ISEE 2026, penalizzato chi vive in affitto, aumenta la soglia di esenzione solo per la prima casa: ecco le novità

ISEE 2026, penalizzato chi vive in affitto, aumenta la soglia di esenzione solo per la prima casa: ecco le novità
Dal 2026 cambiano le regole per il calcolo dell'ISEE, ma c'è un problema: mentre sale la soglia di esenzione per la prima casa di proprietà, chi paga un canone di locazione resta penalizzato. Una disparità che colpisce proprio le famiglie più fragili, come denunciato nelle audizioni parlamentari del 6 novembre
La manovra di bilancio per il 2026 introduce modifiche significative al calcolo dell'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), ma lo fa in modo selettivo e potenzialmente discriminatorio. A partire dal 1° gennaio 2026, la franchigia per la prima casa di proprietà schizzerà da 52.500 a 91.500 euro, con un incremento ulteriore di 2.500 euro per ogni figlio oltre il primo che vive nel nucleo familiare. Si tratta di un cambiamento sostanziale, che alleggerisce il peso dell'immobile di proprietà nel calcolo dell'indicatore economico utilizzato per accedere a prestazioni sociali fondamentali come l'assegno di inclusione, il supporto formazione lavoro, l'assegno unico, il bonus asilo nido e il bonus nuovi nati.
Tuttavia, questa riforma presenta un'anomalia evidente: non prevede alcun adeguamento parallelo per chi vive in affitto, lasciando invariata la deduzione massima dal reddito fissata a 7.000 euro (con un incremento di 500 euro per ogni figlio dopo il secondo). L'articolo 47 del disegno di legge di Bilancio 2026 introduce, quindi, una modifica che rompe l'equilibrio originariamente previsto dalla riforma ISEE del 2013, creando una disparità di trattamento tra categorie di cittadini che si trovano in condizioni abitative diverse.
Le critiche degli organi di controllo: un trattamento di favore ingiustificato
Durante le audizioni sulla Manovra 2026 tenutesi il 6 novembre presso le Commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato, tre importanti istituzioni hanno sollevato perplessità sulle modifiche proposte. L'Ufficio Parlamentare di Bilancio ha definito questa scelta "un trattamento di favore di una categoria di beneficiari rispetto all'altra", sottolineando come venga alterato uno dei principi cardine dell'ISEE, ovvero la valorizzazione equivalente prevista per il costo dell'abitare indipendentemente dalla forma di godimento dell'immobile.
La Banca d'Italia, nella propria relazione, ha evidenziato che, aumentando la franchigia per la prima casa, si riduce artificialmente il peso del vantaggio economico di chi possiede l'abitazione rispetto a chi deve sostenere un canone di locazione mensile. L'istituto centrale ha, inoltre, ammonito che le modifiche all'ISEE dovrebbero essere effettuate con parsimonia, per non snaturare la funzione di misurazione dello strumento.
Anche la Corte dei Conti si è espressa criticamente sulla scelta di ritoccare i parametri modificando la logica interna di calcolo dell'Indicatore, soprattutto per quanto riguarda il delicato tema della valorizzazione della casa. Queste tre voci autorevoli convergono nel segnalare che la riforma rischia di compromettere l'equità di uno strumento pensato per misurare, in modo oggettivo e comparabile, la condizione economica delle famiglie italiane.
I numeri della povertà: chi vive in affitto è più fragile
I dati statistici forniti dall'Istat - e riportati nella relazione dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio - restituiscono un quadro chiaro della situazione abitativa italiana e rendono ancora più evidente l'iniquità della riforma. Nel 2024, il 18 per cento delle famiglie italiane viveva in abitazioni con contratti di locazione, mentre il 73,5 per cento risiedeva in case di proprietà e il restante 8,5 per cento in immobili in usufrutto o uso gratuito. Ma il dato più significativo riguarda l'incidenza della povertà assoluta: tra le famiglie che vivono in affitto, questa raggiunge il 22,1 per cento, contro appena il 4,7 per cento di quelle che abitano in case di proprietà. Si tratta di una differenza enorme, che evidenzia come la condizione di locatario sia - già di per sé - associata a una maggiore fragilità economica.
Le famiglie in condizione di povertà assoluta che vivono in affitto pagano in media circa 373,18 euro mensili, contro i circa 437 euro delle altre famiglie in locazione. Questi numeri dimostrano che il peso economico dell'affitto è particolarmente gravoso proprio per chi si trova nelle condizioni più difficili, rendendo ancor più incomprensibile la scelta di non intervenire sulla deduzione prevista per i canoni di locazione a fronte dell'aumento della franchigia per le proprietà immobiliari.

L'impatto dell'inflazione immobiliare: affitti in crescita, rendite stabili
L'analisi dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio mette in luce un ulteriore elemento, che aggrava lo squilibrio creato dalla riforma: l'andamento divergente tra valori catastali e prezzi degli affitti. Mentre le rendite catastali, che determinano il valore degli immobili di proprietà nel calcolo ISEE, sono aumentate mediamente del 3,8 per cento tra il 2014 e il 2020, la voce affitti ha registrato una crescita ben più marcata. Nel periodo compreso tra il 2015 e il 2020, gli affitti sono cresciuti del 9 per cento ma, se si estende l'analisi fino al 2024, l'incremento raggiunge il 24,2 per cento.
Questi dati confermano che il costo dell'abitare, per chi vive in affitto, è aumentato molto più rapidamente rispetto al valore attribuito agli immobili di proprietà, rendendo il peso della casa in locazione già più gravoso nel calcolo dell'indicatore economico. L'UPB ha definito questa scelta come "una decisione di policy ben definita in favore di specifici nuclei familiari", lasciando intendere che si tratta di un orientamento politico consapevole piuttosto che di un'omissione casuale. Probabilmente, dietro questa scelta, si nascondono anche esigenze di contenimento della spesa pubblica: la revisione complessiva delle regole di calcolo dell'ISEE costerà circa 500 milioni di euro all'anno, producendo benefici comunque limitati sulle prestazioni interessate. Tuttavia, questo non giustifica una riforma che penalizza ulteriormente chi si trova già in una condizione di maggiore vulnerabilità economica, acuendo le disuguaglianze anziché ridurle.


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