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Il contratto di locazione stipulato verbalmente è nullo a condizione che sia stato il locatore a richiedere di non stipularlo per iscritto

Il contratto di locazione stipulato verbalmente è nullo a condizione che sia stato il locatore a richiedere di non stipularlo per iscritto
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute in materia di affitti "in nero" e di conseguenze giuridiche derivanti dalla mancata stipula in forma scritta del contratto di locazione (SS.UU., sentenza 17 novembre 2015, n. 18214)

Va osservato, infatti, che ci sono orientamenti contrastanti su quest’argomento.
In base ad un primo orientamento la Cassazione afferma che la nullità del contratto di locazione non stipulato per iscritto può essere fatta valere solo dal conduttore, in quanto questi è il solo ad essere titolare di un diritto personale di godimento sull'immobile.

In base ad un altro orientamento, invece, il contratto di locazione non stipulato in forma scritta sarebbe nullo in modo assoluto, e quindi non ci sarebbe il diritto per il conduttore di usufruire dell’immobile.

Ebbene, le Sezioni Unite, sentite sull'argomento, dopo aver premesso che, per il principio giuridico della c.d. "libertà delle forme", la volontà negoziale può essere espressa con qualunque modalità, compresi i comportamenti concludenti e che forma scritta a pena di nullità deve essere necessariamente prevista dalla legge, la legge 431 del 1998 (innovando rispetto alla vecchia legge "equo canone") richiede, all'art. 1, necessariamente la forma scritta al fine della stipula di un valido contratto di locazione. Infatti il legislatore ha voluto, da un lato, dotare di una certa stabilità il rapporto contrattuale e, d'altro lato, ridurre il più possibile il fenomeno degli affitti "in nero".

Attraverso la previsione della necessità della forma scritta (operata dalla sopraccitata legge) risulta sancita "in via definitiva la liberalizzazione del canone delle locazioni ad uso abitativo, bilanciata da una maggiore stabilità del rapporto contrattuale", anche grazie all'impostazione dall'obbligo di registrazione del contratto.

Ciò, peraltro, comporta altresì una maggiore tutela dell'interesse alla "trasparenza del mercato delle locazioni in funzione del l'esigenza di un più penetrante controllo fiscale", in un settore in cui, proprio a causa della previgente disciplina, "il fenomeno dell'evasione era divenuto inarginabile".

In conclusione, le Sezioni Unite della Suprema Corte condividono il filone interpretativo che prevede la necessità della forma scritta a pena di nullità del contratto, "limitando, peraltro, la rilevabilità della nullità in favore del solo conduttore nella specifica ipotesi di cui alla legge n. 431 del 1998, art. 13, commi 5, che gli accorda una speciale tutela nel caso in cui gli sia stato imposto, da parte del locatore, un rapporto di locazione di fatto, stipulato soltanto verbalmente", con la conseguenza che il conduttore potrebbe "far valere egli solo la nullità qualora il locatore abbia imposto la forma verbale, abusando della propria posizione dominante all'interno di un rapporto giocoforza asimmetrico".
La Corte giunge a tale conclusione, sia in base al l'interpretazione letterale della norma sopraccitata, sia sulla base della considerazione per cui "se la forma scritta risponde alla finalità di attribuire alle parti, ed in particolare al conduttore, uno status di certezza dei propri diritti e dei propri obblighi, la sua funzione primaria (coerente con la ratio dell'intero dettato normativo di cui alla legge 431) deve comunque ritenersi quella di trarre dall'ombra del sommerso - e della conseguente evasione fiscale, i contratti di locazione".

Di conseguenza, il giudice dovrà, in primo luogo, accertare l'esistenza del contratto verbale e, successivamente, verificare se tale forma sia stata imposta dal locatore al conduttore contro la sua volontà.
Balza agli occhi l'evidente difficoltà nel provare queste circostanze.

La Corte di Cassazione stessa ha, tuttavia, evidenziato come sia impossibile arrivare ad una diversa soluzione, "non potendo un principio (e una maggiore difficoltà) di carattere processuale incidere sulla ricostruzione sostanziale della fattispecie".
A conclusione del proprio discorso, osserva la Corte come la soluzione adottata "impedisce che, dinanzi ad una Corte suprema di un Paese europeo, una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente e impunemente la propria qualità di evasore fiscale", dal momento che il corretto adempimento degli obblighi tributari "lungi dall'attenere al solo rapporto individuale contribuente-fisco, afferiscono ad un interesse ben più generale, in quanto il rispetto di quegli obblighi, da parte di tutti i consociati, si risolve in un miglior funzionamento della stessa macchina statale, nell'interesse superiore dell'intera collettività".


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