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Infedeltą coniugale e risarcimento del danno

Famiglia - -
Infedeltą coniugale e risarcimento del danno
Il tradimento non comporta automaticamente una responsabilità risarcitoria nei confronti dell’altro coniuge.
Con l’ordinanza n. 6598/2019, la Cassazione torna sul tema dell’eventuale diritto al risarcimento del danno spettante al coniuge tradito.
In particolare, nella vicenda esaminata dalla Corte, un uomo aveva citato in giudizio la moglie, dalla quale si era nel frattempo separato, sostenendo di aver subito danni in conseguenza della relazione extraconiugale da lei intrattenuta con un collega di lavoro (era stata convenuta in giudizio addirittura la società datrice di lavoro, sul presupposto dell’asserita violazione del dovere di vigilanza sui propri dipendenti).
L’attore sosteneva che per effetto della scoperta del tradimento consumato dalla moglie aveva subito un disturbo depressivo cronico, e chiedeva il risarcimento sia del danno alla salute sia del danno morale.

La domanda veniva rigettata sia in primo che in secondo grado. L’uomo tuttavia non demordeva e ricorreva in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello.
Anche i giudici di legittimità, tuttavia, non ritenevano meritevole di accoglimento la richiesta risarcitoria.
Infatti, l’ordinanza in esame, dopo aver premesso che anche in ambito familiare la lesione dei diritti inviolabili della persona può essere fonte di responsabilità civile, precisa tuttavia che i doveri derivanti dal matrimonio non costituiscono, di per sé, in capo a ciascun coniuge e nei confronti dell’altro altrettanti corrispondenti diritti, la cui violazione comporta automaticamente una responsabilità aquiliana del suo autore.
Invece, secondo la Cassazione, la violazione dei doveri coniugali può rilevare come “presupposto di fatto” della responsabilità ex art. 2043 del c.c., ma solo qualora ne discenda la violazione di diritti costituzionalmente protetti, che superi, inoltre, la “soglia di tollerabilità” in modo da costituire fonte di danno non patrimoniale.
Con specifico riferimento al dovere di fedeltà, la Suprema Corte precisa, appunto, che la sua violazione, sebbene possa essere, indubbiamente, motivo di dispiacere per il coniuge tradito, oltre a poter provocare la disgregazione del nucleo familiare, non è automaticamente risarcibile.
Il diritto al risarcimento in capo all’altro coniuge sorgerà solo “in quanto l’afflizione superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca nell’altro coniuge, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, primi tra tutti il diritto alla salute o alla dignità personale e all’onore”.
Dunque, il dovere di fedeltà non trova il proprio corrispondente in un diritto alla fedeltà costituzionalmente protetto: viceversa, la sua violazione dà luogo a responsabilità civile quando, per le modalità dei fatti, l’altro coniuge riporti in conseguenza di esso una danno alla propria dignità personale o un pregiudizio alla salute.
Nel caso in esame, la Cassazione ha ritenuto corrette le conclusioni già raggiunte dalla Corte d’Appello, nel senso di escludere sia che il tradimento fosse causa della rottura dell’unità familiare (in quanto rivelato al marito solo a distanza di mesi dall’avvenuta separazione), sia che lo stesso avesse arrecato un apprezzabile pregiudizio all’onore e alla dignità del marito, in quanto non noto neppure nell’ambiente circostante o di lavoro dei coniugi e comunque posto in essere con modalità non lesive della dignità della persona.


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