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Il deposito della vettura durante la riparazione costituisce prestazione accessoria e non comporta oneri aggiuntivi

Il deposito della vettura durante la riparazione costituisce prestazione accessoria e non comporta oneri aggiuntivi
La custodia del veicolo effettuata dall’autofficina durante la riparazione non può essere addebitata al cliente al quale fosse stato fornito un preventivo di importo inferiore.
Il Tribunale di Bolzano, con la sentenza n. 187 del 22 febbraio 2019, ha risolto il caso di una donna la quale, per riparare il guasto del proprio veicolo, si era rivolta ad una autofficina concordando, quale prezzo della riparazione, la somma di 1.500 euro.
Successivamente, il costo della riparazione veniva ad aumentare a causa di alcuni disguidi con l’ordine dei pezzi sostitutivi dovuti ad una presunta alterazione intervenuta sull’autovettura, che aveva reso inidoneo l’intervento inizialmente progettato.
Per tale motivo, il tempo di sosta del veicolo nei magazzini dell’autorimessa era aumentato, e i meccanici avevano preteso di addebitare alla cliente la cifra della riparazione maggiorata però dei costi derivanti dalla custodia del veicolo che si era protratta per diversi giorni. In particolare, veniva richiesto un aumento pari a 15 euro al giorno per le spese di deposito e sorveglianza della vettura.
La signora proponeva ricorso ex art. 702 bis c.p.c. dinanzi al Tribunale di Bolzano, chiedendo di accertare la mora creditoria ex art. 1206 c.c. in capo all’autofficina, e l'illegittimo esercizio del diritto di ritenzione da parte della resistente, condannando la stessa alla immediata restituzione del veicolo.
Per dirimere la questione, il Tribunale ha qualificato la fattispecie sottoposta alla sua attenzione come un contratto di prestazione d’opera, in virtù del quale i meccanici assumevano un obbligo di diligenza professionale, e quindi qualificata, nell’esecuzione della prestazione.
Era specifico compito dei tecnici, quindi, esaminare attentamente le condizioni del veicolo, formulando di conseguenza un preventivo che fosse esaustivo ed attendibile per la cliente.
“Secondo l'orientamento prevalente in dottrina”, affermano i giudici, “la prestazione dell'autoriparatore non comprende soltanto lo svolgimento di un'attività lavorativa, ma anche la produzione di un risultato utile, vale a dire il corretto intervento di riparazione, di sostituzione o di manutenzione richiesto dal cliente”.
L’autoriparatore, in altre parole, era tenuto ad adempiere la propria obbligazione utilizzando non la mera diligenza del “buon padre di famiglia”, bensì una diligenza qualificata, che impone di realizzare la prestazione a regola d’arte secondo gli standard professionali mediamente esigibili da altri appartenenti alla categoria.
Il Tribunale ha delineato, in definitiva, una figura di “autoriparatore modello” il quale deve eseguire la prestazione attraverso le regole della perizia imposte dalla sua specifica competenza tecnica e dall’esperienza acquisita sul campo.
I meccanici, quindi, avrebbero dovuto meglio analizzare le condizioni del veicolo, segnalarne eventualmente le alterazioni o i difetti già presenti, rifiutandosi, nel peggiore dei casi, di eseguire la prestazione, se le difficoltà legate all’operazione si fossero rivelate insuperabili.
I giudici hanno a tal proposito affermato che “non è possibile ascrivere alla ricorrente, che riveste la natura di consumatrice, la mancata segnalazione che la vettura sia stata alterata, circostanza peraltro non dimostrata, e di cui non vi è prova che la ricorrente fosse a conoscenza.”
D’altra parte, l’aumento del prezzo dato dai giorni di deposito della vettura in seguito alle complicazioni tecniche intervenute non poteva essere addebitato alla proprietaria dell’auto.
La custodia della vettura costituisce, in altri termini, un’obbligazione accessoria rispetto alla riparazione della vettura e si presume gratuita, salvo prova contraria.


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