La vicenda oggetto della pronuncia comincia nel 2014, quando il Comune di Roma, a seguito di un accertamento, scopriva che alcune opere edilizie erano state effettuate in assenza di qualsiasi autorizzazione. Secondo il Comune, infatti, l’intervento doveva essere classificato come “nuova costruzione” in base al Testo unico edilizia (D.P.R. 380/2001), poiché comportante un significativo aumento volumetrico rispetto all’edificio originario.
Di fronte all’ordine di demolizione emesso dal Comune, il proprietario tentava di opporsi sostenendo che si trattasse di una semplice ristrutturazione, sanabile mediante SCIA o accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 37 del T.U. edilizia.
Dopo anni di ricorsi, il caso arriva nuovamente al Consiglio di Stato, che, con la sentenza 4382/2025, ha confermato l’obbligo di demolizione.
Effetto del giudicato
La decisione ribadisce, in primo luogo, il principio secondo cui il giudicato copre non solo il dedotto, ma anche il deducibile. Poiché già in una precedente sentenza (la n. 1184/2022) il Consiglio di Stato aveva qualificato l’intervento come “nuova costruzione” soggetta a permesso di costruire, ogni ulteriore valutazione su un’istanza ex art. 37 D.P.R. 380/2001 deve considerarsi come preclusa.
Nuova costruzione senza permesso: niente sanatoria
I giudici di Palazzo Spada hanno affermato come un intervento edilizio che comporta un ampliamento volumetrico superiore al 20% configuri una nuova costruzione. In assenza di permesso di costruire, l’unica strada dunque è l’abbattimento. Nessuna possibilità di “mettere a posto le cose” tramite una semplice SCIA o con l’applicazione di una sanzione amministrativa.
Il proprietario aveva cercato di far valere l’art. 37 del D.P.R. 380/2001, che prevede la possibilità di pagare una somma di denaro in sostituzione della demolizione per alcune difformità minori. Tuttavia, secondo il Consiglio di Stato, in questo caso la violazione era troppo rilevante per rientrare nei casi di sanatoria.
Quando il silenzio dell’amministrazione equivale a un “no”
Un altro punto cruciale riguarda il silenzio del Comune sull’istanza di sanatoria. La mancata risposta, secondo i giudici, equivale a un diniego tacito. Questo orientamento, già affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 42/2023), trova conferma nel caso esaminato: per opere palesemente non sanabili, l’amministrazione non è obbligata a fornire una risposta formale.
Il Decreto Salva Casa non costituisce un condono generalizzato
Il proprietario ha provato anche a invocare il “Decreto Salva Casa” (D.L. 69/2024), sperando di poter beneficiare delle nuove soglie di tolleranza introdotte. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha escluso categoricamente l’applicabilità del decreto al caso in esame.
Due i motivi: il primo è che la nuova disciplina non è retroattiva, mentre il secondo è che il decreto riguarda solo irregolarità lievi, come piccoli scostamenti progettuali o errori formali. Un ampliamento volumetrico consistente, come quello oggetto del contenzioso, non rientra tra questi casi.
Sanzione pecuniaria solo in casi eccezionali: ecco quando
Una delle difese più comuni nei procedimenti urbanistici è la richiesta di sostituire la demolizione con una multa, citando la previsione di cui all’art. 33 del T.U. edilizia. Tuttavia, anche questa strada è praticabile solo in presenza di condizioni ben precise: bisogna, infatti, dimostrare che la demolizione metterebbe in pericolo la stabilità della parte regolare dell’edificio.
Nel caso analizzato, questa prova non è stata fornita in modo convincente. I giudici hanno precisato che la possibilità di sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria è una deroga e, come tale, deve essere provata con perizie tecniche e documentazione dettagliata. Non è sufficiente affermare genericamente che la demolizione sia complicata o costosa.
Demolizione o sanzione?
Il messaggio del Consiglio di Stato è chiaro: l’ordine di demolizione non si annulla automaticamente se c’è la possibilità di pagare una multa. Palazzo Spada ha chiarito che la valutazione circa la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria costituisce una fase successiva e distinta rispetto all’adozione dell’ordine di demolizione e non condiziona la legittimità di quest’ultimo. Tale opzione, pertanto, non va esercitata prima, ma solo eventualmente in sede esecutiva, a fronte di un oggettivo impedimento alla riduzione in pristino.