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Conseguenze fiscali della dichiarazione dei redditi congiunta in caso di separazione

Famiglia - -
Conseguenze fiscali della dichiarazione dei redditi congiunta in caso di separazione
Gli effetti dell'invio della dichiarazione dei redditi congiunta in costanza di matrimonio permangono anche dopo la separazione. Sussiste pertanto la responsabilità solidale e il coniuge risponde anche se la cartella viene notificata solo all'ex.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13773 del 19 febbraio 2016, ha fornito alcune precisazioni che potranno tornare utili ai coniugi che, nella vigenza dell’art. 17 della legge 114 del 1977, abbiano optato per la presentare congiuntamente la propria dichiarazione dei redditi.

Nel caso esaminato dalla Corte, un coniuge separato aveva proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che aveva dichiarato la legittimità della cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate e notificata al coniuge separato, relativa all’anno 1996, per il quale i coniugi avevano presentato la dichiarazione dei redditi congiunta, ai sensi del citato art. 17 della legge n. 114 del 1977.

La ricorrente, deduceva, che “nel caso di separazione dei coniugi, l’accertamento deve essere notificato a pena di nullità ad entrambi i coniugi, con la conseguenza che, se l’accertamento in rettifica è notificato a uno solo, la successiva cartella di pagamento è nulla nei confronti dell’altro coniuge, e quindi può essere validamente impugnata in relazione anche della mancata notifica diretta degli atti precedenti e, per questo solo vizio, l’atto consequenziale impugnato dovrà essere annullato”.

In sostanza, secondo la ricorrente, la sentenza andava annullata, in quanto l’Agenzia delle Entrate le aveva notificato la cartella di pagamento, mentre l’avviso di accertamento era stato notificato solo al marito, dal quale ora si era separata.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dalla ricorrente, rigettando il relativo ricorso.

Secondo la Corte, infatti, “ai sensi dell’art. 17 della legge 13 aprile 1977, n. 114, la dichiarazione dei redditi congiunta, consentita a coniugi non separati, costituisce una facoltà che, una volta esercitata per libera scelta degli interessati, produce tutte le conseguenze, vantaggiose ed eventualmente svantaggiose, che derivano dalla legge e che ne connotano il peculiare regime, a prescindere dalle successive vicende del matrimonio”.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, la responsabilità solidale dei coniugi per il pagamento dell’imposta iscritta a ruolo a nome del marito, “non è influenzata dal venir meno, successivamente alla dichiarazione congiunta, della convivenza matrimoniale per separazione personale”.

Per quanto concerne il presunto vizio relativa alla mancata notifica alla moglie dell’avviso di accertamento, la Cassazione precisa che l’art. 17 sopra citato, “nel caso di dichiarazione congiunta dei coniugi (facoltà ora abrogata), prevedeva proprio che l’amministrazione notificasse al (solo) marito l’avviso di accertamento, ferma rimanendo la responsabilità solidale della moglie per le imposte e gli accessori iscritti a ruolo a nome del marito, fatta valere attraverso la notifica, a lei diretta, della cartella di pagamento (o dell’avviso di mora)”.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, la Commissione Tributaria Regionale aveva, del tutto correttamente, dichiarato la legittimità della cartella di pagamento e del relativo avviso di accertamento.

Infatti, in caso di dichiarazione dei redditi congiunta, l’avviso di accertamento ben poteva essere notificato al solo coniuge a cui nome era stata iscritta a ruolo l’imposta dovuta. La separazione dei coniugi, infatti, non fa venir meno la responsabilità solidale di entrambi i coniugi per l’adempimento dell’obbligo tributario, con la conseguenza che l’Amministrazione Tributaria può legittimamente pretendere il pagamento dell’intero importo da parte di uno solo di essi, il quale, poi, avrà la possibilità di agire, in via di regresso, pretendendo dall’ex coniuge il rimborso del 50% dell’importo pagato.

Sulla base di tali principi, dunque, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’ex moglie, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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