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Bonifico bancario, ecco quando non è reddito e non va dichiarato: come evitare controlli dell'Agenzia delle Entrate

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Bonifico bancario, ecco quando non è reddito e non va dichiarato: come evitare controlli dell'Agenzia delle Entrate
Il Fisco può chiedere chiarimenti su bonifici ricevuti, specie se di importo elevato o senza causale chiara: il contribuente deve dimostrarne la natura non reddituale con prove concrete per evitare sanzioni
Una delle operazioni finanziarie più comuni che, prima o poi, capita a chiunque, è la ricezione di un bonifico: succede ogni giorno e per svariati motivi, come ad esempio il saldo di una prestazione professionale, il rimborso di una spesa anticipata, un regalo da parte di un familiare, la restituzione di un prestito.
In caso di importi consistenti, causali poco chiare o mittente non facilmente identificabile, non è raro che l’Agenzia delle Entrate possa chiedere dei chiarimenti. In questi casi il contribuente è tenuto a spiegare e provare la natura non reddituale di quel versamento, per evitare che venga considerato alla stregua di un reddito occulto e, quindi, soggetto a tassazione.

I controlli del Fisco
Il principio su cui si fondano i controlli dell’Amministrazione Finanziaria è contenuto nel combinato disposto tra l’art. 32 delle disp. accert. imp. redditi e l’art. 51 del T.U. IVA, per cui tutti gli accrediti e i versamenti registrati su un conto corrente bancario – a meno che non siano adeguatamente giustificati – sono qualificati come redditi imponibili non dichiarati. In questi casi, l’Agenzia delle Entrate si avvale di una presunzione di evasione, per la quale non rileva se si tratta di un prestito tra amici o di un regalo ricevuto a Natale: per il Fisco, fino a prova contraria, ogni entrata è fiscalmente rilevante.
Questo significa che, in caso di bonifico tacciato come sospetto, non sarà l’Agenzia delle Entrate a dover dimostrare che quel denaro è frutto di evasione, bensì il contribuente, il quale dovrà fornire tutte le prove necessarie per dimostrare il contrario.

Come si dimostra che un bonifico non è un reddito?
Il contribuente dovrà fornire una giustificazione puntuale, specifica e supportata da documenti concreti. Non basta, dunque, una spiegazione generica o una lettera firmata da un amico: serve qualcosa di più concreto e analitico.
È necessario che ogni movimento contestato sia ricondotto a una causa precisa e non imponibile: una donazione, un rimborso, un prestito, la vendita di un bene già tassato. In ogni caso, è fondamentale disporre di riscontri oggettivi, con data certa, che dimostrino non solo l’origine del denaro, ma anche il suo percorso fino all’accredito sul conto.

Donazioni tra familiari: attenzione a forma e sostanza
Le liberalità tra parenti sono tra le giustificazioni più comuni, ma anche tra le più delicate. Se un genitore trasferisce una somma al figlio, ad esempio, il bonifico può essere considerato fiscalmente irrilevante solo se si dimostra che si tratta effettivamente di una donazione.
Per importi rilevanti, la legge civile impone l’atto notarile, senza il quale la donazione può essere ritenuta nulla. Anche per somme più contenute, però, una semplice causale non basta: occorre provare che il donante avesse la capacità economica di effettuare l’elargizione e che tra le parti esistesse un legame compatibile con la natura dell’operazione.
È sempre meglio, dunque, munirsi di un atto notarile, di certificazioni anagrafiche e di documentazione bancaria che tracci chiaramente il trasferimento dei fondi.

Prestiti tra privati: serve il contratto
Anche in caso di bonifico volto a restituire un prestito precedentemente concesso, non basta una mera dichiarazione, ma è necessario fornire apposita documentazione. La forma scritta del contratto, la presenza di una data certa (per esempio via PEC o con registrazione all’Agenzia delle Entrate) e la documentazione che dimostra la disponibilità economica del prestatore sono tutti elementi fondamentali.
Se il prestito è stato infruttifero e concesso a un soggetto estraneo al nucleo familiare, sarà ancora più importante giustificarne la logica economica, perché in assenza di legami può apparire sospetto o poco credibile.

Rimborso spese o restituzione di anticipi: cosa documentare
Spesso capita di anticipare una spesa per conto di un altro soggetto – ad esempio per un parente o un cliente – e ricevere successivamente un rimborso. Anche in questo caso, la documentazione gioca un ruolo decisivo.
Bisogna essere in grado di dimostrare:
  • quando e perché si è effettuata la spesa anticipata;
  • che il bonifico ricevuto è effettivamente una restituzione;
  • che l’importo coincide, o è comunque proporzionato, rispetto all’anticipazione originale.
Anche qui, l’inserimento di una causale bancaria chiara è sicuramente fondamentale, ma non è sufficiente.

Vendita di un bene
Un altro caso frequente è la vendita di beni personali – un’auto, un quadro, dei titoli – con conseguente accredito sul conto. Il Fisco potrebbe considerare questa somma un reddito, a meno che il contribuente non dimostri la provenienza dell’importo e il collegamento con l’atto di vendita. Bisogna quindi presentare contratti, fatture o documenti di trasferimento di proprietà. In mancanza di questi elementi, il versamento rischia di essere qualificato come un guadagno in nero.

Vincite, redditi già tassati, somme esenti
Nel caso di bonifici derivanti da vincite di gioco o da redditi già tassati (come interessi bancari o rendite da titoli di Stato), la giustificazione è più semplice, ma comunque non automatica.
Occorre fornire la prova documentale dell’avvenuta tassazione alla fonte o della natura esente della somma. Anche per borse di studio o assegni di invalidità, è importante disporre dei documenti che dimostrino la natura non imponibile del reddito.


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