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Avvocato, se non paghi i debiti (anche personali) rischi la sospensione, vìoli i doveri deontologici: nuova sentenza

Avvocato, se non paghi i debiti (anche personali) rischi la sospensione, vìoli i doveri deontologici: nuova sentenza
Le Sezioni Unite hanno chiarito quando il comportamento privato di un avvocato può ledere il decoro professionale e giustificare una sanzione disciplinare
Con la recente ordinanza n. 30771 del 22 novembre 2025, le Sezioni Unite hanno fornito spunti importanti relativamente al confine tra la vita privata dell’avvocato e il decoro della professione forense.
La vicenda oggetto della pronuncia trae origine da un semplice caso di mancato pagamento per lavori di manutenzione su un’imbarcazione privata. Eppure, nonostante la semplicità della questione, la Corte ha colto l’occasione per chiarire quando e in che misura un inadempimento estraneo all’esercizio della professione può ledere la dignità dell’avvocato e giustificare una sanzione.

Il protagonista della vicenda è un avvocato ultrasettantenne che, nel 2015, aveva affidato alla Nautica Aprea Junior lavori di manutenzione su un natante di sua proprietà. Inizialmente era stato versato un acconto, mentre il saldo sarebbe dovuto avvenire al momento del varo, che però non si è più realizzato. Per tale motivo la somma residua, pari a poco più di 10.000 euro, non era stata corrisposta, costringendo l’impresa ad avviare un procedimento monitorio.
L’inadempimento del professionista veniva inoltre segnalato all’Ordine, che avviava un procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio Distrettuale di Disciplina di Napoli. Quest’ultimo, con una decisione dell’11 luglio 2024, ha ritenuto che quel mancato pagamento, prolungato nel tempo e relativo a un bene non essenziale, integrasse una violazione dei doveri deontologici, poiché idoneo a danneggiare il prestigio della professione e l’affidamento dei terzi. Da qui la sanzione di quattro mesi di sospensione.

L’avvocato ha impugnato la decisione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, sostenendo che il mancato adempimento non fosse frutto di volontà, ma della combinazione di fattori personali, quali l’età avanzata, la salute fragile, un lunghissimo processo penale sofferto per dodici anni e conclusosi con assoluzione piena, oltre alla disponibilità a definire bonariamente il debito mediante pagamenti rateali. Il CNF ha riconosciuto che quarant’anni di carriera senza precedenti meritassero una riduzione della sanzione, ma allo stesso tempo ha ribadito la sussistenza della responsabilità disciplinare. Pertanto, la sanzione è stata diminuita a due mesi.

La questione è infine approdata dinanzi alle Sezioni Unite. Nel giudizio di legittimità, l’avvocato ha contestato la motivazione del CNF e sostenuto che il proprio comportamento non fosse sorretto dall’elemento soggettivo dell’illecito.
Le Sezioni Unite hanno confermato la decisione del CNF, sottolineando che il giudizio in Cassazione in materia disciplinare non consente un nuovo giudizio sul merito né una diversa valutazione delle prove. Questo tipo di impugnazione, infatti, può essere accolto solo in presenza di vizi specifici, come incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge o una motivazione totalmente carente.

Tuttavia, nulla di tutto ciò è emerso nel ricorso. Le censure dell’avvocato, secondo la Corte, miravano semplicemente a ottenere una rilettura dei fatti, sovrapponendo una propria versione delle circostanze già considerate dal CNF. Il giudizio di legittimità però non consente di rivalutare la gravità dell’inadempimento, né la sua incidenza sulla reputazione dell’avvocato.
Sul piano sostanziale, la Corte ha ribadito che l’illecito disciplinare previsto dall’art. 64 del Codice deontologico forense è integrato quando l’avvocato omette volontariamente di adempiere a obbligazioni assunte verso terzi, specie quando tale condotta compromette l’immagine della categoria e la fiducia che i cittadini ripongono nei suoi membri.

La responsabilità disciplinare non richiede la consapevolezza dell’antigiuridicità dell’atto, ma solo che la condotta sia cosciente e volontaria, salvo che essa sia resa impossibile da causa di forza maggiore. Nel caso concreto nessuna delle difficoltà personali prospettate dal ricorrente integrava un’impossibilità assoluta, in quanto trattavasi di circostanze già presenti al momento in cui l’obbligazione venne assunta e non idonee ad eliminare la volontarietà dell’inadempimento protrattosi negli anni.
La riduzione della sanzione da quattro a due mesi, operata dal CNF, è stata quindi ritenuta adeguata e proporzionata, anche perché ha tenuto conto della lunga carriera senza precedenti disciplinari. Nulla, invece, giustificava l’annullamento della misura.


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