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Anziano minaccia un condomino: l'età lo salva dalla condanna

Anziano minaccia un condomino: l'età lo salva dalla condanna
Non è configurabile il reato di minacce se una persona anziana pronuncia una frase intimidatoria nei confronti di un altro soggetto poichè l'età avanzata e le circostanze possono rendere inoffensiva la condotta e il giudice deve tenerne conto.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 25080 del 16 giugno 2016, si è occupata di un interessante caso di “minacce” (art. 612 del c.p.) e di “ingiuria” (art. 594 del c.p.) commesso in occasione di una lite condominiale, durante la quale un anziano condomino pronunciò la frase “vieni fuori che facciamo a pugni”.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Giudice di Pace di Belluno condannava l’imputato alla pena pecuniaria.

L’imputato decideva di proporre ricorso in Cassazione, rilevando che la frase attribuitagli dalla persona offesa non conteneva alcuna minaccia di "un male ingiusto" e che il giudice avrebbe errato nell’omettere di valutare la “effettiva idoneità intimidatoria” della frase, in quanto non sarebbe stata tenuta in adeguata considerazione l’età avanzata dell’imputato e la reazione della persona offesa.

Quanto al reato di ingiuria, l’imputato lamentava “l'ingiustificata ed illogica esclusione dell'esimente della reciprocità delle offese”.

La Corte di Cassazione, in via preliminare, rilevava che il delitto di ingiuria era stato abrogato con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 7/2016, con la conseguenza che la sentenza impugnata doveva certamente essere annullata con riguardo a tale reato.

In sostanza, dunque, poiché la fattispecie dell’ingiuria non ha più rilevanza penale nel nostro ordinamento, la Cassazione non procedeva nemmeno ad entrare nel merito delle censure sollevate dal ricorrente, annullando direttamente il capo della sentenza relativo a tale reato poichè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

Per quanto riguarda, invece, la condanna per il reato di “minacce”, di cui all’art. 612 codice penale, la Cassazione rilevava che l’efficacia intimidatoria della frase pronunciata dall’imputato, pur essendo, in astratto, idonea a integrare la fattispecie della “minaccia”, doveva essere valutata con riferimento specifico al caso concreto.

Il Giudice di Pace, invece, nella sentenza impugnata, aveva dimostrato di non aver in alcun modo proceduto a tale valutazione.

Secondo la Cassazione, in particolare, il Giudice di primo grado avrebbe dovuto rilevare l’assoluta inoffensività della frase pronunciata dall’imputato, il quale, all’epoca dei fatti, aveva 84 anni, mentre la persona offesa ne aveva 20 in meno.

In altri termini, la Cassazione precisava che non è sufficiente una qualsiasi frase intimidatoria per integrare il reato di “minacce”, in quanto il Giudice deve valutare il contesto nel quale la frase viene viene pronunciata, e nel caso esaminato, tutte le circostanze rilevabili, come l'ambito condominiale e l'età dei protagonisti dello screzio, non portano a considerare penalmente rilevante la condotta dell'anziano signore, dovendosi escludersi qualsiasi potenzialità offensiva della medesima.

Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Corte di Cassazione procedeva ad annullare anche il capo della sentenza relativo al reato di minacce, “perché il fatto non sussiste”.


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