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Reato di "minacce": quando può dirsi configurato?

Reato di "minacce": quando può dirsi configurato?
Secondo il Tribunale di Ascoli Piceno, ai fini della configurabilità del reato di "minacce", non è necessario che la vittima si sia sentita effettivamente intimidita, essendo sufficiente che la condotta posta in essere dal responsabile sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo.
Il Tribunale di Ascoli Piceno, con una sentenza del 27 marzo 2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni in merito alla configurabilità del reato di "minacce” di cui all’art. 612 c.p.

Nel caso sottoposto all’esame del Tribunale di Ascoli Piceno un soggetto era stato ritenuto responsabile del reato di “ingiuria” (art. 594 c.p.) e di “minacce” (art. 612 c.p.), per aver “offeso l’onore e il decoro” di un’altra persona, facendo alla stessa “il gesto delle corna”, rivolgendole la frase “fra poco vai alla tomba” e mimando il gesto del taglio della gola.

Il Tribunale, tuttavia, aveva ritenuto di dover riformare la sentenza di primo grado, escludendo la responsabilità dell’imputato per i reati che gli erano stati contestati.

Evidenziava il Tribunale, in particolare, che, per quanto riguardava il reato di “ingiuria”, di cui all’art. 594 c.p., lo stesso era stato depenalizzato con l’entrata in vigore del d. lgs. n. 7 del 2016, mentre, per quanto concerneva il reato di “minacce” (art. 612 c.p.), lo stesso non poteva dirsi sussistente.

Osservava il giudicante, in proposito, che elemento essenziale di quest’ultimo reato “è la limitazione della liberta psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato, dal colpevole, alla parte offesa”.

Precisava il giudice, inoltre, che, ai fini della configurabilità del reato, non è necessario che la vittima si sia sentita effettivamente intimidita, essendo sufficiente che la condotta posta in essere dal responsabile sia “potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale del soggetto passivo”.

Secondo il Tribunale, inoltre, “è pur sempre necessario il riferimento esplicito, chiaro ed inequivocabile ad un male ingiusto, idoneo, in considerazione delle concrete circostanze di tempo e di luogo, ad ingenerare timore in chi risulti esserne il destinatario”.

La minaccia, peraltro, secondo il giudice, “deve essere valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto”.

Ebbene, nel caso di specie, secondo il Tribunale, vi erano diversi elementi che inducevano a ritenere che la condotta contestata all’imputato non possedesse i requisiti sopra descritti, dal momento che le parole dallo stesso pronunciate erano rimaste su un piano del tutto generico e non erano state caratterizzate da un’adeguata rappresentazione del male ingiusto nei confronti della persona offesa.

L’imputato, in particolare, secondo il Tribunale, non aveva prospettato alla persona offesa che la avrebbe uccisa, “limitandosi, semmai, ad invocarne o auspicarne la morte”, che comunque non sembrava rientrare nell’intento minatorio dell’imputato stesso.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale di Ascoli Piceno assolveva l’imputato sia dal reato di “ingiuria” (in quanto depenalizzato), sia da quello di “minacce”.


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