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Abbonamenti con rinnovo automatico, spesso sono illegali e puoi annullarli senza conseguenze: ecco come difenderti

Abbonamenti con rinnovo automatico, spesso sono illegali e puoi annullarli senza conseguenze: ecco come difenderti
Scopri quando una clausola di rinnovo automatico è legittima e quando diventa vessatoria. Tutela i tuoi diritti sugli abbonamenti digitali
Oggigiorno tra gli utenti è diffusissimo il ricorso agli abbonamenti digitali, perché offrono accesso immediato, continuo e flessibile a contenuti o strumenti online senza grandi spese iniziali. Inoltre, i modelli di abbonamento consentono di prevedere i costi mensili e agevolano aggiornamenti costanti e personalizzazione dei servizi, rendendoli più comodi rispetto agli acquisti una tantum.
C'è, però, un problema di fondo riguardante i servizi digitali che si rinnovano da soli e in modo automatico: è sempre legale? Oppure ci sono casi pratici in cui una clausola di rinnovo tacito si palesa vessatoria? A chiarire la situazione è il D.Lgs. 206/2005 - il Codice del consumo - che viene incontro a quel consumatore che si ritrova a dover pagare un altro anno di abbonamento, semplicemente perché ha ignorato o non ha visto una mail di avviso nella propria casella di posta elettronica.
Ma attenzione: il Codice, proteggendo equilibrio del contratto e consumatore, non vieta in ogni caso il rinnovo automatico e, anzi, distingue la pratica commerciale legittima da quella scorretta. Norma-pilastro in materia è l'art. 33 del codice consumo che - in tema di contratti del consumatore - definisce "clausola vessatoria" ogni pattuizione che, anche se inserita in buona fede, crea un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti, a danno dell'utente. Proprio questa norma è posta a tutela di chi non si accorge del rinnovo dell'abbonamento al servizio di streaming o a un software antivirus, o trova difficile disdire in tempo utile.
Il rinnovo automatico è ingiusto perché una clausola di rinnovo è considerata vessatoria - e quindi nulla - quando impone al cliente condizioni di disdetta troppo rigide o anticipate, ossia paletti che limitano la sua libertà di scelta sul servizio e sulle valutazioni di eventuali alternative. Il rinnovo non è difforme dalla legge in sé, ma possono esserlo le relative modalità, perché sproporzionate, poco eque e inadeguate alla tutela dei diritti del consumatore.
Ricordiamo che, per legge, il termine di preavviso è un periodo di tempo minimo che deve intercorrere tra la comunicazione di disdetta da parte del cliente e la data di scadenza del contratto, affinché la disdetta sia valida ed eviti il rinnovo automatico. In pratica, tale termine indica entro quando il consumatore deve inviare la dichiarazione di recesso, per evitare di proseguire oltre con il servizio.
Ma, quindi, in quali casi un termine di preavviso è "troppo anticipato"? Ebbene, il Codice del Consumo non stabilisce un numero preciso di giorni: tuttavia, sul punto, le decisioni dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) hanno integrato il dato normativo, delineando orientamenti di riferimento. Si tratta di criteri pratici e concreti per valutare, caso per caso, quando una clausola di rinnovo automatico rispetta l'equilibrio contrattuale e quando, invece, diventa vessatoria e nulla ai sensi del Codice del Consumo.
Eccoli di seguito:
  • in tema di contratti pluriennali, un preavviso di sei mesi (180 giorni) è ritenuto chiaramente sproporzionato. Ma anche tre mesi possono risultare un termine di disdetta irragionevole, soprattutto se non accompagnati dalla possibilità di recedere facilmente dopo il rinnovo (Provv. AGCM 24540/2013, 25243/2014, 27138/2018). Fino a 60 giorni, invece, il termine di preavviso si ritiene conforme alla legge (Provv. AGCM 24959/2014);
  • in caso di contratti annuali, vale una logica "proporzionale" e così l'Autorità ha valutato eccessivo - e vessatorio - un termine di preavviso pari agli appena citati due mesi. Parallelamente, è stato invece ritenuto equo un preavviso di un mese (Provv. AGCM 24546/2013 e 24547/2013).
Lo schema di fondo che accomuna i provvedimenti appena richiamati è che, in generale, il preavviso deve sempre:
  • essere coerente con la durata del contratto, in quanto il termine deve essere proporzionato al periodo complessivo dell'accordo (es. più breve per contratti annuali, più lungo solo per contratti pluriennali);
  • essere giustificato da reali esigenze organizzative dell'azienda, cioè l'anticipo richiesto deve servire concretamente al fornitore per gestire aspetti tecnici o amministrativi legati alla cessazione del servizio, non per vincolare il cliente;
  • non comprimente i diritti del consumatore, perché il preavviso non deve essere così lungo da limitare la libertà del cliente di scegliere un'altra offerta o recedere in tempi ragionevoli.
Non solo. Oltre a condizioni eque, il legislatore - all'art. 48 del codice consumo - impone chiarezza e trasparenza al fornitore, il quale, prima che il cliente si vincoli con la firma del contratto, deve dettagliare informazioni precise su durata, modalità di rinnovo e condizioni di recesso. In termini pratici, ciò vuol dire che l'utente deve sapere da subito se il contratto si rinnoverà automaticamente e come potrà evitarlo. Soltanto conoscendo in anticipo questi aspetti, il consumatore potrà decidere consapevolmente se accettare o meno il contratto e tutelare la propria libertà di scelta, evitando di restare vincolato a condizioni che non desidera o che non può modificare facilmente.
Tuttavia, trasparenza e consenso informato - da soli - non bastano, perché l'Autorità ha spiegato che una clausola resta nulla, anche se perfettamente leggibile, se il termine per la disdetta è sproporzionato secondo i suddetti criteri.
Non solo. Quando si verta in materia di servizi di comunicazione elettronica e relative clausole contrattuali - come internet, telefonia fissa e mobile - la legge è ancora più severa, perché oltre al D.Lgs. 206/2005 si applica il Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. 259/2003). In particolare, l'art. 98 septiesdecies stabilisce:
  • l'obbligo di informazione preventiva, in quanto il fornitore deve avvisare l'utente, con almeno due mesi di anticipo e tramite un supporto durevole (email o SMS), della scadenza e delle modalità per recedere;
  • il diritto di recesso dopo il rinnovo, perché se il contratto si rinnova automaticamente, l'utente deve poter recedere in ogni momento successivo, con un preavviso massimo di trenta giorni e senza penali o costi di disattivazione.
Siccome i servizi di comunicazione elettronica, come internet e telefonia, sono essenziali e continuativi, e spesso legano l'utente con contratti standard e complessi, il legislatore ha previsto regole più rigide, così da evitare abusi da parte delle aziende e garantire i diritti del consumatore.
Concludendo, una domanda sorge spontanea: quali conseguenze se la clausola di rinnovo automatico è dichiarata vessatoria dal giudice? In tal caso, è nulla, ma non lo è l'intero contratto. Si considera come mai esistita e il contratto - per logica - termina alla sua naturale scadenza e senza alcun rinnovo automatico. Ecco perché qualsiasi somma, eventualmente già addebitata a seguito del rinnovo illegittimo, dovrà essere rimborsata all'utente.

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