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Articolo 9 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 23/02/2024]

Delitto comune del cittadino all'estero

Dispositivo dell'art. 9 Codice Penale

Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero(1) un delitto per il quale la legge italiana stabilisce [la pena di morte o](2) l'ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima [112], sempre che si trovi nel territorio dello Stato(3).

Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia ovvero a istanza o a querela della persona offesa(4).

Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero(5) o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della giustizia, sempre che l'estradizione [c.p.p. 697] di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto(6).

Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, la richiesta del Ministro della giustizia o l'istanza o la querela della persona offesa non sono necessarie per i delitti previsti dagli articoli 320, 321, 346 bis, 648 e 648 ter 1(7)(8).

Note

(1) Per quanto riguarda nello specifico la fattispecie di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, il legislatore ha predisposto un'apposita disciplina contenuta agli artt. 180 e ss. del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (c.d. T.U. Draghi), riguardante la disciplina del mercato finanziario.
(2) E' stata soppressa, con conseguente assorbimento nell'ergastolo, dapprima per i delitti previsti dal codice penale ex art. 1 d.lgs. 10 agosto 1944, n. 224 e poi per i delitti previsti dalle leggi speciali (art. 1 d.lgs. 22 gennaio 1948, n.21). La Costituzione, attraverso l'art. 27, introducendo il cd. principio di umanizzazione della pena, l'aveva abolita quasi totalmente, circoscrivendone l'applicazione solo ai casi previsti dalle leggi militari di guerra. Tuttavia, anche rispetto a tali ipotesi, è stata abrogata con l'art. 1 della l. 13 ottobre 1994, n. 589. Tale abrogazione venne però operata con legge ordinaria, mantenendo così la possibilità di reintrodurla nelle leggi militari di guerra, in caso di dichiarazione di guerra. Il riferimento alle leggi penali di guerra è stato eliminato definitivamente dal testo costituzionale quando l'Italia ha ratificato il protocollo n. 13 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativo all'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza, attraverso la l. cost. 2 ottobre 2007, n. 1 ("Modifica all'articolo 27 della Costituzione, concernente l'abolizione della pena di morte"), sancendo per via costituzionale la non applicabilità della stessa in ogni caso.
(3) La disposizione deroga al principio di territorialità. Il cittadino che commetta all'estero un reato per il quale sia prevista la sanzione indicata nella norma, risulta infatti assoggettato comunque alla legge penale italiana. Ciò è possibile però solo al ricorrere di una condizione: l'obiettiva di punibilità (v. 44) della presenza del cittadino nel territorio dello Stato. In merito alla natura giuridica di tale condizione la dottrina è divisa. Alcuni ritengono sia una condizione di procedibilità, altri di punibilità. La giurisprudenza dal canto suo propende per la condizione di procedibilità in quanto l'interesse dello Stato a perseguire il reato è ravvisabile solo nei casi in cui il reo si sia soffermato per un tempo non breve in Italia.
(4) Il rapporto tra le tre diverse condizioni di procedibilità (v. Libro I, Titolo IV, Capo IV) è diversamente inteso. La dottrina dominante ritiene che, se dalla commissione del fatto è derivata un'offesa ad un interesse dello Stato o della collettività, debba intervenire il Ministro della giustizia. Se invece l'interesse leso è quello del singolo si dovrà ricorrere all'istanza o alla querela, a meno che il fatto non sia di per sé perseguibile d'ufficio. Altra parte della dottrina considera invece equivalenti richiesta e istanza, eccetto il caso in cui il reato è perseguibile a querela della persona offesa. In tale situazioni la querela dovrà essere accompagnata dalla richiesta del Ministro.
(5) A partire dal 2000, la dicitura «a danno di uno Stato estero» è stata sostituita con «a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero», successivamente alla ratifica di convenzioni in materia di corruzione di pubblici ufficiali, avvenuta con l. 29 settembre 2000, n. 300.
(6) Non è pacifico se si debba, in tali casi, considerare requisito necessario il preventivo esperimento con esito negativo della procedura di estradizione (v. 13). Parte della giurisprudenza è concorde, a patto che sempre l'estradabilità del cittadino sia riconosciuta da una convenzione internazionale in deroga al disposto dell'art. 26 Cost. Altri invece ritengono bastevole che l'estradizione non abbia trovato attuazione.
(7) Tale comma è stato introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera a) dell L. 9 gennaio 2019 n. 3.
(8) Tale comma è stato modificato dall'art. 1, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 195.

Ratio Legis

Tale norma contiene un'ulteriore deroga al criterio di territorialità.
Non appare però chiara la ratio della stessa. Alcuni autori sono ricorsi al principio di universalità, altri a quello di personalità - secondo il quale si applica la legge dello Stato cui appartiene il reo -, mentre altri sono ricorsi al principio di difesa per l'ipotesi in cui sia offeso lo Stato o un cittadino italiano.
Altrettanto discusso è il profilo dell'operatività della deroga stessa.
Aperto è ancora il dibattito relativo alla necessità del rispetto, in tale sede, del principio della «doppia incriminazione», il quale richiede che il fatto commesso costituisca reato non solo per lo Stato italiano ma anche per quello straniero.

Spiegazione dell'art. 9 Codice Penale

L'articolo in esame prevede ulteriori ipotesi di estensione della giurisdizione italiana in presenza di reati commessi in tutto o in parte in territorio estero.
Infatti, al di là di quanto previsto dagli artt. 7 e 8, la norma in oggetto punisce il cittadino (art. 4) che ha commesso in territorio estero un reato per il quale la legge italiana preveda la pena dell'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, sempre ovviamente che si trovi in territorio italiano.

Per delitti puniti meno severamente o procedibili a querela di parte è invece necessaria rispettivamente la richiesta del Ministro della Giustizia, il quale ne valuterà l'opportunità, oppure l'istanza o una querela da parte della persona offesa.

Da ultimo, se il reato è commesso in danno ad altri Stati, sarà necessaria anche qui la richiesta del Ministro della Giustizia, a meno che non sia già stata concessa l'estradizione.

La presenza del cittadino nel territorio statale è condizione di procedibilità e non di punibilità e l'assenza di tale requisito al momento dell'esercizio dell'azione penale determinerà una sentenza di non luogo a procedere ove il Pubblico Ministero chieda comunque il rinvio a giudizio.

Massime relative all'art. 9 Codice Penale

Cass. pen. n. 5198/2020

Il reato di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo di cui all'art. 12, comma 6, L. 19 febbraio 2004, n. 40, commesso all'estero, si consuma nel luogo in cui si sottoscrive il contratto di maternità surrogata e col compimento della gestazione per conto di altri, che si conclude con la nascita del figlio, non avendo rilevanza penale, ai fini dell'applicazione della legge italiana, le condotte iniziali volte ad acquisire informazioni sulla fattibilità della pratica, anche se poste in essere in territorio italiano. In ogni caso, l'azione penale esercitata – nel caso di reato commesso interamente all'estero – non può essere utilmente proseguita se manca la richiesta del Ministro della Giustizia di cui all'art. 9, comma 2, c.p. Non vìola il principio di tassatività e legalità di cui all'art. 25 Cost. l'interpretazione adeguatrice della suddetta disposizione speciale volta a selezionare, facendo ricorso agli ordinari strumenti ermeneutici, le condotte ritenute di rilevanza penale, in quanto orientata ad aumentare la tipicità della medesima norma incriminatrice.

Cass. pen. n. 58239/2018

In tema di estradizione, l'eventuale procedibilità nei confronti di cittadino italiano per reati comuni commessi all'estero non impedisce la consegna, atteso che la richiesta del Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 9, comma terzo, cod.pen., può essere formulata solo qualora non si sia affatto provveduto ad esperire la procedura di estradizione, ovvero quest'ultima non sia stata concessa o accettata.

Cass. pen. n. 23304/2008

Ai fini della punibilità dei delitti comuni commessi dal cittadino in territorio estero, il requisito della presenza sul territorio dello Stato deve necessariamente sussistere al momento dell'esercizio dell'azione penale, a nulla rilevando che venga meno in un momento successivo.

Cass. pen. n. 38019/2004

La condizione di procedibilità prevista dall'art. 9, comma terzo, c.p. è realizzata quando l'Autorità giudiziaria estera, non avvalendosi della facoltà di chiedere l'estradizione, trasmetta all'autorità giudiziaria italiana tutti gli atti di indagine compiuti e chieda di dare seguito alla procedura penale in Italia.

Cass. pen. n. 21251/2003

In tema di estradizione per l'estero, la condizione di reciprocità, prevista dall'art. 7 della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, nel caso in cui il reato motivante la domanda d'estradizione sia stato commesso fuori del territorio della Parte richiedente, consente il rifiuto dell'estradizione se la legislazione della Parte richiesta non autorizza la «perseguibilità» di un reato dello stesso genere commesso fuori del suo territorio. Ne consegue che, facendo riferimento la norma alla sola punibilità, non rilevano le condizioni previste dal codice penale per la procedibilità dei reati commessi all'estero (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione della Corte d'appello che aveva ritenuto sussistenti le condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione avanzata dalla Repubblica di Germania per il reato di importazione di stupefacente commesso in Ecuador ed Olanda, non ritenendo rilevante che per tale reato in Italia l'art. 9 c.p. richiede, come condizione di reciprocità, la presenza del reo nel territorio).

Cass. pen. n. 19678/2003

La richiesta di procedimento di cui agli artt. 9, terzo comma, c.p. e 342 c.p.p. - al pari del rifiuto di dar corso ad una rogatoria dall'estero o per l'estero e del decreto di estradizione - seppure connotata da una larga discrezionalità, riveste natura giuridica di atto amministrativo, sottoposto all'obbligo di motivazione e alla gerarchia delle fonti normative e perciò suscettibile di sindacato da parte del giudice amministrativo per i tipici vizi di legittimità propri del procedimento amministrativo. Tale provvedimento infatti non può essere definito come atto politico, in quanto non inerisce all'esercizio della direzione suprema degli affari dello Stato né concerne la formulazione in via generale e al massimo livello dell'indirizzo politico e programmatico del Governo, conseguendo invece essa ad una scelta vincolata al perseguimento dei fini determinati di politica criminale e connotata altresì dal requisito dell'irretrattabilità. Ne consegue che l'esercizio del potere di firma di tale provvedimento può essere delegato dal Ministro della giustizia al dirigente dell'articolazione ministeriale competente in materia - direttore generale o capo dipartimento - secondo le specifiche direttive dell'organo di vertice politico (ad es. quella di informare il Ministro della natura e del contenuto del singolo atto).

Cass. pen. n. 3624/1995

L'iscrizione nei registri dello stato civile, quale cittadino italiano, in forza dell'art. 5 comma primo legge 21 aprile 1983 n. 123, ha efficacia meramente dichiarativa: dell'essersi cioè realizzata la fattispecie complessa, prevista dalla legge per l'acquisto, in forza di essa soltanto, della cittadinanza. Ove in sede penale si accerti che taluno si sia falsamente attribuita la qualità di figlio di madre o di padre italiano, ben può il giudice penale rilevarlo - per negare a costui la cittadinanza italiana, così fraudolentemente e solo apparentemente conseguita - nell'esercizio del potere-dovere posto dall'art. 2 comma primo c.p.p., il quale fissa la regola dell'autonoma cognizione del giudice penale per quanto concerne le questioni strumentali rispetto alla decisione finale, salva l'eventuale sospensione del processo a norma dell'art. 3 c.p.p. Ne consegue che, accertata la falsa attribuzione della cittadinanza italiana, per il caso di delitto comune commesso all'estero, non può farsi applicazione dell'art. 9 bensì, se ne ricorrono le condizioni, del successivo art. 10 c.p.

Cass. pen. n. 1179/1995

Qualora, a seguito di richiesta del Ministro di grazia e giustizia ai sensi dell'art. 9 c.p., si sia proceduto contro un soggetto per il delitto di cui all'art. 590 c.p. commesso in territorio estero e vi sia stata condannata del predetto a pena pecuniaria, è da escludere che sia venuta meno la condizione di punibilità prevista dall'art. 9 citato, rappresentata dall'irrogazione della pena detentiva; in quanto la pena restrittiva della libertà personale, dalla legge considerata per rendere perseguibile il delitto comune commesso dal cittadino all'estero, è quella astrattamente stabilita dal codice e non quella in concreto comminata. Pertanto, in caso di sanzioni alternative, la procedibilità dell'azione non può essere compromessa dall'avvenuta inflizione della sola pena pecuniaria.

Cass. pen. n. 1837/1994

La condizione di procedibilità della richiesta del Ministro di grazia e giustizia, ex art. 9, secondo comma, c.p., non può ritenersi integrata nel caso in cui la richiesta non sia stata sottoscritta personalmente dal ministro bensì da un funzionario del suo dicastero, senza neppure il rilascio di una specifica delega. Tale soluzione è imposta sia dal tenore dell'art. 342 c.p.p., che espressamente richiede la sottoscrizione dell'autorità competente, sia dal carattere di discrezionalità politica dell'atto, la cui adozione non può, pertanto, che essere riservata all'organo politicamente responsabile indicato dalla legge o, al più, delegata ad altro soggetto politico quale un sottosegretario di Stato.

Cass. pen. n. 5364/1993

La condizione di procedibilità prevista dall'art. 9 c.p. (delitto comune del cittadino all'estero) si realizza con la richiesta del Ministro di grazia e giustizia: quest'ultimo, però, è preso in considerazione non già come persona, ma quale organo politico rappresentante del governo nella specifica materia. Sicché, non trattandosi di reati di natura politica o comunque aventi riferimento alla suprema direzione della cosa pubblica, la richiesta può essere effettuata, su delega, da altro organo della stessa amministrazione della giustizia. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, era stata dedotta la violazione dell'art. 9 c.p. per esser stata la richiesta avanzata dal direttore generale degli affari penali del Ministero e non già dal Ministro di grazia e giustizia).

Cass. pen. n. 10743/1991

La condizione della presenza nel territorio dello Stato posta, ai fini della punibilità dei delitti comuni del cittadino all'estero, dal primo comma dell'art. 9 del codice penale, è, a maggior ragione richiesta anche per i delitti previsti dal secondo comma che rispetto a quelli previsti dal primo comma sono di minor gravità, con la conseguenza che il termine per la richiesta di procedimento è quello di tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato e non già quello di tre mesi dal giorno in cui l'autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce reato.

Cass. pen. n. 6698/1991

La presenza del cittadino nel territorio dello Stato, nel caso di delitto comune commesso dal medesimo cittadino all'estero è condizione di procedibilità e non di punibilità. La carenza dei requisiti obiettivi, siano essi sostanziali o processuali (tra questi ultimi, appunto, le condizioni di procedibilità) atti a legittimare l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, si traduce in infondatezza dell'azione la quale trova la sua naturale ed esclusiva sanzione non nella nullità formale dei singoli atti del procedimento già compiuti, ma nel rigetto, da parte del giudice della presenza punitiva che, mediante l'azione, il pubblico ministero ha inteso far valere, con l'unica differenza che, ove difettino i requisiti sostanziali, il rigetto sarà definitivo, mentre ove difettino quelli processuali l'azione penale potrà eventualmente essere riproposta.

La sussistenza o meno della condizione di procedibilità richiesta dalla legge penale quale quella della presenza del cittadino nel territorio dello Stato in caso di delitto comune commesso all'estero, va valutata non in riferimento al momento in cui viene iniziata l'azione penale, ma con riferimento al momento della definizione del giudizio di merito, di primo o anche di secondo grado. È pertanto necessario e sufficiente che i presupposti sui quali la condizione si fonda sussistano in quel momento, a nulla rilevando la loro originaria carenza, una volta che quest'ultima non sia stata rilevata all'atto della definizione giurisdizionale di alcune delle fasi processuali, tanto da consentire la prosecuzione del procedimento. (Fattispecie di ritenuta illegittimità della declaratoria di improcedibilità originaria dell'azione penale, pronunciata dal giudice d'appello, pur apparendo dagli atti che la condizione della presenza del cittadino, imputato di reato comune commesso all'estero, si era comunque verificata anteriormente alla sentenza di primo grado).

Cass. pen. n. 9093/1990

Al fine dell'applicabilità della legge penale italiana nel caso di delitto comune del cittadino italiano all'estero è necessaria la condizione della presenza del colpevole nel territorio dello Stato italiano sia nelle ipotesi previste dal primo comma dell'art. 9 c.p., sia, pur se non espressamente enunciata, in quelle configurate nel secondo comma dello stesso articolo.

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S. C. chiede
sabato 17/12/2022 - Toscana
“Supponiamo che un cittadino Italiano sia querelato all'estero per un delitto commesso all'estero (in Spagna), ad esempio per un presunto delitto di natura sessuale ai danni di un cittadino straniero maggiore di età.
Nel caso in cui il cittadino Italiano querelato sia residente in Italia, al momento che viene querelato all'estero il processo è di competenza Italiana ?
Se la querela arrivasse fuori dai tempi di caducità della querela Italiani ( ad esempio dopo un anno per reati sessuali), ma nel paese dove è stato commesso il fatto la querela fosse ancora valida ( essendovi ad esempio a disposizione molti anni per presentarla ),
il reato sarebbe archiviato in entrambi i paesi ?”
Consulenza legale i 27/12/2022
Il codice penale sancisce il principio di territorialità, che significa che è punibile secondo la legge italiana colui che commette un reato nel territorio dello Stato italiano. Secondo il principio di territorialità, l’applicazione della legge penale è, di regola, circoscritta al territorio dello Stato ed alla sua osservanza sono tenuti cittadini, stranieri e apolidi che vi si trovano. Infatti, l’art. 3 comma 1 del cp (“Obbligatorietà della legge penale”) stabilisce che “la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale”. Al contempo, l’art. 6 comma 1 del cp (“Reati commessi nel territorio dello Stato”) stabilisce che “Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana”.
La nozione di “territorio dello Stato” è, a sua volta, declinata all’ 4 comma 2 del cp (“Cittadino italiano. Territorio dello Stato”) per cui: “Agli effetti della legge penale, è territorio dello Stato il territorio della Repubblica ed ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera”.
Per “territorio dello Stato italiano” si intende il territorio della Repubblica, ovvero:
– la superficie terrestre compresa nei suoi confini politico-geografici;
– il mare costiero (fino dodici miglia marine dalla linea costiera;
– lo spazio aereo ed il sottosuolo;
– le navi e agli aeromobili italiani, ovunque essi si trovino.

Per rispondere alla domanda bisogna analizzare è quanto disposto dagli articoli 7-10 del codice di procedura penale italiano. Si tratta di disposizioni che individuano i criteri di applicazione della competenza e prevedono che, dopo aver commesso un reato all’estero, è possibile sostenere il processo in Italia.
Alcuni reati benché commessi all’estero (e non sul territorio dello Stato Italiano così come sopra individuato) vengono puniti secondo la legge italiana e ciò a prescindere dal fatto che l’autore sia cittadino italiano o straniero (sono i c.d. reati politici): è il caso dei
- delitti contro la personalità dello Stato,
-di quelli di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto,
- di falsità di monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o di valori bollati o di carte di pubblico credito italiano,
- reati commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato perpetrati abusando di poteri o violando i doveri inerenti le loro funzioni,
-ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge italiana.
Per delitto politico si intende ogni delitto che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino.
sono reati punibili secondo la legge italiana anche quelli commessi da un cittadino italiano nei quali è perseguito un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena dell’ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni.
Quando, invece, si tratta di delitti punibili con la reclusione inferiore a tre anni affinchè venga applicata la Legge italiana, oltre alla presenza del reo nel territorio dello Stato italiano, occorre apposita richiesta del Ministro della Giustizia, ovvero l’istanza o la querela della persona offesa.

Proprio perché consentono la persecuzione di reati commessi all’estero, le disposizioni sovra citate costituiscono una deroga al principio di territorialità della legge penale sopraindicato. Tale deroga è specificata in senso generale dall’art. 3, comma 2, c.p. per cui “La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovino all’estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale”, ove tra i “casi stabiliti dalla legge medesima (penale, NDR)” rientrano segnatamente gli art. art. 7 del c.p. , art. 8 del c.p. e art. 9 del c.p. in esame. Per quanto precede, infatti, la sanzione prevista da tali articoli consegue alla qualificazione del reato commesso all’estero “secondo la legge italiana” (o “secondo la legge medesima”).
Trattandosi di un presunto reato di natura sessuale rientrerebbe con ogni probabilità nella sfera di applicazione dell’art. art. 9 del c.p..
Qualora il reato sia stato commesso interamente all’estero, la competenza è determinata successivamente dal luogo della residenza, della dimora, del domicilio, dell’arresto o della consegna dell’imputato.
Per tali ragioni, qualora la persona offesa abbia sporto querela è possibile che il reato venga perseguito anche in italia, se sussistono determinati requisiti, indicati dall’art. art. 10 del c.p..
In primo luogo, per poter affrontare il processo penale in Italia, la persona che ha commesso il reato deve necessariamente trovarsi nello Stato Italiano nel momento dell’esercizio dell’azione penale.
In secondo luogo, è necessaria la cosiddetta doppia incriminabilità secondo cui è condizione indispensabile che i reati commessi all’estero dallo straniero risultino punibili come illeciti penali oltre che dalla legge penale italiana anche dall’ordinamento del luogo ove sono stati consumati (in questo caso in Spagna).
Inoltre, il termine valido entro cui è possibile proporre la richiesta di procedimento è quello di tre anni previsto dall' art. [[n128]] comma 2 del c.p.p. Questo termine inizia a decorrere dal momento in cui il reo si trova nel territorio dello Stato.
La presenza del cittadino nel territorio statale è condizione di procedibilità e non di punibilità e l'assenza di tale requisito al momento dell'esercizio dell'azione penale determinerà una sentenza di non luogo a procedere ove il Pubblico Ministero chieda comunque il rinvio a giudizio.
Se la querela arrivasse fuori dai tempi di caducità della querela Italiana ma nel paese dove è stato commesso il fatto la querela fosse ancora valida, non sarebbe possibile perseguire il reato in italia (salvo non si tratti di reati perseguibili d’ufficio) mentre in Spagna si e potrebbe essere possibile – e conveniente - spostare il processo in Italia.

Da ultimo, nell'ambito del diritto dell'Unione Europea, è principio generale quello del ne bis in idem e, come tale, deve trovare pieno riconoscimento nell'ordinamento interno, e dunque, «ogni sentenza emessa da uno Stato membro deve valere quale sentenza di ogni singolo Stato, sul presupposto che si tratta di ordinamenti fondati sul rispetto dei diritti umani e delle garanzie difensive che costituiscono il nucleo del giusto processo».

Una Convenzione della Comunità Europea (25 maggio 1987, ratificata in Italia con legge n. 350/89) e la Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen hanno stabilito, però, che è fatto divieto di giudicare nuovamente chi sia stato giudicato all’estero, a condizione che la pena comminata sia stata eseguita o sia in corso di esecuzione o non possa più essere eseguita.