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Articolo 2237 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Recesso

Dispositivo dell'art. 2237 Codice Civile

Il cliente può recedere dal contratto [1373](1), rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta [1671, 2227, 2231].

Il prestatore d'opera può recedere dal contratto per giusta causa [2119]. In tal caso egli ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente [1672, 2228].

Il recesso del prestatore d'opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente.

Note

(1) Si tratta di recesso ad nutum esercitabile in qualunque momento e senza giustificazione causale.
Stante l'amplia facoltà di recedere prevista a favore del cliente, questi dovrà corrispondere al prestatore d'opera un compenso per l'attività svolta.
Ciò nonostante l'esercizio del diritto di recesso ha carattere derogabile, cosicché le parti possono escludere tale facoltà sino al termine del rapporto.

Ratio Legis

Tale norma si contrappone all'art. 2227 che non prescrive di corrispondere un compenso al prestatore d'opera per il mancato guadagno.

Massime relative all'art. 2237 Codice Civile

Cass. civ. n. 29745/2021

Nel contratto di prestazione d'opera intellettuale, quando esista una valida intesa fra le parti per determinare convenzionalmente il compenso, la pattuizione resta valida anche nel caso di recesso del committente, con l'unica conseguenza della riduzione del corrispettivo pattuito per l'intera opera, in proporzione della parte realizzata; in tal caso, però, non possono applicarsi le disposizioni dell'art. 10 della l. n. 143 del 1949, circa la maggiorazione del venticinque per cento del compenso, operando le stesse solo in mancanza di determinazione pattizia.

Cass. civ. n. 29745/2020

Ai sensi dell'art. 2500 quinquies c.c. la trasformazione di una società non libera i soci a responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali anteriori alla iscrizione della delibera di trasformazione nel registro delle imprese, se non risulta che i creditori sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione; quest'ultimo si presume se i creditori, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata, non hanno espressamente negato la loro adesione nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione, la quale deve avere come oggetto specifico la trasformazione della società. Ne consegue che, ai fini della operatività della presunzione di consenso, all'omessa comunicazione non possono supplire né la conoscenza acquisita "aliunde" della trasformazione da parte dei creditori, né l'invio di atti ai medesimi dai quali l'avvenuta trasformazione sia riconoscibile, né la notizia legale dell'avvenuta trasformazione che deriva dalla pubblicità della delibera.

Cass. civ. n. 185/2020

Il contratto di prestazione d'opera intellettuale, ai sensi dell'art. 2230 c.c., è disciplinato dalle norme contenute nel capo secondo del titolo terzo del libro quinto del codice civile, nonché, se compatibili, da quelle contenute nel capo precedente riguardanti il contratto d'opera in generale. Posto che la disciplina del recesso unilaterale dal contratto prevista dall'art. 2237 c.c. dispone che, in caso di recesso del cliente, al prestatore d'opera spetta il rimborso delle spese sostenute ed il corrispettivo per l'opera eseguita, mentre quella dettata dall'art. 2227 c.c. per il contratto d'opera in generale comprende anche il mancato guadagno, vi è incompatibilità tra le due disposizioni con conseguente prevalenza della norma speciale, in ragione delle peculiarità che contraddistinguono la prestazione d'opera intellettuale.

Cass. civ. n. 21904/2018

La previsione della facoltà di recesso "ad nutum" del cliente nel contratto di prestazione d'opera intellettuale, quale contemplata dall'art. 2237, comma 1, c.c., non ha carattere inderogabile e, quindi, è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa una tale facoltà di recesso fino al termine del rapporto, ragion per cui anche l'apposizione di un termine ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga convenzionale alla suddetta facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, senza che a tal fine sia propriamente necessario pervenire alla conclusione di un patto specifico ed espresso.

Cass. civ. n. 16596/2016

In tema di contratto d'opera professionale, ove il committente abbia receduto "ad nutum" ex art. 2237 c.c., il professionista (nella specie, un geometra) che abbia agito nei suoi confronti in via risarcitoria, chiedendone la condanna a titolo di responsabilità contrattuale, non può successivamente, in tale giudizio, invocare l'applicazione delle clausole contrattuali che fissano il compenso per il caso di recesso del committente ovvero dell'indennità di cui all'art. 10, comma 1, della l. n. 143 del 1949, trattandosi di domanda nuova, di natura indennitaria, che si fonda sull'esercizio di una facoltà spettante "ex lege" al committente e non già su di un suo atto illegittimo.

Cass. civ. n. 4459/2016

Il recesso dal contratto di prestazione d'opera professionale non richiede una specifica manifestazione di volontà in tal senso, essendo sufficiente un comportamento chiaramente indicativo della determinazione che l'opera del professionista non venga condotta a termine.

Cass. civ. n. 469/2016

In tema di contratto di opera professionale, la previsione di un termine di durata del rapporto non esclude di per sé la facoltà di recesso "ad nutum" previsto, a favore del cliente, dal primo comma dell'art. 2237 c.c., dovendosi accertare in concreto, in base al contenuto del regolamento negoziale, se le parti abbiano inteso o meno vincolarsi in modo da escludere la possibilità di scioglimento del contratto prima della scadenza pattuita. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, visto il carattere altamente fiduciario di un incarico conferito ad un medico ed avente ad oggetto anamnesi, diagnosi, informazione, consulenza ed assistenza per la cura di una malattia rara, aveva escluso che la clausola di durata biennale del contratto potesse univocamente intendersi quale rinuncia del paziente alla facoltà di recesso)

Cass. civ. n. 9220/2014

Il recesso per giusta causa del prestatore d'opera intellettuale, ai sensi dell'art. 2237, terzo comma, cod. civ., particolare applicazione del principio di buona fede oggettiva, va esercitato con modalità tali da evitare al cliente il pregiudizio dell'improvvisa rottura del rapporto, concedendogli il tempo di provvedere agli interessi sottesi al contratto.

Cass. civ. n. 22786/2013

In tema di contratto d'opera, la previsione della possibilità di recesso "ad nutum" del cliente contemplata dall'art. 2237, primo comma, c.c., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa tale facoltà fino al termine del rapporto, dovendosi ritenere sufficiente - al fine di integrare la deroga pattizia alla regolamentazione legale della facoltà di recesso - la mera apposizione di un termine al rapporto di collaborazione professionale, senza necessità di un patto espresso e specifico. Ne consegue che, in tale evenienza, l'interruzione unilaterale dal contratto da parte del committente comporta per il prestatore il diritto al compenso contrattualmente previsto per l'intera durata del rapporto.

Cass. civ. n. 14510/2012

L'art. 2237 c.c., il quale pone a carico del cliente che receda dal contratto d'opera il compenso per l'opera svolta (indipendentemente dall'utilità che ne sia derivata), può essere derogato dai contraenti, i quali possono subordinare il diritto del professionista al compenso alla realizzazione di un determinato risultato, con la conseguenza che il fatto oggettivo del mancato verificarsi dell'evento dedotto come oggetto della condizione sospensiva comporta l'esclusione del compenso stesso, salvo che il recesso "ante tempus" da parte del cliente sia stato causa del venir meno del risultato oggetto di tale condizione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in applicazione dell'enunciato principio, aveva negato il diritto al compenso al professionista per l'assistenza medico-legale svolta in un giudizio risarcitorio, avendo le parti condizionato il compenso stesso all'esito positivo della lite, laddove la causa si era conclusa con il definitivo rigetto della domanda di risarcimento, escludendo altresì che il recesso, operato dal cliente già al termine del procedimento di primo grado, potesse valutarsi come causa del mancato avveramento del risultato auspicato).

Cass. civ. n. 6170/2011

Il prestatore d'opera intellettuale che receda dal contratto in presenza di una giusta causa ha diritto al compenso per le prestazioni già eseguite, a condizione che provi l'esistenza del suo credito e, dunque, anche il risultato utile derivato al cliente per la sua opera; ove, invece, il professionista receda senza giusta causa, lo stesso è tenuto al risarcimento del danno di cui il cliente abbia dimostrato l'esistenza.

Cass. civ. n. 24367/2008

In tema di contratto d'opera, risponde ad interessi meritevoli di tutela per entrambe le parti, "ex" art. 1322 cod. civ., la pattuizione di predeterminazione della durata in deroga alla regolamentazione legale del recesso dal contratto, con la conseguenza che l'interruzione del rapporto contrattuale, per l'inadempimento di una delle due parti alla detta pattuizione, comporta per l'altra il diritto al risarcimento integrale del danno per la mancata esecuzione del rapporto nel periodo di tempo residuo rispetto alla scadenza del termine medesimo.

L'istituto del recesso per giusta causa, previsto dall'art. 2119 cod. civ., in relazione al rapporto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto d'opera, ove vi sia un fatto imputabile ad una delle parti che impedisca la prosecuzione anche temporanea del rapporto, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e correttamente motivata. (Nella specie, il committente aveva mutato il contesto nel quale l'obbligazione doveva essere eseguita in modo tale da snaturarne oggetto e. contenuto, ed aveva preteso l'adempimento di una obbligazione diversa e più onerosa da quella assunta, con obblighi di collaborazione, se non di sott'ordinazione, originariamente non contemplati; la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che tale condotta, in quanto volta ad incidere sulle condizioni originariamente pattuite, da ritenersi essenziali in ragione della natura dell'incarico che era stato accettato, costituisse un inadempimento grave alle obbligazioni assunte con il contratto e legittimasse il recesso per giusta causa).

Cass. civ. n. 9996/2004

Il recesso ingiustificato dal contratto di una delle parti (nel caso di specie, del professionista mandatario incaricato di svolgere una perizia contrattuale) giustifica la condanna generica di questa al risarcimento del danno, indipendentemente dal concreto accertamento di uno specifico pregiudizio patrimoniale, posto che l'anticipato scioglimento del rapporto è di per sé un evento potenzialmente generatore di danno, avendo turbato e compromesso le aspettative economiche della parte adempiente, anche se fatti specifici di violazione contrattuale non abbiano, in ipotesi, prodotto direttamente alcun pregiudizio patrimoniale al contraente incolpevole.

Cass. civ. n. 3062/2002

L'art. 2230 c.c., relativo alla prestazione d'opera intellettuale, stabilisce che il relativo contratto è disciplinato dalle norme contenute nel capo secondo del titolo terzo del libro quinto del codice civile, nonché, se compatibili, da quelle contenute nel capo precedente riguardanti il contratto d'opera in generale. Pertanto, poiché la disciplina del recesso unilaterale dal contratto dettata dall'art. 2237 cod. cit. non è compatibile con quella dettata dall'art. 2227 per il contratto d'opera in generale (stabilendo il primo che, in caso di recesso del cliente, al prestatore d'opera spetta il rimborso delle spese sostenute ed il corrispettivo per l'opera eseguita, non anche il mancato guadagno, come previsto dal secondo), ne deriva che la norma speciale (art. 2237) prevale sulla seconda (art. 2227), di carattere generale, in ragione delle peculiarità che contraddistinguono la prestazione d'opera intellettuale.

Cass. civ. n. 5738/2000

La previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente nel contratto di prestazione d'opera intellettuale, quale contemplata dall'art. 2237, comma primo, c.c., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che per particolari esigenze delle parti sia esclusa tale facoltà di recesso fino al termine del rapporto; sicché anche l'apposizione di un termine ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, senza che a tal fine sia necessario un patto specifico ed espresso.

Cass. civ. n. 5775/1999

L'art. 2237 c.c. nel consentire al cliente di recedere dal contratto di prestazione di opera intellettuale ammette, in senso solo parzialmente analogo a quanto stabilito dall'art. 2227 c.c. per il contratto d'opera, la facoltà di recesso indipendentemente da quello che è stato il comportamento del prestatore d'opera intellettuale, ossia prescindendo dalla presenza o meno di giusti motivi a carico di quest'ultimo. Tale amplissima facoltà — che trova la sua ragion d'essere nel preponderante rilievo attribuito al carattere fiduciario del rapporto nei confronti dei cliente — ha come contropartita l'imposizione a carico di quest'ultimo dell'obbligo di rimborsare il prestatore delle spese sostenute e di corrispondergli il compenso per l'opera da lui svolta, mentre nessuna indennità è prevista (a differenza di quanto prescritto dall'art. 2227 cit.) per il mancato guadagno. Ciò non esclude, tuttavia, che ove si inseriscano nel contratto clausole estranee al suo contenuto tipico, alle stesse possano applicarsi, in mancanza di più specifiche determinazioni, le normali regole relative all'inadempimento dei contratti, con la possibilità, nel caso di contratto a prestazioni corrispettive, di avvalersi di quella forma di autotutela rappresentata dall'exceptio inadimplenti non est adimplendum.

Cass. civ. n. 10444/1998

In materia di prestazioni professionali, il recesso operato ai sensi dell'art. 2237 c.c. non fa perdere al prestatore d'opera recedente il diritto al compenso per le prestazioni eseguite, tale compenso non può che essere determinato alla stregua dei criteri previsti dall'art. 2225 c.c., che pone in primo piano la determinazione negoziale. Sicché, in caso di pattuizione forfettaria del corrispettivo, correttamente la parte di esso spettante per le prestazioni rese alla data del recesso viene determinata in misura proporzionale rispetto all'intero compenso.

Cass. civ. n. 3145/1998

Le parti di un contratto di opera professionale, pur subordinando la facoltà di recesso a determinate condizioni, non perciò rinunciano alla generale facoltà di recesso stabilita dall'art. 2237 c.c., dovendo invece tale rinuncia esser inequivoca, in base all'interpretazione demandata al giudice del merito.

Cass. civ. n. 4501/1996

Il carattere fiduciario del rapporto avente ad oggetto una prestazione d'opera intellettuale comporta, stante il principio del recesso ad nutum da parte del cliente di cui all'art. 2237 c.c., che la pattuizione di una scadenza contrattuale debba intendersi come termine di durata massima del rapporto. Ciò non esclude, tuttavia, il potere delle parti di derogare, anche implicitamente, al detto principio, stabilendo che l'intenzione di far cessare il rapporto debba essere manifestata all'altra parte entro un dato termine prima della scadenza del contratto e che, in difetto di ciò, il rapporto debba intendersi tacitamente rinnovato.

Cass. civ. n. 7606/1995

Nell'ipotesi di rapporto d'opera professionale al quale sia stato apposto un termine finale (inteso unicamente a determinare la durata massima del rapporto), il risarcimento del danno cagionato dal recesso anticipato del cliente deve essere liquidato secondo i criteri generali di cui agli artt. 1223 e ss. c.c., avuto riguardo alla peculiarità del rapporto — di carattere fiduciario — ed alle singole clausole di esso; in particolare, pur potendo il danno concretarsi nella mancata percezione, da parte del professionista, dei compensi che gli sarebbero spettati durante il periodo compreso fra la data della anticipata cessazione del rapporto e quella della sua scadenza contrattuale, è compito del giudice procedere ex officio all'accertamento di tutti i fattori causali del pregiudizio subito dal professionista e dell'eventuale concorso di colpa del medesimo, rilevante ai sensi dell'art. 1227, primo comma, c.c., secondo cui se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Compete invece al debitore provare i danni (ex art. 1227, secondo comma, c.c.) che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.

Cass. civ. n. 7753/1992

La semplice apposizione di un termine finale al contratto di prestazione d'opera professionale non implica rinuncia alla facoltà di recesso a norma dell'art. 2237 c.c. — applicabile anche all'attività degli spedizionieri doganali — a meno che la rinuncia stessa non sia stata univocamente espressa dalle parti.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2237 Codice Civile

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Simona L. chiede
mercoledì 09/03/2022 - Piemonte
“Circa un mese fa mi rivolgo a un chirurgo plastico della mia città per risolvere una conseguenza antiestetica causata da un intervento risalente al 2014.
Col chirurgo scatta subito un'ottima sintonia, al punto che già nel corso del nostro secondo incontro – che si rivelerà l'ultimo – gli confermo che desidero proseguire e sottopormi al tipo di intervento che in quel momento genericamente mi propone, presso la clinica in cui opera.
L'intervento viene fissato per il 10 marzo.
Giovedì scorso però, 3 marzo, quando mi reco, su appuntamento, presso lo studio del dottore per l'ultimo incontro prima dell'intervento – nel corso del quale il medico avrebbe analizzato l'esito degli esami preoperatori e spiegato come avrebbe proceduto in sala operatoria – il medico non c'è, lo studio è chiuso, e il dottore non risponde al cellulare né mi richiama nelle ore successive.
Quando riesco a rintracciarlo, il chirurgo butta lì una spiegazione pasticciata (non aveva segnato l'appuntamento, poi è sopraggiunto un imprevisto, non ha avvisato perché il cellulare non gli ha tenuto in agenda l'incontro, di me si ricordava ma si è dimenticato) e, pur scusandosi, assume nei confronti dell'accaduto un atteggiamento bonario (porti pazienza… / cose che capitano) che col trascorrere delle ore mi piace sempre meno e che, per via della svagatezza e della leggerezza che testimonia, mina la fiducia che avevo riposto in questa persona, nella sua precisione, concentrazione, professionalità.
Col trascorrere delle ore, poi, mi pare di cogliere ulteriori anomalie nella versione fornita dal dottore. Anche abbuonandogli l'aver dimenticato di inserire in agenda il mio appuntamento e volendo credere alla tesi dell'imprevisto, qualcosa non torna, specie sul piano dell'atteggiamento che ci si attende da un chirurgo come si deve. Possibile – ad esempio – che trovare, durante o dopo l'imprevisto, una chiamata persa proveniente dal mio numero, non lo abbia indotto a porsi una domanda, a fare mente locale sul nostro percorso di avvicinamento all'operazione, dirsi: ah già, Simona Luison | ma non dovevamo vederci in questi giorni? | quando era fissato l’incontro? | come mai non lo vedo in agenda né oggi né la prossima settimana? | mi devo essere perso qualcosa | la richiamo, io, subito.
E invece no. Il dottore, quando riesco a parlargli, cade dalle nuvole; non si è accorto di niente, non si è chiesto mezza cosa, si rivolge a me flemmaticamente, come nulla fosse. E la placidità con la quale affronta il rimedio all'accaduto peggiora le mie sensazioni, dandomi l'impressione che, autoassolvendosi con grande facilità (cose che capitano…), il dottore tratti l'incontro perduto come un mancato appuntamento dal parrucchiere (vabbè, dai, ri-fissiamo. Io ho un altro posto domani alle 14. Lei può?) anziché come un inadempimento importante, al cospetto di una paziente che dovrà essere operata fra pochissimi giorni (4 lavorativi), alla quale ancora non ha detto come davvero intende procedere in sala chirurgica, che – e lui lo sa – è contenta ma anche spaventata dall'intervento in arrivo, dall'anestesia, che sta per affrontare un intervento delicato, che forse domani potrà esserci per un nuovo appuntamento ma anche no.
Al di là dell'incontro saltato, dell'imprevisto, dell'agenda ballerina, la mia impressione è quella di un medico un po' troppo spensierato.
Disorientata da questi eventi e memore di come già una volta io l'abbia pagata cara per essermi affidata a un chirurgo che sembrava in un modo ma era in un altro, la notte di giovedì dormo poco e male, al punto che la mattina successiva, venerdì 4 marzo, ho una forte emicrania, e non credo di riuscire a raggiungere il dottore in studio per il nuovo appuntamento fissato. Avviso dunque il chirurgo, via email, del fatto che mancherò il nostro incontro, e pur anticipandogli la scansione degli esami che avrebbe dovuto vagliare, gli scrivo che non sono più sicura di volermi sottoporre all'intervento.
Al posto di rincuorarmi, fare uno più uno circa il possibile nesso fra gli eventi del giorno prima e l'insicurezza ora manifestatagli, dire una frase in più, recuperare il rapporto, provare semmai a spostare di una settimana la sala operatoria, a maggior ragione che la clinica è piccola e certo non oberata di interventi, il dottore mi risponde con poche frasi corte e secche, fra le righe delle quali colgo una malcelata rabbia e un sottile gioco di rovesciamento delle parti entro il quale l'inaffidabile sarei io.
Questa risposta, unita all'accaduto del giorno antecedente, a piccole altre cose pregresse, al mio timore, ora, di sottopormi a un delicato intervento guidato da una persona rivelatasi sbadata, emotivamente malferma, un tantino pressapochista e pronta a reazioni dure pur essendo in difetto, mi convince del fatto che è meglio interrompere tutto e subito, a maggior ragione poiché il medico stesso mi invita a comunicargli in fretta se questo intervento lo voglio fare o meno, perché lui ha fissato una sala operatoria e una equipe.
Ulteriormente persuasa da tale brutto atteggiamento, al limite dello sgarbato e poco onesto intellettualmente, la mattina di sabato, 5 marzo, comunico che l'intervento non desidero più farlo e chiedo l'IBAN verso il quale disporre la remunerazione del tempo che il chirurgo mi ha dedicato fin lì. Il medico mi risponde – senza soffocare uno scatto di arroganza, "pretendendo" (neanche tanto fra le righe) spiegazioni da parte mia, e non trattenendo sottili sfoggi di superiorità etico-morale – che per sé non chiede nulla (non ci sono parcelle per me | cerco di costruire un rapporto di fiducia | non sono il tipo che chiede danari) ma ci sarebbero 950 euro da pagare per la "prenotazione della clinica"; soldi che il dottore per un verso mi chiede ma per altro verso mi lascia libera di non pagare, adoperando la (ulteriormente sgarbata) espressione "faccia come crede".
La cifra menzionata può davvero essermi addebitata, tenuto conto dell'accaduto?”
Consulenza legale i 16/03/2022
L’accaduto dipinge una tipica dinamica di rapporto medico-paziente.
Quest’ultimo, più di ogni altro rapporto professionale, si basa sull’assoluta fiducia riposta nell’operato del sanitario a cui ci si affida, il quale avrà nelle sue mani la salute del paziente.
Non a caso si parla, in tali ipotesi, di contratto d’opera intellettuale stipulato “intuitu personae”, ossia basandosi sulla fiducia riposta nelle capacità del professionista. Fiducia che, una volta venuta meno, potrebbe portare allo scioglimento del rapporto giuridico in essere.

Nel caso che occupa, è stato stipulato un contratto d’opera intellettuale, ai sensi dell’art. 2230 del c.c., con la clinica chirurgica.
Il comportamento tenuto dal chirurgo non può di certo considerarsi ineccepibile, dal punto di vista della trasparenza comunicativa con la paziente. Ciononostante, non si ritiene si possa parlare di inadempimento del chirurgo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1218 c.c.
È vero che il chirurgo non si è presentato all’appuntamento fissato per l’analisi degli esami preoperatori; ciononostante, è stato a tal fine fissato un secondo appuntamento, e non è possibile ritenere con certezza che il chirurgo si sarebbe necessariamente rivelato poco affidabile anche negli incontri successivi o in sede operatoria.

Ciò che conta, in ogni caso, è che la fiducia riposta dalla paziente nei confronti del medico è venuta meno, per motivi sostanzialmente insindacabili, attinenti appunto alla credibilità, agli occhi della paziente, del medico.

Dal punto di vista giuridico, il comportamento tenuto dalla paziente può essere qualificato come “recesso”.
In via generale, il Codice Civile prevede, all’art. 1373 c.c., che la facoltà di recesso debba essere attribuita esplicitamente dal regolamento contrattuale sottoscritto. Si ritiene, infatti, che tale facoltà di recedere sia un vantaggio rilevante che viene attribuito a una delle parti la quale può, a sua discrezione, sciogliersi dal contratto, che è “legge” tra le parti.


Nel settore specifico dei contratti di opera intellettuale, tuttavia, l’art. 2237 del c.c. prevede che “il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta”, quindi sancendo una possibilità di recedere più ampia.
La giurisprudenza (Cassazione civile n. 5775/1999) ritiene che la facoltà di recesso, nel caso di prestazione di opera intellettuale, sussista “indipendentemente da quello che è stato il comportamento del prestatore d'opera intellettuale, ossia prescindendo dalla presenza o meno di giusti motivi a carico di quest'ultimo". I giudici affermano che "tale amplissima facoltà - che trova la sua ragion d'essere nel preponderante rilievo attribuito al carattere fiduciario del rapporto nei confronti del cliente - ha come contropartita l'imposizione a carico di quest'ultimo dell'obbligo di rimborsare il prestatore delle spese sostenute e di corrispondergli il compenso per l'opera da lui svolta”.

Tale estesa facoltà di recesso, cosiddetto “ad nutum”, ossia a discrezione del cliente, trova il proprio fondamento nella natura di un rapporto così delicato, quale quello medico-paziente.
Ciononostante, come emerge dalla norma, il cliente dovrà comunque corrispondere al professionista un compenso per l’impegno tenuto (appuntamenti, pareri forniti, ingaggio dell’equipe medica per l’operazione, e via dicendo).
Ovviamente, non potrà esser chiesto al paziente di pagare l’intero compenso dovuto per il caso in cui l’operazione fosse stata effettuata, ma tale importo va determinato proporzionalmente rispetto alle spese sostenute dal professionista e al tempo speso per organizzare l’intervento.

In mancanza di altre più precise informazioni, si può ritenere che la somma indicata dal chirurgo possa costituire un punto di riferimento ragionevole.
Tuttavia, anche alla luce del parziale inadempimento dovuto all’assenza all’appuntamento fissato per l’analisi della documentazione medica, e del fatto che il sanitario stesso (sia pur tra le righe) abbia riconosciuto la non totale spettanza di tale cifra, si può ritenere congruo corrispondere una somma ridotta rispetto a quanto richiesto, sulla base delle considerazioni sopra svolte.

Considerato che un corrispettivo per le spese sostenute può di certo essere legittimamente richiesto dal professionista al cliente che recede, si tratta di trovare un accordo sull’importo da corrispondere, alla luce delle contestazioni del cliente sull’operato del sanitario.

Si può quindi consigliare di inviare una comunicazione al medico, dichiarandosi pronti a corrispondere il dovuto, e, considerato anche il comportamento avuto dal medico che ha indotto la paziente a desistere dall’intervento, avanzando una “contro-proposta” sulla base di quanto si ritiene equo versare.

MARTINO M. chiede
lunedì 10/01/2022 - Puglia
“Gentilissimi,
sono un giovane odontoiatra (laureato ed abilitato alla professione) ed anche studente specializzando in una scuola di specializzazione odontoiatrica post-laurea (formazione accademica in corso).
In alcuni giorni della settimana lavoro come -libero professionista- presso cliniche pubbliche e private (con regolare contratto di collaborazione professionale), in altri giorni della settimana frequento la scuola di specializzazione in università (presso cui sono regolarmente iscritto e presso cui devo sottostare ad un esame annuale per poter essere promosso e passare all'anno di iscrizione successivo).
Ho scoperto che la mia università ha anticipato l'appello di esame di fine anno (evento da me non prevedibile, di forza maggiore), con la contezza che NON potrò dare il preavviso legale per poter modificare le mie turnazioni di lavoro presso le cliniche dove lavoro.
Nei contratti che ho firmato c'è scritto che:
- posso modificare le turnazioni mensili con preavviso di 2 settimane, con obbligo di recupero in altre giornate: pena una penale di 250 euro.
- posso recedere dal contratto con preavviso di 30 giorni
- posso recedere dal contratto con effetto immediato per giusta causa, intendendosi una qualunque causa, di qualsiasi natura, che non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto.

Purtroppo devo iniziare a studiare per l'esame, la cui data di appello anticipata per motivi non dipendenti dalla mia volontà, non mi consente di avvisare per tempo le cliniche presso cui lavoro

- nè con preavviso di 2 settimane per la clausola di "cambio turni", e non potendo nemmeno recuperare in altri giorni, perchè per circa 3-4 settimane dovrò stare a casa-università a studiare

- nè con preavviso di 30 giorni per la clausola di "recesso"

Come posso risolvere la situazione?
Lo studio universitario rappresenta una "giusta causa" per poter - da libero professionista - chiedere di mettere in pausa i miei turni lavorativi? O anche per chiedere un recesso immediato per giusta causa?
Ovviamente alla firma del contratto, i responsabili legali che hanno acquisito la mia firma sapevano che ero uno specializzando universitario, per altro sono anche un odontoiatra "Junior" poiché mi sono laureato ed abilitato alla professione da circa poco più di 1 anno. Ho bisogno di studiare anche per sostenere le mie competenze e conoscenze per il mondo del lavoro.”
Consulenza legale i 17/01/2022
L'istituto del recesso per giusta causa, previsto dall'art. 2119 c.c. in relazione al rapporto di lavoro subordinato, è contemplato anche con riferimento al contratto di prestazione d’opera professionale (art. 2237 c.c.). La giusta causa si configura come un fatto imputabile ad una delle parti che impedisca la prosecuzione anche temporanea del rapporto. È costituita da un comportamento estremamente grave, tale da interrompere ogni legame di fiducia che dovrebbe sussistere tra le parti del contratto. La giusta causa è dunque un evento sopravvenuto, imputabile al dolo (ossia alla malafede) o alla grave colpa (negligenza, imprudenza o imperizia) di una delle due parti, che consente di risolvere ogni rapporto in essere tra le stesse. La valutazione della sussistenza della giusta causa è rimessa al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e correttamente motivata.

Definita così la giusta causa, non sembra possibile ritenere “giusta causa” la necessità di studiare per gli esami universitari, che rappresentano comunque un’esigenza personale del prestatore d’opera professionale e sono estranei al rapporto contrattuale.

Anche invocare la forza maggiore (definito come un evento straordinario ed imprevedibile, ad es. i terremoti, gli uragani, le guerre, le ribellioni, le pandemie), sembra inappropriato nel caso di specie. Infatti, si potrebbe eccepire che la necessità di dover studiare era conosciuta fin dal momento della stipulazione del contratto ed è comunque estranea al rapporto di lavoro.

Pertanto, salva comunque la possibilità di giungere ad un accordo con l’azienda presso cui si presta attività, a livello contrattuale non resta che cambiare i turni senza preavviso, pagando la penale, oppure recedere senza preavviso con la possibilità che l’azienda richieda un risarcimento del danno.


Franco R. S. chiede
giovedì 28/01/2021 - Toscana
“Buongiorno...
Il 19 Novembre 2015 ho sottoscritto un accordo di prestazione d'opera/assistenza (allegato), in cambio di corrispettivo economico stabilito con una signora di origine russa, coniugata e residente in Italia, con la firma della sorella come testimone (veste non esplicitata nel documento) per aiuto all'ottenimento della pensione di reversibilità del coniuge defunto.
La sig.ra era in difficoltà in quanto, per problematiche psicocaratteriali e di salute (alcoolismo, in qualche modo e tempi tuttora perdurante) si trovava con tutti i documenti d'identità italiani, ed il passaporto russo, scaduti, aveva perso la residenza per mancata presentazione alle lettere d'invito dell'Uff. Anagrafe Comunale, residenza e documenti di cui non riusciva ad ottenere il rinnovo, senza più permesso di soggiorno, senza lavoro, non si era premurata a suo tempo di chiedere la cittadinanza italiana, e quindi non aveva idea come e cosa fare per uscire da una situazione economica disperante.
Dopo varie attività svolte con e per lei.... ispezioni e colloqui presso gli uffici dell'Amministrazione Comunale di residenza, un viaggio all'ambasciata russa di Roma, un viaggio al Consolato russo di Genova, nell'intervallo di attesa di chiamata da parte di quest'ultimo, per ritiro passaporto, la signora m'informa di non avere più necessità di me, dicendo che poteva fare personalmente quanto necessario per la sistemazione della sua situazione e l'ottenimento della pensione.
Alla mia successiva richiesta di onorare l'impegno contrattuale sottoscritto, che aveva disdetto unilateralmente, con la corresponsione del compenso economico pattuito, la stessa rifiutava recisamente, dichiarandosi disposta solo al pagamento delle spese da me affrontate per quanto svolto, ma solo a fronte delle relative ricevute di spesa.
In data 01 Ottobre 2019 ho inviato alla signora in questione, tramite legale, una diffida ad adempiere (allegata) per il pagamento della cifra dovuta, con l'offerta di addivenire ad un possibile accordo in proposito, dando tempo 15 gg. per soddisfare le mie richieste ed evitare una causa legale con i relativi aggravi.
La controparte mi ha contattato via telefono, sia personalmente che da una sua amica, solo per reiterare il suo diniego e indirizzarmi vari epiteti e critiche.
Posso aggiungere che è possibile forse poter ritrovare stralci di conversazioni registrate fra me, la controparte, e forse la sorella, in cui si trattava della questione e/o degli accordi di cui trattasi.
Preciso che io non ho alcuna veste professionale relativa alle questioni di cui trattasi, sono semplicemente un diplomato pensionato che ha maturato una certa esperienza autodidatta nel corso della vita, in vari campi e problematiche quotidiane, inclusa una minima conoscenza di vari ambiti del diritto, dei due codici di base e della burocrazia, con una solida convinzione sulla forza, valenza ed etica dei contratti, siano essi scritti o verbali.
La mia domanda è: ci sono le condizioni normative e giurisprudenziali che mi possano far sperare nell'ottenimento di quanto ritengo contrattualmente dovuto? Esiste cioè la convenienza aprioristica di affrontare un percorso giudiziario a riguardo?
Grazie”
Consulenza legale i 15/02/2021
Prima di rispondere sulla questione giuridica oggetto del quesito, va fatta una precisazione fondamentale, dovuta ai termini in cui è stata formulata la domanda: nessuna consulenza, per quanto accurata, può dare certezze in merito all’esito di un eventuale giudizio, il quale dipende da variabili che sono sottratte al controllo del professionista (prima fra tutti il convincimento che si formerà il giudice sulla vicenda).
Ciò premesso, il contratto stipulato tra le parti oscilla tra le due diverse figure del contratto di prestazione d’opera intellettuale (artt. 2230 e ss. c.c.) e del mandato (artt. 1703 e ss. c.c.). Poiché, però, l’attività oggetto del contratto non consiste in “atti giuridici” in senso stretto (tra l’altro, non si tratta neppure di attività specificamente indicate, semmai individuate in maniera piuttosto ampia), propendiamo per l’inquadramento nel contratto d’opera. Sul punto, si veda Cass. Civ., Sez. II, 30/03/1995, n. 3803: “il contratto di mandato e di locazione d'opera si distinguono in relazione al rispettivo oggetto, che nel primo caso è rappresentato da un'attività qualificata di conclusione di negozi giuridici per conto e nell'interesse del mandante, e nel secondo da un'attività di cooperazione (estranea alla sfera negoziale) consistente nel compimento di un'opera o di un servizio, materiale od intellettuale.
Conseguentemente, non può qualificarsi di mandato il rapporto nel quale gli atti da compiere consistano solo in una attività esecutiva riguardante adempimenti tecnico-pratici e di cooperazione materiale da cui esuli ogni profilo giuridico-negoziale”.
Ora, poiché il contratto allegato non contiene alcuna previsione riguardante l’eventuale recesso dei contraenti, non possiamo che fare riferimento alle disposizioni del codice civile.
In proposito, l’art. 2237 c.c. attribuisce al cliente la facoltà di recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta.
Quindi il compenso spettante al prestatore, nel nostro caso, dovrà essere determinato tenendo conto delle attività già compiute (oltre al rimborso delle spese che, peraltro, viene espressamente previsto nel contratto).
Chiaramente, mancando un sistema tariffario cui fare riferimento, occorrerà valutare le attività svolte in rapporto al corrispettivo originariamente stabilito in via forfettaria (v. Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 10444 del 21 ottobre 1998, sia pure in tema di recesso del prestatore: "in caso di pattuizione forfettaria del corrispettivo, correttamente la parte di esso spettante per le prestazioni rese alla data del recesso viene determinata in misura proporzionale rispetto all'intero compenso").
Inoltre, l'attività espletata andrà provata, secondo i principi generali in materia di onere della prova (artt. 2697 e ss. c.c.).

A. F. chiede
lunedì 14/12/2020 - Emilia-Romagna
“Buongiorno

sottopongo un caso: come libero professionista informatico, lavoro da molti anni per una società che mi ha sempre pagato le fatture su base mensile assicurandomi lavoro per anche oltre 40/h settimana. Non esiste un contratto scritto.

Recentemente la stessa, senza (neanche verbalmente) avvisarmi mi sta facendo mancare il lavoro assicurandolo ad un dipendente ed ad un altro consulente.

Questo mese infatti ho lavorato per sole 10 ore.

Sto cercando alternative; tuttavia chiedo: immaginiamo che io trovi un alternativa full time e a gennaio li voglia abbandonare;

-devo dare, immagino, un preavviso? di quanto tempo?
-cosa rischio se do tempi stretti (meno di 1 mese)?
-posso correlare il fatto che loro non mi hanno avvertito dell'improvviso calo di lavoro mettendomi in difficoltà, e quindi anche io altrettanto improvvisamente li devo abbandonare per mancanza di lavoro e sono pertanto costretto a fornire un preavviso breve dato che un mese è già passato senza lavoro?
- se trovo un full rime, posso dare una disponibilità ad es il sabato per il passaggio di consegne?

Cordiali saluti

AF”
Consulenza legale i 22/12/2020
Per quanto riguarda il recesso dal contratto di lavoro autonomo, non essendoci un atto scritto che regoli la materia del recesso, sarebbe opportuno comunicare la propria volontà di recedere dal contratto con un certo preavviso, meglio ancora se concordato con il committente.

Non esiste una specifica previsione di legge circa la durata del preavviso nel lavoro autonomo. Quest’ultima è solitamente regolata dal contratto di lavoro autonomo, che nel caso di specie non è stato stipulato.

In linea di massima il preavviso è necessario per consentire al committente di organizzare il lavoro, concedendogli un ragionevole lasso di tempo per individuare un eventuale nuovo collaboratore, agevolando l’eventuale passaggio di consegne ed eventualmente portando a termine le operazioni e i compiti già avviati e che sarebbe troppo oneroso per il committente affidare ad un nuovo collaboratore.

In assenza di preavviso o in presenza di un preavviso troppo breve, il committente potrebbe richiedere un risarcimento del danno per aver interrotto da un giorno all’altro la prestazione della propria opera.

Infatti, secondo la giurisprudenza, il professionista che receda senza giusta causa è tenuto al risarcimento del danno che il cliente abbia dimostrato di aver sofferto a causa del recesso (Cass. n. 6170/2011).

Nel caso di specie, sarebbe opportuno concordare con il committente eventuali termini di preavviso.

Il fatto che il committente abbia modificato unilateralmente le condizioni di lavoro, diminuendo drasticamente le ore di lavoro richieste, non risulta del tutto corretto considerata la durata del rapporto e, soprattutto, l’impegno richiesto fino a poco tempo fa. Il comportamento della committente potrebbe essere considerato una giusta causa di recesso.

Sul punto è utile ricordare che la Legge 22 maggio 2017, n. 81 ha introdotto una serie di rilevanti garanzie a favore del lavoratore autonomo.

In particolare, l'art. 3 provvede a dettare delle regole in materia di stipulazione del contratto stabilendo che sono abusive (il che significa prive di effetti) le clausole che consentono al committente di:
  • modificare unilateralmente le condizioni;
  • recedere dal contratto senza congruo preavviso;
  • stabilire termini di pagamento superiori a sessanta giorni;
  • rifiutarsi di stipulare il contratto in forma scritta.
Nel caso di specie, pur non essendoci un contratto scritto, secondo quanto riferito, il rapporto si protrae ormai da molti anni con una richiesta di oltre 40 ore settimanali di lavoro per il lavoratore autonomo. Si può ritenere pertanto che le parti si siano oralmente e/o per fatti concludenti accordate in tal senso.

L’improvviso calo di lavoro, non accompagnato da comunicazioni e/o spiegazioni da parte della committente, non solo ha determinato un calo di fatturato per il lavoratore autonomo, ma lo ha posto in una situazione di incertezza, dovendo lo stesso cercare ulteriori commesse e/o una nuova occupazione.

Dalla normativa sopra richiamata si evince come l’ordinamento guardi con sfavore le modifiche unilaterali alle condizioni del contratto da parte del committente.

Considerando, quindi, il comportamento della committente come una giusta causa di recesso, il professionista potrebbe esercitare il recesso per giusta causa di cui all’art. 2237, comma 2, c.c.

Il comma 3 del medesimo articolo, tuttavia, prescrive che il recesso del prestatore d’opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio per il cliente.

Secondo la giurisprudenza, il recesso va esercitato con modalità tali da evitare al cliente il pregiudizio dell’improvvisa rottura del rapporto, concedendogli il tempo di provvedere agli interessi sottesi al contratto (Cass. 9220/2014).

Si rinnova, pertanto, l’invito ad accordarsi con la committente circa le tempistiche di un eventuale recesso, pur tenendo in considerazione che, nel caso in cui la committente richieda un preavviso molto lungo, si potrà contrastare tale richiesta adducendo, innanzitutto, la giusta causa di recesso come sopra delineata e, in secondo luogo, il fatto che è stata la committente a ridurre la richiesta di lavoro e ad affidare il lavoro ad altri, con ciò dimostrando che l’opera del professionista interessato non è così importante da poter provocare un danno se interrotta improvvisamente.

Per quanto riguarda il passaggio di consegne, ci si potrà accordare per lo svolgimento dello stesso durante la giornata del sabato, sempre che ciò sia compatibile con l’eventuale nuova occupazione e con le esigenze organizzative del committente.

R. Z. chiede
giovedì 12/03/2020 - Lazio
“Sono un medico e lavoro presso due centri privati accreditati con il sistema sanitario nazionale in regime di libera professione. Entrambe le strutture non pagano regolarmente, la prima fattura è stata pagata con circa 10/12 giorni di ritardo, attualmente la seconda fattura ancora non mi è stata pagata e siamo ad un ritardo di 21 giorni (per intenderci tra 1 settimana dovrei ricevere, se fossero regolari, addirittura il pagamento del mese successivo). Ho provato a scrivere già 2 e-mail di sollecito (non mi forniscono PEC) e ho provato a sentire entrambi i titolari telefonicamente che temporeggiano. Come posso muovermi correttamente per ricevere il pagamento e dopo quanto sono in diritto di procedere per vie legali?
Il non pagamento giustifica l'interruzione del rapporto di lavoro senza il preavviso previsto dal contratto che è di 60 giorni? (essendo un contratto di libera professione gli accordi sono privati fra me e il titolare , e le mie disponibilità in termini di giornate di lavoro vengono decise di mese in mese). Grazie”
Consulenza legale i 18/03/2020
Per quanto riguarda il recupero del credito, si dovrà procedere innanzitutto in via stragiudiziale con un sollecito di pagamento con diffida e formale messa in mora. Per redigere tale atto non è necessaria, ma consigliata, l’assistenza di un legale. La lettera di diffida e messa in mora dovrà contenere l’indicazione del titolo (il contratto) per cui si richiede l’adempimento, l’intimazione ad adempiere e la fissazione di un termine (solitamente 10-15 giorni) entro il quale il debitore dovrà effettuare il pagamento, con l'avvertimento che alla scadenza si procederà per le vie legali.
Nel caso in cui il debitore non dovesse adempiere entro il termine stabilito, si potrà avviare un procedimento per ingiunzione ai sensi dell’art. 633 c.p.c. In questo caso, sarà necessario rivolgersi ad un avvocato.
Il giudice emetterà quindi un decreto ingiuntivo ed il debitore avrà 40 giorni dalla notifica per adempiere, oppure per opporsi al decreto ingiuntivo. Scaduti i 40 giorni senza che il debitore paghi o si opponga, si potrà iniziare l’esecuzione. Si notificherà, quindi, un atto di precetto ed in seguito si procederà con il pignoramento.

Per quanto riguarda, invece, la possibilità di recedere, l’art. 2237, comma 2, c.c. “Il prestatore d'opera può recedere dal contratto per giusta causa. In tal caso egli ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente”.
Per il professionista è quindi previsto il recesso per giusta causa, nella quale potrebbe rientrare il ritardo nel pagamento dei compensi fatturati. A riguardo, la Cassazione ha in passato stabilito, in un caso relativo all'esercizio della professione forense, che l'asserito ritardo del cliente nel versare il compenso può giustificare il recesso (Cass. 2661/1991).
Tuttavia, tale possibilità deve essere valutata tenuto conto di quanto previsto nel contratto sottoscritto con il cliente, poiché in tema di prestazione d’opera intellettuale, la previsione della possibilità di recesso non ha carattere inderogabile e, quindi, è possibile che, per particolari esigenze delle parti sia esclusa tale facoltà.
In considerazione di ciò e tenuto conto che le parti hanno comunque previsto nel contratto un preavviso di 60 giorni, si dovranno considerare anche le concrete circostanze del caso (es.: entità del dovuto, giorni di ritardo ecc.). La valutazione circa la sussistenza del requisito attiene, in ogni caso, ad una questione di merito, per cui è rimessa alla valutazione del giudice di merito.
Tra l’altro, lo stesso art. 2237, comma 3, c.c. precisa che “Il recesso del prestatore d'opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente”. Si tratta di una particolare applicazione del principio di buona fede oggettiva. Il recesso va pertanto esercitato con modalità tali da evitare al cliente il pregiudizio dell’improvvisa rottura del rapporto, concedendogli il tempo di provvedere agli interessi sottesi al contratto (in tal senso, Cassazione n. 9220/2014). Ad esempio, la struttura potrebbe avere difficoltà a reperire un nuovo professionista in caso di recesso senza preavviso. Se il recesso è esercitato in modo illegittimo il professionista è tenuto al risarcimento del danno.
In definitiva, il ritardo nel pagamento delle fatture ben potrebbe essere considerata una giusta causa di recesso dal contratto per il professionista, tuttavia, tale facoltà dovrà essere valutata nel caso concreto sia tenendo conto di quanto stabilito nel contratto, sia dei limiti di cui all’art. 2237, comma 3, sopra citato.

FRANCO G. chiede
mercoledì 25/09/2019 - Veneto
“Un cliente privato ha instaurato un contratto con un professionista Ingegnere, con sottoscrizione tra le parti di un "conferimento di incarico professionale". Detto contratto, prevede un importo forfetario di euro 14.000 riportante" a titolo indicativo e non esaustivo "le diverse prestazioni da effettuarsi allo scopo:
1-progetto edilizio per riduzione in pristino
2-progetto edilizio piano casa
3-rapporti con ente concedente
4-pratica edilizia D.M. 236/89
5-pratica autorizzazioni allo scarico
6-pratica rilascio agibilità
7-rilascio diverse autorizzazioni.
Il contratto sottoscritto prevede le seguenti modalità di pagamento:
-15% per il punto 1
-15% per il punto 2
-15% a 30 gg. dal punto 2
-15% ad inizio lavori
-10% al completamento dei tamponamenti
-10% al complet. delle coperture
-10% al complet. delle chiusure esterne
-10% al rilascio dell' agibilità
In data odierna sono state completate le prestazioni n. 1-2
Il cliente per motivi personali ha deciso di recedere dal contratto.
Il cliente sostiene di dover pagare al massimo il 45% dell'opera complessiva, visto che il lavori non sono mai iniziati. Inoltre il 45% corrisponderebbe a 6.300 euro, e lo stesso ne ha già anticipati 7.500 e vorrebbe la restituzione della differenza versata in eccesso, oltre alla documentazione cartacea ed elettronica relativa alla concessione edilizia D.I.A. presentata, in possesso del professionista
Il professionista sostiene che il prezzo forfetario non può essere applicato in quanto le tariffe per il solo lavoro svolto, conteggiate singolarmente, sarebbero ben più elevate e si riserva di conteggiarle, richiedendo la differenza a suo favore e trattenendo la riconsegna dei documenti necessari al cliente fino a definizione del contenzioso.
Vorrei sapere che cosa prevede la legge e come consigliate di procedere.
Posso inviare il contratto sottoscritto tra le parti”
Consulenza legale i 28/09/2019
Ai sensi dell’art. 2237 c.c. il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d'opera le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta.
Sul punto, la Corte di Cassazione con sentenza n.22786/2013 ha osservato che “in tema di contratto d'opera, la previsione della possibilità di recesso "ad nutum" del cliente contemplata dall'art. 2237, comma 1, c.c., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che, per particolari esigenze delle parti, sia esclusa tale facoltà fino al termine del rapporto, dovendosi ritenere sufficiente - al fine di integrare la deroga pattizia alla regolamentazione legale della facoltà di recesso - la mera apposizione di un termine al rapporto di collaborazione professionale, senza necessità di un patto espresso e specifico. Ne consegue che, in tale evenienza, l'interruzione unilaterale dal contratto da parte del committente comporta per il prestatore il diritto al compenso contrattualmente previsto per l'intera durata del rapporto”.

Nella presente vicenda, il conferimento di incarico professionale non ha previsto un termine di durata né, tanto meno, una qualche penale in caso di recesso.
Tra l’altro, a voler essere pignoli, l’importo del compenso ivi indicato in lettere è difforme da quello indicato in cifre (diecimila contro 14.000). A voler applicare la legge sugli assegni dovrebbe prevalere l’importo in lettere rispetto a quello in cifre.
Ad ogni modo, tralasciando questo aspetto (che comunque, a nostro parere, toglie certezza all’importo effettivamente dovuto) rimane la circostanza che il cliente deve rimborsare al professionista le sole spese sostenute e pagare il compenso per l’opera svolta sino al momento del recesso. Le eccezioni di quest’ultimo secondo cui “il prezzo forfetario non può essere applicato in quanto le tariffe per il solo lavoro svolto, conteggiate singolarmente, sarebbero ben più elevate e si riserva di conteggiarle, richiedendo la differenza a suo favore e trattenendo la riconsegna dei documenti necessari al cliente fino a definizione del contenzioso” appaiono prive di pregio.
In primo luogo, non è dato sapere in base a quale norma quanto disposto nel contratto in merito al prezzo non possa essere applicato in caso di recesso del cliente.
In secondo luogo, quanto all’aspetto del trattenere i documenti, si osserva quanto segue.
L’art. 2235 c.c. dispone che “il prestatore d'opera non può ritenere le cose e i documenti ricevuti, se non per il periodo strettamente necessario alla tutela dei propri diritti secondo le leggi professionali.
Il codice deontologico degli ingegneri italiani all’art. 12 prevede espressamente che “l’ingegnere è tenuto a consegnare al committente i documenti dallo stesso ricevuti o necessari all’espletamento dell’incarico nei termini pattuiti, quando quest’ultimo ne faccia richiesta.”
A ben vedere, “la documentazione cartacea ed elettronica relativa alla concessione edilizia D.I.A. presentata” non rientra tra i “documenti ricevuti” di cui all’art. 2235 c.c.
Pertanto, la loro ritenzione (anche alla luce di quanto disposto dal codice deontologico di categoria) appare del tutto illegittima anche nella prospettiva del professionista di far valere i propri diritti in giudizio.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, se non sia già stato fatto, consigliamo di esercitare il recesso in modo formale mediante lettera raccomandata a/r o pec da inviare al professionista, precisando di aver già corrisposto quanto dovuto per l’opera prestata, riservandosi eventualmente di agire per somme pagate in eccesso, ed intimando la consegna della documentazione.


Maria chiede
mercoledì 19/06/2019 - Lombardia
“Buongiorno,per ottenere il conto da un avvocato revocato o in alternativa una attestazione che nulla è più dovuto si ricorre direttamente al CDD oppure si inoltra la richiesta prima al COA e sarà poi questo a decidere se trasmetterla o meno al CDD.Molte grazie.”
Consulenza legale i 20/06/2019
In base all’art. 2237 c.c. il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d'opera (in questo caso l’avvocato) le spese sostenute e pagando il compenso per l'opera svolta sino al momento della revoca.
Dunque per ottenere il conto da un avvocato revocato o “una attestazione che nulla è più dovuto” occorre rivolgersi in primo luogo direttamente al professionista. In caso di mancata risposta o di rifiuto di quest’ultimo, ci si potrà rivolgere al COA (di cui fa parte l’avvocato revocato) il quale provvederà poi a trasmettere al consiglio distrettuale la notizia di illecito disciplinare per l’apertura del procedimento.

Infatti, il nuovo procedimento disciplinare a carico degli avvocati introdotto dalla legge n. 247/2012 di riforma dell'ordinamento della professione forense, ha stabilito all’art. 50 che il potere disciplinare dei consigli dell’ordine viene devoluto ai Consigli Distrettuali di Disciplina, istituiti presso ciascun Consiglio dell'ordine distrettuale.
Per la precisione, il quarto comma del predetto articolo prevede testualmente che: “Quando e' presentato un esposto o una denuncia a un consiglio dell'ordine, o vi e' comunque una notizia di illecito disciplinare, il consiglio dell'ordine deve darne notizia all'iscritto, invitandolo a presentare sue deduzioni entro il termine di venti giorni, e quindi trasmettere immediatamente gli atti al consiglio distrettuale di disciplina, che è competente, in via esclusiva, per ogni ulteriore atto procedimentale.”

Quindi, in risposta al quesito formulato, possiamo affermare che il cliente inoltra la richiesta direttamente al COA. Sarà poi quest’ultimo a trasmettere gli atti al consiglio distrettuale di disciplina.

Marcello P. chiede
lunedì 28/12/2015 - Emilia-Romagna
“In qualità di dottore tributarista regolarmente qualificato dalla legge n.4/2013 ho subito un rifiuto al pagamento della parcella da un cliente titolare di azienda individuale.
Premesso che il cliente non ha mai firmato un contratto con lo scrivente per il conferimento d’incarico alla tenuta della contabilità e relativi adempimenti accessori; né tantomeno ha firmato un preventivo scritto che è stato però fatto verbalmente e tramite email è stata presentata fattura con specifica indicazione delle prestazioni effettuate nel 2013 ed anche nel 2014;
ad oggi il cliente contesta la mancanza di preventivo rifiutandosi di pagare alcune prestazioni del 2015. Si chiede:
1 In assenza di preventivo firmato, può avere egual valore la parcella inviata tramite email e regolarmente pagata dal cliente per due anni consecutivi, oppure questo comportamento non sana l’anno 2015 in quanto da considerarsi autonomamente?
2 in caso di contrasto sul quantum del compenso, agendo in giudizio il giudice quantifica l’onorario in base ai parametri del mercato oppure sancisce che nulla è dovuto per violazione dell’obbligo del preventivo firmato?
3 in caso di recesso immediato da parte del professionista (vista l’assenza di un contratto firmato con clausola di preavviso), questo è ancora obbligato agli adempimenti successivi (dichiarazioni dei redditi) che comunque potrebbero essere facilmente svolte da altro professionista?
4 nel caso il cliente volesse fare svolgere allo scrivente le dichiarazioni dei redditi, è lecito formulare un nuovo preventivo per questi adempimenti, essendo prestazioni ancora da effettuarsi anche se collegate alla tenuta delle scritture contabili?
5 qualora tale ultimo preventivo non fosse accettato esplicitamente dal cliente, il professionista si può considerare liberato dagli adempimenti delle dichiarazioni dei redditi e relative responsabilità?
Ringrazio anticipatamente per la consulenza fornita.”
Consulenza legale i 04/01/2016
1. La parcella riguarda prestazioni già eseguite, di cui si chiede il compenso, mentre con il preventivo si prospettano i costi di un'attività da eseguire, per cui si tratta di documenti del tutto diversi. Tuttavia, ciò non toglie che l'esistenza di parcelle relative agli anni precedenti, e regolarmente pagate, possa costituire una prova utile al fine di dimostrare l'esistenza di un precedente incarico conferito dal cliente al professionista per un dato corrispettivo, fermo restando che questi dovrà provare l'esistenza dell'incarico per l'ultimo anno (2015).

2. Innanzitutto, è dubbio che per le professioni non regolamentate (cui appartiene quella dei dottori tributaristi ex l. 4/2013) si imponga l'obbligo del preventivo. Infatti il d.l. 1/2012 convertito con modificazioni dalla l. 27/2012 lo prevede in una norma (art. 9) rubricata "Disposizione sulle professioni regolamentate". Peraltro essa introduce il solo obbligo di concordare il compenso al momento del conferimento dell'incarico, senza prevedere che ciò debba obbligatoriamente avvenire per iscritto (anche se è sempre consigliabile che ciò avvenga). In ogni caso, anche laddove si dovesse ritenere sussistente tale obbligo, la violazione di esso non determina la perdita del diritto al compenso da parte del professionista. La questione sarà, piuttosto, di stabilirne la misura. Se non si riuscirà a dare in giudizio la prova del quantum pattuito per la mancanza di un accordo scritto, allora spetterà al giudice la liquidazione (i.e.: determinazione dell'ammontare).
Il citato art. 9 indica anche le regole che il giudice deve seguire per determinare il compenso del professionista, demandando ad un successivo decreto ministeriale (D.M. 140/2012). Tuttavia, come detto, è dubbia l'applicabilità di tale disciplina alle professioni non regolamentate; in tal caso il riferimento è l'art. 2233 del c.c. che pone come criteri sussidiari all'accordo tra le parti le tariffe e gli usi ovvero, in mancanza, ne rimette la determinazione al giudice, sentito il parere delle associazioni professionali cui il professionista appartiene.

3. Il recesso dei professionisti nelle prestazioni d'opera intellettuali, cui appare riconducibile quella descritta, è disciplinato dall'art. 2237 del c.c. ai sensi del quale "Il prestatore d'opera può recedere dal contratto per giusta causa. In tal caso egli ha diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l'opera svolta, da determinarsi con riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente." (co.2). Secondo il successivo comma 3 "Il recesso del prestatore d'opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al cliente." La norma è ritenuta derogabile (ad esempio le parti possono convenire che l'incarico durerà un certo numero di anni), pertanto essa si applica in quanto le parti non ne abbiano concordato in qualche modo una deroga. Ai sensi di tale disposizione per recedere (ed essere liberati dalle prestazioni residue) è necessario innanzitutto che sussista una giusta causa. A riguardo, la Cassazione ha in passato stabilito, in un caso relativo all'esercizio della professione forense, che l'asserito ritardo del cliente nel versare il compenso può giustificare il recesso (Cass. 2661/1991). Pertanto, seguendo tale pronuncia, il mancato pagamento del compenso potrebbe essere ricondotto al concetto di "giusta causa"; a tal fine prima di recedere, comunque, si dovranno sempre considerare anche le concrete circostanze del caso (es.: entità del dovuto, giorni di ritardo ecc.). La valutazione circa la sussistenza del requisito attiene, in ogni caso, ad una questione di merito, per cui è rimessa alla valutazione del giudice di merito.
In secondo luogo, è comunque necessario che il recesso sia esercitato in modo da evitare pregiudizi al cliente, quindi il professionista dovrà tenere conto anche di questo elemento, valutando la situazione in concreto. In tal senso, di recente, Cass. 9220/2014: "Il recesso per giusta causa del prestatore d'opera intellettuale, ai sensi dell'art. 2237, terzo comma, cod. civ., particolare applicazione del principio di buona fede oggettiva, va esercitato con modalità tali da evitare al cliente il pregiudizio dell'improvvisa rottura del rapporto, concedendogli il tempo di provvedere agli interessi sottesi al contratto" (ad esempio, si pensi al caso in cui il recesso comporti per il committente il mancato rispetto di una scadenza di legge oppure un inadempimento per cui è tenuto a pagare una penale).
Se il recesso è esercitato in modo illegittimo il professionista è tenuto al risarcimento del danno.

4. Se si tratta di un incarico per il quale è previsto un nuovo conferimento il preventivo potrebbe essere anche obbligatorio (se si ritiene di applicare il richiamato art. 9 alle professioni non regolamentate); comunque, anche se non obbligatorio, è fortemente consigliato pattuirlo e farlo per iscritto, così come il conferimento d'incarico.
Se, invece, si tratta di incarico già conferito, con compenso già pattuito, si può invitare il cliente a redigere per iscritto quello che si è concordato solo oralmente (anche per tutelarsi da eventuali inadempimenti), fermo restando che se si è già pattuito un compenso sarà necessario un nuovo accordo tra cliente e professionista per modificare il quantum dovuto.
In ogni caso, un incarico esiste già e se il cliente rifiuta di mettere per iscritto la somma pattuita al tempo, il professionista non sarà solo per questo liberato dai suoi obblighi professionali.

5. Se il professionista vuole stipulare con il cliente un nuovo incarico, al conferimento d'incarico propone anche un preventivo, e, se non viene accettato, l'incarico può considerarsi non conferito.

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