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Articolo 1671 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Recesso unilaterale dal contratto

Dispositivo dell'art. 1671 Codice Civile

Il committente può recedere(1) dal contratto, anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.

Note

(1) La norma non pone alcuna condizione per l'esercizio del recesso (1373 c.c.) che, quindi, è libero.

Ratio Legis

Con il recesso si consente al committente di troncare un rapporto contrattuale per il quale il suo interesse è venuto meno trattenendo la parte di opera o di servizio già eseguiti. Il legislatore, tuttavia, contempera questa esigenza con quella dell'appaltatore a non essere pregiudicato da un atto che non esige nemmeno una giustificazione: pertanto, questi ha diritto al compenso per quanto già eseguito e trattenuto dal committente nonchè a ciò che avrebbe dovuto percepire se l'opera fosse stata compiuta per intero.

Spiegazione dell'art. 1671 Codice Civile

Contenuto dell'articolo e metodo di liquidazione

L' ipotesi prevista in questo articolo da un lato si riallaccia alla prescrizione d'ordine più generale contenuta nell'art. 1373, per cui quando vi è diritto di recesso unilaterale, questo si può esercitare con effetto per le prestazioni da eseguire in corso di esecuzione; e dall'altro con l'art. 1660 che consente ad entrambe le parti il recesso nel caso di variazioni che superino il sesto del prezzo complessivo convenuto (recesso dell'appaltatore) ovvero siano di notevole entità (recesso del committente).
Nell'ipotesi contemplata dal presente articolo si prescinde da qualsiasi condizione e il committente può di suo arbitrio sciogliere il contratto in qualsiasi momento e in qualsiasi stadio di esecuzione dell'opera. Come corrispettivo il codice impone non solo la liquidazione delle spese sostenute, ma anche il risarcimento a favore dell'appaltatore del mancato guadagno.

Come debba procedersi alla determinazione del mancato guadagno non è detto e del resto negli appalti privati la varietà dei casi è tale che non consiglierebbe l'adizione di una norma simile a quella che vige per gli appalti pubblici, dove il mancato utile è fissato nella misura del dieci per cento tra l'importo dei quattro quinti del lavoro appaltato e quello del lavoro eseguito. Questa norma può servire come criterio al giudice nella valutazione del risarcimento ma non può essere presa come base assoluta perché in molti casi vi è sproporzione tra le spese generali dovute sostenere dall'impresa per l'organizzazione dell'opera da eseguire e il risarcimento valutato nel modo suindicato.
Del resto è da dire che, tranne il caso non frequente di bonario accordo, generalmente lo scioglimento del contratto per recesso unilaterale si accompagna a doglianze del committente per inadempienze - vere o pretese - da parte dell'assuntore e quindi la liquidazione del risarcimento si presenta, in genere, sotto forma riconvenzionale formando uno dei capi del giudizio.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

705 Per il resto la disciplina dell'appalto non presenta novità degne di rilievo, nè in relazione al diritto di recesso dal contratto da parte del committente (art. 1671 del c.c.), nè in ordine al problema della ripartizione dei rischi (art. 1673 del c.c.), nè infine in ordine alle conseguenze dello scioglimento del contratto per morte dell'appaltatore (art. 1674 del c.c. e art. 1675 del c.c.). E' però opportuno avvertire che, in coerenza al fatto che da parte dell'appaltatore vi è un'organizzazione ad impresa la quale fa pensare che normalmente non entrano nella considerazione contrattuale le qualità personali dell'appaltatore stesso, la morte di questo non scioglie automaticamente il contratto di appalto, salvo nel caso in cui la considerazione della persona dell'appaltatore sia stata motivo determinante del contratto, e salvo il diritto di recesso da parte del committente nel caso in cui gli eredi dell'appaltatore non diano affidamento per la buona esecuzione dell'opera (art. 1674 del c.c.).

Massime relative all'art. 1671 Codice Civile

Cass. civ. n. 29485/2021

In materia di imposte sui redditi, all'esercizio del diritto potestativo di recesso dal contratto di appalto da parte del committente, ai sensi dell'art. 1671 c.c., consegue non solo lo scioglimento di tale contratto, ma anche quello del contratto di subappalto, quale contratto derivato, collegato funzionalmente al contratto principale. Pertanto, alla formazione del reddito d'impresa del subappaltatore concorrono, secondo le regole sull'imputazione temporale dei componenti di reddito di cui all'art. 109, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986 (principio di competenza), i ricavi per corrispettivi (anche se non ancora incassati) del subappaltatore, maturati fino all'esercizio del recesso da parte del committente, non potendo essere considerata, a tali fini, l'accettazione dell'opera da parte del committente, ai sensi dell'art. 1665 c.c.

Cass. civ. n. 5368/2018

La domanda dell'appaltatore volta a conseguire dal committente il corrispettivo previsto per l'esercizio della facoltà di recesso pattuita in suo favore ai sensi dell'art. 1373 c.c. presuppone l'esistenza di un patto espresso che attribuisca al committente la facoltà di recedere dal contratto prima che questo abbia avuto un principio di esecuzione, nonché l'avvenuto esercizio del recesso entro tale limite temporale, ed ha per oggetto la prestazione, in corrispettivo dello "ius poenitendi", di una somma ("multa poenitentialis") integrante un debito di valuta e non di valore; diversa, invece è, la domanda dello stesso appaltatore di essere tenuto indenne dal committente avvalsosi del diritto di recesso riconosciutogli dall'art. 1671 c.c., la quale presuppone l'esercizio, in un qualsiasi momento posteriore alla conclusione del contratto e quindi anche ad iniziata esecuzione del medesimo, di una facoltà di recesso che al committente è attribuita direttamente dalla legge ed ha per oggetto un obbligo indennitario.

Cass. civ. n. 8853/2017

In ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto d'appalto, ex art. 1671 c.c., grava sull'appaltatore, che chieda di essere indennizzato del mancato guadagno, l'onere di dimostrare quale sarebbe stato l'utile netto da lui conseguibile con l'esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell'appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, salva la facoltà, per il committente, di provare che l'interruzione dell'appalto non ha impedito all'appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato vantaggi diversi.

Cass. civ. n. 2130/2017

In tema di appalto, nel caso di recesso del committente - sia per l'ipotesi di recesso legale di cui all'art. 1671 c.c., esercitabile in qualunque momento dopo la conclusione del contratto e che può essere giustificato anche dalla sfiducia verso l'appaltatore per fatti d'inadempimento, sia per l'ipotesi di recesso convenzionale, ex art. 1373 c.c. - il contratto si scioglie senza necessità di indagini sull'importanza e gravità dell'inadempimento, le quali sono rilevanti soltanto quando il committente, pretenda dall'appaltatore il risarcimento del danno per inadempimento, nonostante questi abbia esercitato il suo diritto potestativo di recedere dal contratto.

Cass. civ. n. 9132/2012

In ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto d'appalto, ai sensi dell'art. 1671 c.c., grava sull'appaltatore, che chiede di essere indennizzato del mancato guadagno, l'onere di dimostrare quale sarebbe stato l'utile netto da lui conseguibile con l'esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell'appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere, restando salva per il committente la facoltà di provare che l'interruzione dell'appalto non ha impedito all'appaltatore di realizzare guadagni sostitutivi ovvero gli ha procurato vantaggi diversi.

Cass. civ. n. 9645/2011

Nel contratto di appalto, il recesso unilaterale del committente previsto dall'art. 1671 c.c. costituisce esercizio di un diritto potestativo e, come tale, non esige che ricorra una giusta causa; ne consegue che la domanda giudiziale con la quale l'appaltatore chieda l'accertamento di tale recesso si fonda su presupposti diversi da quelli posti a base dell'azione con cui il medesimo deduca l'inadempimento del committente, giacchè quest'ultima domanda implica un'indagine comparativa delle condotte tenute dalle parti al fine di verificare la colpevolezza e la gravità del comportamento denunciato.

Cass. civ. n. 17294/2006

Nel contratto d'appalto, il recesso, quale facoltà della parte di sciogliere unilateralmente il contratto, prescinde in sé da eventuali inadempienze dell'altro contraente alle obbligazioni assunte, tanto nell'ipotesi di recesso legale di cui all'art. 1671 c.c. quanto nell'ipotesi del recesso convenzionale di cui all'art 1373 cod. civ., fatta salva una diversa volontà delle parti. 

Cass. civ. n. 11642/2003

Il diritto di recesso esercitabile ad nutum dal committente in qualsiasi momento dell'esecuzione del contratto di appalto non presuppone necessariamente uno stato di regolare svolgimento del rapporto, ma, al contrario, stante l'ampiezza di formulazione della norma di cui all'art. 1671 c.c., può essere esercitato per qualsiasi ragione che induca il committente medesimo a porre fine al rapporto, da un canto, non essendo configurabile un diritto dell'appaltatore a proseguire nell'esecuzione dell'opera (avendo egli diritto solo all'indennizzo previsto dalla detta norma), e, da altro canto, rispondendo il compimento dell'opera esclusivamente all'interesse del committente. Ne consegue che il recesso può essere giustificato anche dalla sfiducia verso l'appaltatore per fatti d'inadempimento, e, poiché il contratto si scioglie esclusivamente per effetto dell'unilaterale iniziativa del recedente, non è in tal caso necessaria alcuna indagine sull'importanza dell'inadempimento, viceversa dovuta quando il committente richiede anche il risarcimento del danno per l'inadempimento già verificatosi al momento del recesso.

In tema di appalto, la condanna dell'appaltatore al risarcimento del danno in favore del committente per inadempimento già verificatosi al momento dell'esercizio del recesso ex art. 1671 c.c. può vanificare l'obbligo del committente recedente di indennizzare l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno. 

Cass. civ. n. 77/2003

In tema di appalto ed in ipotesi di recesso unilaterale dal contratto ai sensi dell'art. 1671 c.c. grava sul committente che recede e che eccepisca in giudizio la compensatio lucri cum damno provare il lucrum dell'appaltatore (che abbia potuto eseguire altri lavori solo perché liberato dall'impegno) ed il suo ammontare, detraibile dal pregiudizio subito. 

Cass. civ. n. 12368/2002

In tema di appalto, il recesso del committente disciplinato dall'art. 1671 c.c. può essere convenuto, tra le parti, con determinati requisiti di tempo e di forma, attesa la derogabilità convenzionale della norma in parola, sicché, in caso di mancata (o non formale) disdetta, i contraenti possono legittimamente convenire conseguenze diverse da quelle previste dalla norma stessa (nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha, peraltro, rilevato come, nella specie, il ricorrente, anziché dedurre la violazione di legge in cui era incorso il giudice di merito nel ritenere sostanzialmente inderogabile il meccanismo legale di cui al citato art. 1671 c.c., aveva — inammissibilmente — contestato in fatto la qualificazione giuridica del contratto — noleggio in luogo del ritenuto appalto — ed ha rigettato, conseguentemente, il ricorso).

Cass. civ. n. 6814/1998

Il recesso del committente del contratto di appalto senza richiesta di risarcimento del danno, e rimborsando l'appaltatore delle spese affrontate, compensandolo per i lavori eseguiti e risarcendolo per i danni subiti, può esser esercitato in qualsiasi momento ed esser giustificato anche dalla sfiducia successiva alla conclusione del contratto riconducibile ad inadempimento dell'appaltatore, ma senza necessità di accertare, a differenza della risoluzione chiesta ai sensi dell'art. 1453 c.c., l'importanza e la gravità di esso, dovendosi invece esaminare soltanto se l'atto o la condotta del committente sono incompatibili con la prosecuzione del rapporto.

Cass. civ. n. 8254/1997

Il contratto d'opera e quello di prestazioni continuative di servizi non possono considerarsi strutture negoziali ontologicamente e funzionalmente diverse tra loro, risultandone, viceversa, la indiscutibile omogeneità, tra l'altro, sotto il profilo dalla identità delle situazioni che possono verificarsi tanto nell'una quanto nell'altra fattispecie contrattuale con riguardo alla scelta del contraente secondo l' intuitus personae, con la conseguenza che nessun valido motivo consente di escludere, per l'appalto di prestazione continuativa di servizi, l'applicabilità del disposto di cui all'art. 1671 c.c. (dichiarazione di recesso del committente), non rilevando, in proposito, la esistenza di una clausola convenzionale che attribuisca la facoltà della disdetta al committente entro un tempo predeterminato rispetto ad ogni scadenza contrattuale. 

Cass. civ. n. 7649/1994

Il diritto (del committente) di recedere dal contratto di appalto in ogni momento, ai sensi dell'art. 1671 c.c., tenendo indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno, non può essere più esercitato dal committente che, proponendo domanda di risoluzione per inadempimento, abbia innescato il procedimento di valutazione comparativa dei comportamenti delle parti non più arrestabile ad libitum mediante il recesso, soprattutto se nel giudizio l'appaltatore abbia a sua volta proposto domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento del committente. 

Cass. civ. n. 8565/1993

Nel rapporto di appalto, sia pubblico che privato, il recesso ad nutum del committente rappresenta l'esercizio di un diritto potestativo, riservato alla libera determinazione del recedente e sottratto al controllo di terzi e dell'appaltatore, senza che assumano rilievo i motivi che lo hanno determinato, anche se consistenti nel venir meno dei presupposti dell'appalto (nella specie, a seguito della revoca, da parte della pubblica amministrazione della concessione ottenuta dal committente).

Cass. civ. n. 729/1987

Lo scioglimento anticipato del rapporto di appalto — qualunque ne sia la causa — lascia permanere le specifiche obbligazioni, riconducibili al contratto, rispettivamente dell'appaltatore di lasciare libero il fondo, essendo l'occupazione dello stesso giustificata dal fine di realizzazione o completamento dell'opera, e del committente di non ostacolare e rendere possibile l'attuazione del correlato diritto dell'appaltatore di smontare il cantiere e di ritirare gli attrezzi ed i materiali da lui forniti e non ancora utilizzati. Consegue che la violazione di un tale obbligo da parte del committente configura un inadempimento, fonte idonea di responsabilità a suo carico. 

Cass. civ. n. 4783/1983

Anche nell'appalto continuativo o periodico di servizi trova applicazione l'art. 1671 c.c., in tema di recesso unilaterale del committente, in relazione all'esigenza di evitare che lo stesso resti vincolato pure quando sia venuta meno la sua fiducia nell'appaltatore, ovvero non abbia più interesse ai servizi medesimi, con la conseguenza che tale recesso può essere esercitato in qualsiasi momento dopo la conclusione o la rinnovazione del contratto, salvo l'obbligo del recedente di tenere indenne l'appaltatore di servizi prestati fino alla data del recesso, nonché delle spese sostenute e del mancato guadagno fino al giorno in cui il rapporto avrebbe dovuto avere normale svolgimento.

Cass. civ. n. 4987/1981

Il committente ha il diritto di recedere dal contratto d'appalto in ogni momento, anche se è inadempiente e senza necessità di fornire giustificazioni, in quanto le conseguenze indennitarie poste a suo carico dall'art. 1671 c.c. sono riconducibili, quanto ad estensione, a quelle risarcitorie derivanti dall'inadempimento del committente medesimo, ed atteso che non è configurabile un diritto dell'appaltatore a continuare l'esecuzione dell'opera, essendo questa coordinata al soddisfacimento dell'esclusivo interesse del committente e non dell'appaltatore, il cui interesse giuridico è invece rivolto al conseguimento del corrispettivo. È. insindacabile in sede di legittimità l'esercizio, da parte del giudice del merito, della facoltà, concessagli dal secondo comma dell'art. 277 c.p.c., di pronunciare una sentenza (non definitiva) di contenuto limitato alla parte del thema decidendum non abbisognevole di ulteriore istruzione.

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relative all'articolo 1671 Codice Civile

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Mario G. chiede
mercoledì 22/10/2014 - Campania
“Contratto di appalto privato con prezzo a corpo e non a misura. Al contratto è stato allegato una tabella delle percentuali di lavorazione prevista per ogni tipologia di lavoro.Esempio percentuale strutture 3%,murature orizzontali 2% e cosi via di seguito. Gli stati di avanzamento lavori vengono effettuati in base alle predette percentuali di lavoro effettuati. Esempio: percentuale delle strutture previste 3%,lavori parzialmente eseguiti 2%.Si intende conoscere in caso di recesso ad nutum come si calcola il valore delle opere eseguite se il prezzo è stato stabilito globalmente a forfait senza prezzario.”
Consulenza legale i 17/11/2014
L'art. 1671 del c.c. prevede l'attribuzione per legge al committente di un diritto potestativo di recedere unilateralmente ad nutum dal contratto di appalto, pur quando fosse stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, dovendo però in tal caso tenere indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.
L'indennizzo previsto dalla norma ha carattere risarcitorio, cioè è equiparato dalla giurisprudenza al risarcimento del danno da inadempimento (l'articolo parla infatti di "spese" e "mancato guadagno", con un evidente richiamo all'art. 1223 del c.c.).
Ne consegue che, per determinare l'importo dovuto dal committente all'appaltatore in caso di recesso ad nutum del primo, si dovranno applicare gli stessi criteri previsti per la liquidazione di qualsiasi danno cagionato a terzi: quando sia impossibile o difficoltoso fornire la prova precisa dell'entità del pregiudizio sofferto dall'appaltatore, il giudice ha facoltà di applicare anche il criterio equitativo per determinale le spese generali, i costi di ammortamento, l'impegno improduttivo di materiali e mano d'opera, etc. (Cass. civ., 14.4.1983, n. 2608), tenuto conto anche della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione (v. tra le altre Cass. civ., 17.11.2003 n. 17340).

Veniamo quindi al caso di specie.
Come detto, l’indennità dovuta all'appaltatore ricomprende gli elementi integrativi dell’art. 1223 c.c., cioè il danno emergente (rimborso delle spese sostenute e dei lavori eseguiti), e il lucro cessante (mancato guadagno).
Analizzando le diverse componenti, abbiamo:
1- i lavori eseguiti dall’appaltatore sino al momento del recesso;
2- le spese sostenute: si intendono tutte quelle spese che non sono state ancora impiegate fruttuosamente nell’opera oggetto del contratto, ma che sono già state affrontate dall’appaltatore (es. materiale acquistato e trasportato in cantiere). Le spese generali dovranno essere rimborsate solo in proporzione alla parte di opera rimasta ineseguita;
3- il mancato guadagno: ciò che l’appaltatore avrebbe ricavato dall’esecuzione del contratto nel tempo stabilito, al netto delle spese. L'appaltatore può limitarsi a provare la differenza tra prezzo di appalto e costo delle opere appaltate, mentre il committente può provare che l'interruzione dell'appalto non ha impedito all'appaltatore di avere altri guadagni sostitutivi o di ottenere vantaggi di altra natura.

L'aspetto problematico sta nel primo elemento, in quanto nell'appalto con prezzo "a corpo" non si possono semplicemente moltiplicare i singoli prezzi unitari per le quantità effettivamente eseguite delle corrispondenti categorie di lavori. Nè la legge ci dice come fare in casi di questo genere. Gli studiosi, quindi, hanno ritenuto che si possa procedere in questo modo.
Innanzitutto va determinato il rapporto fra la parte dell'opera eseguita e l'intera prestazione concordata nel contratto; poi, si applica la medesima proporzione al prezzo originario complessivo (es. opera eseguita per un terzo, importo dovuto uguale a un terzo). Ciò vale se l'opera è "omogenea", cioè scomponibile in frazioni il cui valore corrisponda alla quantità" (vedi Rubino-Iudica, Dell’appalto. Artt. 1655-1677, in Commentario del codice civile Scialoja Branca, 2007, p. 501). Nelle opere complesse, non esiste un criterio unitario, ma si dovrà valutare il valore di quanto già eseguito con prudenza, cercando di rispettare il criterio di proporzionalità.

Purtroppo, quindi, se le parti (committente e appaltatore) non trovano accordo su una somma da corrispondere quale indennizzo, ci si dovrà rivolgere ad un giudice, il quale applicherà il criterio equitativo di cui all'art. 1226 del c.c..