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Vende pesce surgelato spacciandolo per fresco: condannato per frode in commercio

Vende pesce surgelato spacciandolo per fresco: condannato per frode in commercio
Costituisce il tentativo del delitto di frode in commercio anche il semplice fatto di non indicare nella lista delle vivande che determinati prodotti sono congelati.
Cosa succede se un ristoratore utilizza alimenti surgelati spacciandoli per freschi?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4735 del 19 ottobre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.

Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha visto come protagonista il proprietario di una gastronomia, che era stato sottoposto a procedimento penale per aver somministrato ai propri clienti dei prodotti ittici surgelati e non freschi, come invece indicato in menù.

Il Tribunale di Rimini, pronunciatosi in primo grado, aveva condannato l’imputato per il tentativo di “frode nell’esercizio del commercio (art. 515 c.p.) e la sentenza era stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna, con la conseguenza che l’imputato aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione.

Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere sussistente il tentativo di reato, dal momento che la mera esposizione, nel menù, “di immagini ritraenti pietanzenon poteva considerarsi indicativa della natura dei prodotti impiegati nella preparazione dei piatti.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle considerazioni svolte dal proprietario della gastronomia, rigettando il relativo ricorso, in quanto “manifestamente infondato”.

Osservava la Cassazione, infatti, che il tentativo del reato di cui all’art, 515 c.p. è configurato quando il venditore “compie atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare all'acquirente una cosa per un'altra ovvero una cosa, per origine, qualità o quantità diversa da quella pattuita o dichiarata”.

Pertanto, secondo la Corte, “costituisce il tentativo del delitto di frode in commercio anche il semplice fatto di non indicare nella lista delle vivande che determinati prodotti sono congelati, giacché il ristoratore ha l'obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatori”.

Del resto – proseguiva la Corte - anche le Sezioni Unite della stessa Cassazione, con la sentenza n. 28 del 2000, hanno precisato che “se il prodotto viene esposto sui banchi dell'esercizio o comunque offerto al pubblico, la condotta posta in essere dall'esercente l'attività commerciale è idonea ad integrare il tentativo perché dimostra l'intenzione di vendere proprio quel prodotto”.

Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione riteneva che i giudici dei precedenti gradi di giudizio avessero, del tutto correttamente, pronunciato la sentenza di condanna, avendo gli stessi accertato che il proprietario della gastronomia deteneva, all’interno del proprio esercizio commerciale, del pesce surgelato destinato alla vendita, “senza che nel menù fosse stata indicata tale qualità” e in assenza, peraltro, “di alimenti freschi, essendo congelata la totalità delle provviste”.

Quanto, infine, “alle modalità di rappresentazione dell'offerta dei prodotti”, la Corte di Cassazione riteneva che i giudici d’appello avessero giustamente ritenuto che “anche l'esposizione di immagini del prodotto offerto, in luogo della sua descrizione nel menù, è idonea a configurare la condotta di reato, stante la natura diretta a incentivare la consumazione del prodotto”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dall’imputato, confermando integralmente la sentenza impugnata.


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