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Urla e schiamazzi del conḍmino contro i cani del vicino che abbaiano costituiscono disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone

Urla e schiamazzi del conḍmino contro i cani del vicino che abbaiano costituiscono disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone
Il vicino che, infastidito dall’abbaiare dei cani, inizi di notte, ad urlare, fischiare e/o schiamazzare allo scopo di zittirli, se supera il limite della normale tollerabilità, si rende responsabile di disturbo del riposo delle persone.
La condotta di chi, anche se sia infastidito e si trovi in una situazione di esasperazione, ad esempio causata dal ripetuto abbaiare di cani, al fine di farli smettere, inizi ad urlare e fischiare o schiamazzare integra gli estremi della fattispecie di cui all’art. 659 c.p.

Il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone può, infatti, essere commesso da chiunque, mediante schiamazzi o rumori, o abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, disturbi l’occupazione o il riposo altrui.

Si tratta di un reato di pericolo concreto, essendo sufficiente, perché esso si configuri, l’idoneità potenziale delle urla, dei fischi o degli schiamazzi, a prescindere dal fatto che le persone siano state effettivamente disturbate.

In altri termini, il giudice di merito sarà tenuto a valutare in concreto l’idoneità del fatto a porre in pericolo il bene giuridicamente protetto dalla norma, peraltro avuto riguardo ad un numero potenzialmente illimitato di persone.

La legge mira, quindi, a tutelare la quiete pubblica, intesa come interesse dello Stato a salvaguardare l’ordine pubblico e la tranquillità collettiva, garantendola agli individui come condizione psicologica, perseguendo l’interesse a che non vi siano molestie o turbamenti nel corpo sociale.

Al fine di ritenere sussistente la fattispecie, il giudice di merito dovrà considerare determinati dati fattuali, tra cui l’ubicazione della fonte sonora (se in luogo densamente abitato o isolato) l’emissione ripetuta del rumore, o, al contrario, solo sporadica o occasionale.
Si richiede inoltre che l’idoneità venga verificata concretamente (Corte di Cassazione, sent. n. 246/2008). A tal fine, rileverà, ad esempio, il fatto che i rumori siano di particolare intensità, che vengano posti in essere in una determinata fascia oraria, magari notturna, che siano prolungati o ripetuti nel tempo, che vi siano grida scomposte o clamorose definibili alla stregua di schiamazzi.

Sulla scorta di quanto di recente precisato dalla giurisprudenza (Corte di Cassazione, sent. n. 47719/2018), sarà necessario tenere conto delle circostanze di tempo e di luogo e fare riferimento alla sensibilità media di un certo gruppo sociale, allo scopo di verificare se, in concreto, possa considerarsi superata la soglia della normale tollerabilità.

Esiste, del resto, un minimo di tolleranza ai rumori, tale per cui non si potrà ritenere sussistente questa contravvenzione nel caso di meri fastidi non particolarmente significativi.

Peraltro, è richiesto che sia turbata la quiete di un numero indeterminato di persone, non già di una ridotta quantità di soggetti o del singolo.

Il fatto che le grida o i rumori siano avvenuti di notte costituisce solo uno di criteri per valutare se sia superata la soglia di tollerabilità e sia stato arrecato fastidio a una pluralità indistinta di persone, non indicando la legge nazionale orari specifici, per cui se si riscontra una particolare intensità o ripetitività dei suoni, si può configurare comunque un disturbo alla pubblica quiete, a prescindere dall’orario di verificazione del fatto.

Non rileva, quale giustificazione, che la persona che abbia posto in essere tale condotta fosse eventualmente esasperata, irritata o altro, in quanto la giurisprudenza considera, in un bilanciamento di interessi - tra quello individuale del soggetto a non essere infastidito e quello della collettività al riposo e alla quiete - prevalente quest’ultimo che, peraltro, riveste carattere pubblicistico.

In altri termini, le grida poste in essere con determinate modalità, rilevano, costituendo un comportamento che ben può essere passibile di ammenda in base a quanto normativamente previsto e al consolidato orientamento espresso in materia dalla Corte di Cassazione.





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