A partire dal 2026 il sistema dei soccorsi pubblici in mare e in montagna potrebbe subire una vera e propria rivoluzione. Nel dibattito sulla legge di Bilancio è, infatti, comparsa una proposta normativa per cui, in presenza di comportamenti gravemente irresponsabili, l’intervento di Polizia di Stato e Carabinieri non sarebbe più completamente a carico della collettività. Chi rende necessaria l’operazione di salvataggio potrebbe essere chiamato a rimborsarne i costi.
La modifica, riformulata dall’Esecutivo e ora all’esame della Commissione Bilancio del Senato, estende a questi due corpi una disciplina già vigente per la Guardia di Finanza. Infatti, non tutte le richieste di soccorso sono uguali e non tutte meritano di essere sostenute integralmente con risorse pubbliche, soprattutto quando l’emergenza nasce da scelte consapevolmente azzardate o addirittura volontarie.
I dati, seppur non sempre ufficializzati, raccontano di un numero elevatissimo di operazioni attivate per situazioni evitabili, come escursioni affrontate senza attrezzatura adeguata, condizioni meteo ignorate o segnalazioni di pericolo palesemente sottovalutate. È proprio su questo terreno che si innesta la nuova norma.
Il cuore della disposizione non mette in discussione il principio del soccorso pubblico come servizio essenziale, ma introduce un criterio di responsabilità individuale. Il rimborso delle spese scatterebbe solo nei casi in cui l’intervento sia stato determinato da dolo o colpa grave. In altri termini, non basta l’errore o l’imprevisto, ma serve un comportamento qualificabile come gravemente imprudente, negligente in modo macroscopico o addirittura intenzionale. Solo in queste ipotesi lo Stato potrà chiedere al soggetto soccorso di contribuire economicamente alle operazioni di ricerca, recupero e salvataggio.
Dal punto di vista operativo, la riforma riguarda una pluralità di scenari, dal soccorso in mare aperto alle operazioni di recupero in alta quota, passando per interventi complessi che richiedono l’impiego di mezzi aerei, personale specializzato e lunghe attività di coordinamento.
Resta, invece, ancora aperta la questione dei costi. Il testo dell’emendamento non indica cifre né criteri economici precisi. La determinazione degli importi sarà demandata a successivi decreti attuativi, che dovranno essere adottati dal Ministero dell’Interno e dal Ministero della Difesa, d’intesa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Solo con questi provvedimenti sarà possibile comprendere quanto potrà effettivamente costare un intervento ritenuto non giustificato e quali parametri verranno utilizzati per quantificare il rimborso.
La finalità della misura non è quella di scoraggiare le richieste di aiuto in situazioni di reale pericolo. Al contrario, l’obiettivo è ridurre gli abusi e responsabilizzare chi si espone volontariamente a rischi evidenti, scaricandone poi le conseguenze sull’intera collettività.
Non mancano, tuttavia, le possibili criticità applicative. Il confine tra imprudenza semplice e colpa grave è sottile e rischia di generare diversi contenziosi.
La modifica, riformulata dall’Esecutivo e ora all’esame della Commissione Bilancio del Senato, estende a questi due corpi una disciplina già vigente per la Guardia di Finanza. Infatti, non tutte le richieste di soccorso sono uguali e non tutte meritano di essere sostenute integralmente con risorse pubbliche, soprattutto quando l’emergenza nasce da scelte consapevolmente azzardate o addirittura volontarie.
I dati, seppur non sempre ufficializzati, raccontano di un numero elevatissimo di operazioni attivate per situazioni evitabili, come escursioni affrontate senza attrezzatura adeguata, condizioni meteo ignorate o segnalazioni di pericolo palesemente sottovalutate. È proprio su questo terreno che si innesta la nuova norma.
Il cuore della disposizione non mette in discussione il principio del soccorso pubblico come servizio essenziale, ma introduce un criterio di responsabilità individuale. Il rimborso delle spese scatterebbe solo nei casi in cui l’intervento sia stato determinato da dolo o colpa grave. In altri termini, non basta l’errore o l’imprevisto, ma serve un comportamento qualificabile come gravemente imprudente, negligente in modo macroscopico o addirittura intenzionale. Solo in queste ipotesi lo Stato potrà chiedere al soggetto soccorso di contribuire economicamente alle operazioni di ricerca, recupero e salvataggio.
Dal punto di vista operativo, la riforma riguarda una pluralità di scenari, dal soccorso in mare aperto alle operazioni di recupero in alta quota, passando per interventi complessi che richiedono l’impiego di mezzi aerei, personale specializzato e lunghe attività di coordinamento.
Resta, invece, ancora aperta la questione dei costi. Il testo dell’emendamento non indica cifre né criteri economici precisi. La determinazione degli importi sarà demandata a successivi decreti attuativi, che dovranno essere adottati dal Ministero dell’Interno e dal Ministero della Difesa, d’intesa con il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Solo con questi provvedimenti sarà possibile comprendere quanto potrà effettivamente costare un intervento ritenuto non giustificato e quali parametri verranno utilizzati per quantificare il rimborso.
La finalità della misura non è quella di scoraggiare le richieste di aiuto in situazioni di reale pericolo. Al contrario, l’obiettivo è ridurre gli abusi e responsabilizzare chi si espone volontariamente a rischi evidenti, scaricandone poi le conseguenze sull’intera collettività.
Non mancano, tuttavia, le possibili criticità applicative. Il confine tra imprudenza semplice e colpa grave è sottile e rischia di generare diversi contenziosi.