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Separazione, la casa familiare non è per sempre, quando il figlio è autonomo l’ex coniuge deve lasciarla: la sentenza

Separazione, la casa familiare non è per sempre, quando il figlio è autonomo l’ex coniuge deve lasciarla: la sentenza
Molti credono che, una volta assegnata la casa familiare, il genitore possa restare lì per sempre. La realtà è diversa: il diritto è legato all’interesse del figlio, non alla comodità dell’ex coniuge. In base a questo principio, vediamo come funziona l'assegnazione e cosa può succedere
Secondo l’art. 337 sexies del c.c., l’assegnazione della casa familiare serve innanzitutto a proteggere i figli dalla perdita del loro ambiente di vita - la casa, la scuola, le amicizie - nel momento delicato della separazione. Non è pensata come un privilegio per il genitore rimasto in casa, ma come uno strumento a favore del minore o del figlio non ancora autosufficiente; il genitore la occupa “di riflesso”, perché convive con il figlio e se ne prende cura. Il giudice, quando decide, valuta l’interesse dei figli in modo prioritario e tiene conto anche della proprietà dell’immobile nel regolare i rapporti economici tra gli ex coniugi: ma la finalità resta sempre la tutela del bambino o del giovane ancora non indipendente.
Quando e perché quel diritto può finire
L’assegnazione della casa familiare non è eterna. Se viene meno la ragione che l’ha determinata - cioè la non autosufficienza del figlio - il provvedimento può essere revocato. La sentenza n. 313 del Tribunale di Asti (16 giugno 2025) ha ribadito proprio questo concetto: quando il figlio maggiorenne è in grado di mantenersi o è ritenuto in grado di “attivarsi” per farlo, l’assegnazione decade e il genitore perde il diritto di abitare l’immobile.
La Suprema Corte e la giurisprudenza consolidata confermano l’idea che la misura è temporanea e finalizzata, non una forma di sostegno abitativo a vita. In pratica, il giudice valuta le circostanze concrete - titolo di studio conseguito, rapporti di lavoro anche precari, disponibilità di offerte di impiego - e, se riscontra l’autonomia, dispone la revoca.
Cosa succede praticamente dopo la revoca: chi deve andare via e quali scelte restano
Quando l’assegnazione viene revocata, il diritto di abitare cessa per tutti coloro che vi risiedono in forza del provvedimento: sia il figlio ormai autonomo, sia il genitore che lo aveva in carico. Se la casa è in comproprietà tra gli ex, si può decidere di vendere e dividere il ricavato, oppure procedere a una liquidazione della quota (uno acquista la quota dell’altro), o trovare un altro accordo.
Se la casa è di proprietà esclusiva dell’altro coniuge o è stata venduta a un terzo (ad esempio all’asta), il nuovo proprietario - quando il diritto è stato revocato - può chiedere il rilascio dell’immobile; la tutela che l’assegnazione offriva nei confronti di terzi si perde non appena viene meno il titolo sostanziale che ne giustificava l’opponibilità.
Va inoltre ricordato che l’assegnazione è generalmente opponibile ai terzi per un periodo di tempo (la giurisprudenza ha fissato regole concrete su questo aspetto), ma la revoca elimina immediatamente quella tutela pratica nei confronti del nuovo acquirente.
Che cosa significa, concretamente, "autosufficienza economica"
Non esiste una semplice cifra o una soglia fissa: i giudici valutano caso per caso la capacità del figlio di produrre reddito e di mantenersi. Non serve necessariamente un contratto a tempo indeterminato o uno stipendio alto; può essere sufficiente un lavoro anche precario, se concreto e capace di assicurare l’autosostentamento, o il completamento del percorso di studi unito a reali prospettive occupazionali.
Al contrario, la scelta deliberata di rifiutare offerte di lavoro o di non cercarle può giocare contro il figlio in sede di valutazione: il principio è che il dovere del genitore è accompagnare il giovane fino al punto in cui può cominciare a camminare da solo, non mantenere per sempre lo stesso tenore di vita. Perciò, chi si trova nella posizione di dover dimostrare (o contestare) l’autonomia del figlio, dovrà raccogliere documenti concreti - buste paga, iscrizione a corsi post-diploma, offerte di lavoro, o al contrario prove dell’effettivo disimpegno - da presentare al giudice.


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