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Sconfinamento del fido e silenzio della banca: precisazioni della Cassazione

Sconfinamento del fido e silenzio della banca: precisazioni della Cassazione
La mera tolleranza della banca per i ripetuti sconfinamenti non vale come implicita autorizzazione all'innalzamento del limite dell’apertura di credito.
Il silenzio della banca a fronte del sistematico sconfinamento da parte del correntista rispetto alla disponibilità concessa emergente dagli estratti conto può determinare un c.d. fido di fatto per un importo più elevato?
Se, cioè, dalle risultanze degli estratti conto bancari emerge un'esposizione giornaliera del correntista che supera ampiamente i limiti di fido indicati unilateralmente dalla banca, senza che quest’ultima abbia chiesto al correntista di rientrare dal debito o adottato iniziative di revoca/recesso, può accertarsi la sussistenza di un affidamento di fatto il cui limite va individuato nel massimo scoperto di fatto consentito?

A tali quesiti ha recentemente fornito risposta – in ossequio al consolidato orientamento sul punto – la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 10776 del 4 aprile 2022.

La vicenda concretamente giunta all’esame della Corte, in particolare, riguardava l’azione giudiziale proposta da una società avverso una banca avente per la restituzione di una somma indebitamente percepita da quest’ultima a titolo di interesse ultralegale, anatocismo, commissione di massimo scoperto e altre spese.
La banca, dal canto suo, aveva sollevato eccezione di prescrizione del diritto alla ripetizione delle somme indebitamente versate, essendo trascorsi più di dieci anni dal momento dei versamenti: a fronte di tale eccezione, la società aveva però chiarito che i propri versamenti sul conto avevano avuto funzione meramente ripristinatoria poiché esisteva a suo favore un affidamento il cui limite era costituito dal massimo scoperto di fatto emergente dagli estratti conto, sicchè la prescrizione non era compiuta atteso che il dies a quo non coincideva con i versamenti ma con la chiusura del conto.
Il Tribunale, a seguito di c.t.u. contabile, aveva invece ritenuto solutori i versamenti della società e, accogliendo solo parzialmente la domanda, aveva condannato la banca alla restituzione di una somma minore.
La società, dunque, aveva impugnato la sentenza ma la Corte d’appello aveva confermato la sentenza di prime cure.
La società, allora, aveva proposto ricorso in Cassazione, deducendo – con esclusivo riferimento a quanto qui di interesse - l'omessa valutazione di un fatto storico decisivo per il giudizio, ossia il consenso della banca al sistematico sconfinamento da parte del correntista rispetto alla disponibilità inizialmente concessa dodici anni prima.

Tale censura è tuttavia stata ritenuta manifestamente infondata dalla Suprema Corte.
Con la pronuncia citata, gli Ermellini hanno affermato – in linea di continuità con quanto statuito nella richiamata Cass. n. 29317/2020 –che “l'inerzia della banca di fronte ai ripetuti sconfinamenti non può essere intesa come implicita autorizzazione all'innalzamento del limite dell'apertura di credito, costituendo piuttosto un atteggiamento di mera tolleranza, in attesa del corretto adempimento da parte del correntista dell'obbligo di rientrare dall'esposizione non autorizzata”.
Il silenzio della banca a fronte del sistematico sconfinamento del correntista, pertanto, non è idoneo a determinare un fido di fatto per un importo maggiore.

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