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"Ti sbudello come un cane": per la Cassazione è stalking

"Ti sbudello come un cane": per la Cassazione è stalking
Ai fini della configurabilità del reato di stalking, non è nemmeno necessario che si realizzi un mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, se la condotta posta in essere cagiona un perdurante stato d'ansia e di timore per l'incolumità propria e dei propri famigliari.
La Corte di Cassazione penale, con la recente sentenza n. 8362 del 21 febbraio 2017, si è occupata di un interessante caso di stalking (art. 612 bis bis c.p.).

In particolare, ai fini della configurabilità del reato, è necessario che si verifichi un mutamento delle abitudini di vita della persona offesa o è sufficiente che la condotta cagioni un perdurante stato d’ansia e di timore per l’incolumità propria e dei prossimi congiunti?

La Corte di Cassazione, con la sentenza sopra citata, ha fornito alcune precisazioni proprio in ordine a questo punto.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, un marito separato era stato condannato, sia in primo che in secondo grado, per tale reato, commesso nei confronti dell’ex moglie separata.

Nello specifico, l’uomo era stato ritenuto responsabile sulla base delle dichiarazioni rese dalla moglie e da alcuni testimoni oculari, sentiti in corso di causa, nonché sulla base di un’operazione della polizia, che aveva portato all’arresto in flagranza dell’imputato.

L’imputato, ritenendo la sentenza ingiusta, proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando come la condotta dal medesimo posta in essere non configurasse stalking ma, al più, “molestia o disturbo alle persone” (art. 660 c.p.), dal momento che non si era verificata alcuna alterazione delle abitudini di vita della moglie.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dall’imputato, rigettando il relativo ricorso.

La Corte di Cassazione evidenziava, infatti, come la Corte d’appello avesse messo in luce “la 'terribile' ricostruzione delle del minacce e vessazioni subite” dalla persona offesa, la quale, per circa un anno era stata sottoposta a “pedinamenti, appostamenti nei pressi del luogo di lavoro”, nonché a reiterate minaccedi taglio della testa e di sbudellarla come un cane”.

La Corte d’appello, in particolare, aveva correttamente osservato che tali comportamenti erano stati “fonte di continuo stato d'ansia e di timore per l'incolumità propria e dei familiari”, come confermato dai numerosi testimoni oculari sentiti nella fase istruttoria del procedimento.

Precisava la Cassazione, poi, che, sussistendo tale persistente stato d’ansia e di timore, ai fini della configurabilità del reato non sarebbe stato nemmeno essenziale che si fosse verificato anche il “mutamento delle abitudini di vita, il quale, comunque, risultava dalla sentenza di primo grado.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal ricorrente, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.


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