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Richieste istruttorie che celano un diniego: sono impugnabili davanti al giudice tributario

Fisco - -
Richieste istruttorie che celano un diniego: sono impugnabili davanti al giudice tributario
La Cassazione ribadisce che conta la sostanza dell’atto, non il suo nome: quando l’Amministrazione manifesta una volontà negativa sul rimborso, si configura un diniego impugnabile ex art. 19 d.lgs. 546/1992 (nota a Cass. Civile, Sez. 5, Sent. n. 31033 del 27.11.2025)
Il caso
La vicenda presa in esame dalla S.C. riguarda la richiesta di rimborso di un credito IRPEG, originariamente maturato nel 1996 e, successivamente, ceduto dalla società “Alfa SpA” alla Banca “Beta”.
A seguito dell’istanza di rimborso, l’Agenzia delle Entrate invia due comunicazioni:
  1. la prima, richiedente documentazione integrativa, nella quale si afferma tra l’altro l’impossibilità di erogare il rimborso per intervenuta prescrizione e per la presenza di carichi pendenti (sulla società cedente);
  2. la seconda di reiterazione della richiesta istruttoria.

Le commissioni tributarie di primo e secondo grado qualificavano tali atti come meri atti interlocutori, dichiarando inammissibile il ricorso della Banca cessionaria del credito derivante dal rimborso IRPEG.

Principi di diritto
La Corte di Cassazione afferma che un atto dell’Amministrazione finanziaria è impugnabile quando, al di là del nomen iuris utilizzato, contiene una chiara manifestazione di volontà negativa, idonea a incidere sulla sfera giuridica del contribuente.
In particolare, la S.C. ribadisce che:
  • l’elenco degli atti impugnabili, di cui all’art. 19 d.lgs. 546/1992 (Codice del processo tributario), deve essere interpretato in modo estensivo, alla luce degli artt. 24, 53 e 97 Cost. e del principio di effettività della tutela giurisdizionale;
  • sono impugnabili tutti gli atti che esprimono una posizione ben definita dell’Ufficio sulla pretesa tributaria o sulla spettanza del rimborso, anche se ad essi si dà la veste formale di richieste istruttorie o sospensioni del procedimento;
  • una sospensione sine die o una reiterata richiesta documentale, che di fatto nega o differisce indefinitamente il rimborso, si sostanzia in un vero e proprio diniego di rimborso, come tale contestabile dinanzi al giudice tributario.

Conclusioni
Sebbene l’elencazione dell’art. 19 del d.lgs. 546/1992 sia formalmente tassativa, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha da tempo chiarito come essa debba essere interpretata in senso estensivo, onde evitare che provvedimenti, di fatto lesivi, restino sottratti al sindacato giurisdizionale.
La decisione in commento si inserisce in tale solco, offrendo un ulteriore chiarimento sul tema dei “falsi atti interlocutori” e rafforzando la tutela del contribuente contro prassi dilatorie o formalmente neutre dell’Amministrazione, chiarendo che ciò che rileva è la sostanza dell’atto e il suo impatto sulla posizione soggettiva.
Ogni volta che l’Ufficio manifesti, anche implicitamente, la volontà di non procedere al rimborso, il contribuente ha pieno diritto di proporre ricorso, senza dover attendere un provvedimento formalmente qualificato come “diniego”.

Risvolti pratici della sentenza
  1. Il contribuente non deve più restare “nel limbo”, né attendere la formazione di un diniego esplicito o tacito: se l’Ufficio mostra chiaramente una posizione negativa, il termine per ricorrere inizia a decorrere.
  2. Il professionista deve leggere attentamente il contenuto, non il titolo dell’atto: un documento apparentemente istruttorio può essere un provvedimento lesivo.
  3. Occorre monitorare ogni comunicazione dell’Agenzia e valutare se faccia scattare il termine per impugnare, per evitare decadenze insidiose.

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