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Revisione della patente di guida

Revisione della patente di guida
E' giusta la revisione della patente di guida per il conducente che ha dichiarato di essersi "fatto una canna" prima di guidare.
Il TAR Veneto, con la sentenza n. 1265 del 15 novembre 2016, si è occupato di un interessante caso in materia di circolazione stradale e revisione della patente di guida.

Nel caso esaminato dal TAR, un soggetto aveva impugnano il provvedimento con il quale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti aveva rigettato il ricorso proposto avverso il provvedimento della Motorizzazione civile che aveva disposto, a seguito di un sinistro stradale, la revisione della patente di guida del ricorrente mediante nuovo esame di idoneità medica e tecnica.

Nel caso di specie, la Polizia Stradale aveva proposto alla Motorizzazione la revisione della patente di guida del ricorrente, in quanto “secondo la ricostruzione della dinamica del sinistro (…) sulla base dei rilevamenti tecnici, degli elementi oggettivi raccolti e delle dichiarazioni rese dai protagonisti, sono sorti dubbi circa la persistenza dei requisiti psicofisici per il possesso della patente di guida da parte del conducente meglio in oggetto identificato”.

In particolare, era emerso che il ricorrente, aveva dichiarato che la sera prima si era “fatto una canna”.

A seguito degli esami tossicologici, era stato accertata l’assunzione, da parte del ricorrente, di “sostanze stupefacenti o psicotrope (cannabinoidi); consumo che può essersi realizzato nel quadro di una tossicodipendenza verso la/le sostanze indicate o nell’ambito di un consumo abituale”.

Stando così le cose, la Polizia stradale provvedeva ad irrogare la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 146, comma 2, Codice della Strada per violazione della segnaletica stradale, e l’Ufficio della Motorizzazione Civile, adottava, ai sensi dell’art. 128 Codice della Strada, il provvedimento di revisione della patente di guida.

Il ricorso avverso quest’ultimo provvedimento veniva respinto, in quanto, dagli accertamenti effettuati, erano emerse “non solo precedenti decurtazioni dei punti della patente di guida (…), ma anche un precedente provvedimento di sospensione della patente di guida per quarantacinque giorni, adottato dal Prefetto di Rovigo, ai sensi dell’art. 186, comma 2, Codice della Strada, per guida in stato di ebbrezza”.

Da tali elementi, dunque, l’Amministrazione dei Trasporti aveva dedotto “la fondatezza dei dubbi circa la permanenza (…) dei requisiti psicofisici per il mantenimento della patente di guida”.

Giunti dinanzi al TAR, il soggetto in questione lamentava la violazione dell’art. 128 Codice della Strada, stante la “errata valutazione delle dichiarazioni riportate a verbale dall’organo di polizia intervenuto”, nonché la violazione dell’art. 97 della Costituzione e dell’art. 3 L.n.241/90, per “eccesso di potere” ed “erronea valutazione dei fatti e difetto di istruttoria”.

Il ricorrente, inoltre, proponeva domanda risarcitoria, quantificata in € 30.000,00, “in relazione ai danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza del ritiro della patente di guida”.

Il TAR, tuttavia, non riteneva di poter aderire alle argomentazioni svolte dal ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto manifestamente infondato.

In primo luogo, il TAR rilevava come i risultati emersi dalle analisi mediche avessero evidenziato che il ricorrente aveva assunto “in epoca antecedente l’accertamento tossicologico-forense sostanze stupefacenti o psicotrope”, che poteva essersi realizzato “nel quadro di una tossicodipendenza verso la/le sostanze indicate o nell’ambito di un consumo abituale”.

Tali risultanze mediche non erano state utilizzate per l’irrogazione di una sanzione amministrativa né per l’apertura di un procedimento penale nei confronti del ricorrente, essendo le stesse state utilizzate solo “per giustificare e corroborare i “dubbi”, rilevanti ai sensi dell’art. 128 Codice della Strada, in ordine alla persistenza dei requisiti psicofisici alla guida”.

Secondo il TAR, non sussistevano dubbi in ordine alle dichiarazioni rese dal ricorrente agli agenti di Polizia intervenuti sul posto (“Vi dichiaro, come anche ai Sanitari, che ieri sera mi son fatto una canna e son sincero”), le quali costituivano piena prova, fino a querela di falso (che non risultava essere stata proposta).

Inoltre, non appariva in alcun modo violato l’art. 128 Codice della Strada, né risultava sussistente il lamentato eccesso di potere, “avendo correttamente l’Amministrazione dei Trasporti considerato e valutato in modo unitario, con un giudizio necessariamente complessivo, sia la dinamica del sinistro (…), così come illustrata nella relazione della PolStrada, sia gli accertamenti tossicologici eseguiti (…), sia i pregressi comportamenti di guida dell’odierno ricorrente, il quale già in passato ha dovuto sottoporsi ad un esame di idoneità alla guida a seguito di sospensione della patente per guida in stato di ebbrezza”.

Tutti tali elementi, dunque, ben poteva “legittimare l’insorgenza di dubbi sulla permanenza dei requisiti psicofisici e tecnici alla guida”, considerata anche l’ampia discrezionalità di cui gode l’Amministrazione in tale materia.

Infatti, anche il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4962 del 2011 ha precisato che “i provvedimenti di revisione della patente di guida adottati ai sensi dell’art. 128, d.lg. 21 luglio 1992 n. 285 sono finalizzati alla verifica della permanenza dei requisiti psicofisici e di idoneità tecnica per il possesso della patente di guida e adottati allorquando il comportamento del conducente sia stato tale da far sorgere dubbi in ordine al possesso di tali requisiti, con la conseguenza che tali provvedimenti, a differenza di quelli assunti ai sensi dell’art. 126 bis, cit. d.lg. n. 285 del 1992, non hanno finalità sanzionatorie o punitive e non presuppongono l’accertamento di una violazione delle norme sul traffico o di quelle penali o civili, ma sono adottati in dipendenza di qualunque episodio che giustifichi un ragionevole dubbio sulla persistenza dell’idoneità psicofisica o tecnica”.

Alla luce di tali considerazioni, il TAR rigettava il ricorso, nonché, di conseguenza, la relativa domanda risarcitoria, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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