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I rapporti tra il procedimento penale e il diritto di cronaca

I rapporti tra il procedimento penale e il diritto di cronaca
Il giornalista che pubblica una notizia mutuata da un procedimento penale è tenuto a verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento tanto da comportare l'assoluzione dell'accusato.
Con una importantissima pronuncia (sentenza numero 4353 del 17 gennaio 2022, depositata l’1 febbraio 2023), la Quinta sezione penale della Suprema Corte di cassazione si è occupata della causa di giustificazione ex art. 51 del c.p. sub species del diritto di cronaca, ex art. 21 Cost. e, in particolare, dei suoi rapporti con gli atti giudiziari propri del procedimento penale.

Come è noto, l’attività giornalistica – specie di inchiesta - è stata definita dalla giurisprudenza come prerogativa fondamentale posta soprattutto a tutela della collettività. Il c.d. watchdogs journalism è da sempre ritenuto In linea generale come un diritto pubblico soggettivo, espressione della fondamentale libertà di pensiero o di stampa scolpita all’art. 21 della Costituzione. Tale diritto consiste nel potere - dovere conferito al giornalista di portare a conoscenza dell'opinione pubblica fatti, notizie e vicende interessanti la vita associata. Come ogni diritto, tuttavia, quello di cronaca deve compenetrarsi nella trama del tessuto sociale e per l’effetto arrestarsi ogni qualvolta trova di fronte a sé un diritto di “grado maggiore”. Dagli anni novanta si è infatti diffuso un granitico orientamento giurisprudenziale che delimita verso l’esterno il diritto di cronaca, subordinandolo
  • alla continenza del linguaggio,
  • alla veridicità della notizia raccontata ed infine
  • alla inerenza del tema all’interesse pubblico.
Tale diritto, dunque, nella sua concreta esplicazione, trova la sua esterna delimitazione nei paralleli diritti e interessi fondamentali della persona (come l'onore e la reputazione, anch'essi costituzionalmente protetti dagli artt. 2 e 3 Cost.).
Mantenuta in questi limiti, l’attività giornalistica resta dunque nel perimetro della liceità ed eventuali reati commessi dal giornalista risultano scriminati in ogni ramo dell’ordinamento giuridico, non sottostando neanche ad un mero obbligo risarcitorio.

Nel proprio percorso logico argomentativo, la Cassazione reputa opportuno ribadire i limiti esterni del diritto di cronaca sopra solo accennati. In breve, la cronaca dei fatti risulta lecita solo se il giornalista costituisce un semplice intermediario tra il fatto e l'opinione pubblica.
La rappresentazione dei fatti offerta, inoltre, non solo deve rispondere ad un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti narrati, ma deve anche offrire una descrizione coerente con la verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) della realtà, rappresentata in forma «civile», tanto nell'esposizione dei fatti, quanto nella loro valutazione, nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone.

Entrando in media res, gli Ermellini hanno ritenuto di fare concreta applicazione delle coordinate ermeneutiche tracciate e, per l’effetto, relativamente alle notizie acquisite grazie a provvedimenti giudiziari, al giornalista è imposto un onere di diligenza qualificato che gli impone di verificare se l'attribuzione ad un soggetto di un fatto illecito sia coerente con le risultanze istruttorie, sia sotto il profilo dell'astratta qualificazione, che della sua concreta gravità. Per l’effetto, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, il giornalista che riporti una notizia tratta da un procedimento penale, in particolare se risalente nel tempo, è tenuto a verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento, tanto da comportare l'assoluzione dell'accusato.


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