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Pensione di reversibilità, da oggi l'INPS potrà negarla molto più facilmente: nuova sentenza della Cassazione

Pensione di reversibilità, da oggi l'INPS potrà negarla molto più facilmente: nuova sentenza della Cassazione
La Cassazione, con l’ordinanza n. 23352/2025, ha chiarito i termini di prescrizione per la pensione di reversibilità, distinguendo tra ratei prescritti ed esigibili e fissando la decorrenza degli interessi dalla domanda amministrativa
Con l’ordinanza n. 23352, depositata il 16 agosto 2025, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione particolarmente rilevante in materia di pensione di reversibilità. La decisione tocca anche il tema della prescrizione dei ratei pensionistici e della decorrenza degli accessori di legge.

La controversia trae origine dalla domanda di A.A., figlia maggiorenne inabile al lavoro, volta a conseguire la pensione di reversibilità del padre, deceduto nel 1990. La richiedente aveva dimostrato, attraverso documentazione e prove testimoniali, la totale inabilità, la vivenza a carico e il possesso dei requisiti reddituali.
In primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda, respingendo l’eccezione di prescrizione sollevata dall’INPS in quanto generica. La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la decisione del giudice di prime cure, ritenendo applicabile il termine decennale di prescrizione, che era stato interrotto dalla domanda amministrativa presentata nel 2009 e, successivamente, dall’azione giudiziale del 2012.

Secondo i giudici territoriali, la disciplina del termine quinquennale introdotta dal d.l. n. 98/2011 poteva valere solo per i ratei successivi all’entrata in vigore della norma, senza incidere sui diritti già maturati.
L’INPS, ritenendo la decisione erronea, avanzava ricorso per Cassazione lamentando la mancata corretta individuazione del dies a quo della prescrizione.

La Suprema Corte ha, però, ribaltato completamente le decisioni dei giudici di merito, accogliendo entrambi i motivi di ricorso dell’INPS.
Più nel dettaglio, i giudici hanno sottolineato che, una volta sollevata l’eccezione di prescrizione, spetta al giudice di merito determinare con precisione il momento iniziale della stessa, senza potersi limitare a constatare la genericità della deduzione. Tale accertamento dev’essere effettuato d’ufficio dal giudice, il quale deve individuare il corretto regime prescrizionale e verificare se i ratei richiesti siano effettivamente estinti per decorso del termine legale.

L’azione per ottenere la prestazione di reversibilità si prescrive in 10 anni dal fatto generatore. La sentenza chiarisce però due profili pratici spesso controversi. In primo luogo, non basta che l’ente riproponga l’eccezione di prescrizione. La Cassazione ha ritenuto che, anche quando l’INPS non indica espressamente la data di decorrenza della prescrizione, il giudice è tenuto a valutare d’ufficio la data iniziale in base agli elementi fattuali prodotti dalle parti. Ciò rende più agevole l’opposizione dell’ente laddove la domanda sia presentata oltre il termine decennale, perché la mancanza di una specifica indicazione della decorrenza non invalida automaticamente l’eccezione.

A sostegno di tale orientamento, la Corte ha richiamato alcuni precedenti consolidati (tra cui Cass. Sez. Un. n. 10955/2022 e Cass. n. 24047/2022), ribadendo che l’inerzia del titolare del diritto è l’elemento costitutivo della prescrizione, mentre l’individuazione del termine iniziale della prescrizione rientra tra i poteri del giudice.

La Corte, inoltre, ha distinto tra ratei ormai prescritti e ratei ancora esigibili: per le somme non prescritte il diritto può essere riconosciuto, ma la misura degli interessi segue regole precise. Quanto agli interessi, gli stessi devono essere calcolati a partire dalla messa in mora – ossia dalla data della domanda amministrativa – e non dalla mera maturazione dei singoli ratei.


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