Una delle novità più incisive riguarda il rafforzamento dell’incremento al milione, la maggiorazione introdotta con la legge finanziaria del 2001, che sostiene i pensionati più anziani o in condizioni di maggiore fragilità economica.
Il beneficio spetta ai titolari di pensioni di vecchiaia, invalidità, reversibilità o prestazioni assistenziali, a condizione che ricorrano contemporaneamente alcuni requisiti:
- requisito anagrafico: occorre aver compiuto 70 anni, ma l’età può essere ridotta di un anno ogni cinque anni di contribuzione, fino a un massimo di cinque anni. Per gli invalidi civili totali basta la maggiore età;
- situazione economica: il pensionato deve trovarsi in condizioni di disagio economico, con redditi entro specifiche soglie;
- limiti reddituali: nel 2025 non devono essere superati 9.721,92 euro annui di reddito personale, o 16.724,89 euro in caso di coniugi.
Un articolo dedicato della manovra 2026 stabilisce che, dal 1° gennaio 2026, gli importi legati all’incremento al milione saranno aumentati di 20 euro al mese, mentre il limite di reddito utile per ottenerlo crescerà di 260 euro annui.
Dopo l’adeguamento ordinario, che nel 2026 porta l’importo della pensione minima a circa 611,85 euro al mese, scatta una maggiorazione che arriva a 156,44 euro mensili, grazie anche ai 20 euro aggiunti dalla manovra. Il risultato finale sfiora i 770 euro.
È bene ricordare che chi accede a questa maggiorazione non beneficia della rivalutazione straordinaria, perché le due misure non si sommano. L’incremento al milione sostituisce del tutto la percentuale aggiuntiva dell’1,5%, offrendo comunque un vantaggio nettamente superiore.
Accanto a questo intervento più mirato, c’è la rivalutazione ordinaria, il meccanismo con cui lo Stato aggiorna periodicamente l’importo degli assegni pensionistici per compensare l’aumento del costo della vita. In pratica, quando i prezzi crescono e l’inflazione erode il potere d’acquisto, le pensioni vengono adeguate per consentire ai pensionati di sostenere le spese quotidiane senza perdere capacità economica.
L’adeguamento si basa sugli indici ISTAT, che misurano l’andamento dei prezzi al consumo. Ogni anno il Governo indica un tasso di rivalutazione “provvisorio”, calcolato sulla base dell’inflazione tendenziale, che viene applicato agli assegni. Successivamente, quando l’ISTAT certifica il dato definitivo, l’INPS procede ai conguagli: se l’inflazione effettiva risulta più alta o più bassa rispetto a quella stimata, gli importi vengono corretti di conseguenza.
Per il 2026 l’indice provvisorio è pari all’1,4%, un valore sufficiente a far salire l’attuale pensione minima – oggi ferma a 603,40 euro – oltre la soglia dei 611 euro. Significa poco più di 8 euro di aumento al mese, che su base annua diventano quasi 109 euro.
Resta poi la rivalutazione straordinaria, l’adeguamento aggiuntivo destinato a chi percepisce un assegno inferiore al trattamento minimo. Nel 2026 sarà meno generosa rispetto all’anno precedente, con la percentuale che scende dal 2,2% all’1,5%. Applicata sull’importo già rivalutato (circa 611,85 euro), porta l’assegno mensile a 621,03 euro, con un aumento complessivo che supera i 229 euro annui.