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Non pagano il pranzo di nozze

Non pagano il pranzo di nozze
C'è il reato di “insolvenza fraudolenta” per gli sposi che non pagano il pranzo di nozze.

E’ del 26 aprile 2016 un’interessante pronuncia del Tribunale di Trento in tema di “insolvenza fraudolenta”, di cui all’art. art. 641 del c.p. codice penale (sentenza n. 353 del 26 aprile 2016).

Nel caso esaminato dal Tribunale, due sposi erano stati imputati del suddetto reato “perché dissimulando il proprio stato di insolvenza, in concorso tra loro, pranzavano presso “l’Hotel Pa.” in località Lochere di Caldonazzo, il giorno 24 ottobre 2014 insieme agli invitati al loro matrimonio senza saldare il conto pari ad Euro 2.406,20”.

In sostanza gli imputati, pur essendo consapevoli di non poter pagare il conto, avevano organizzato il pranzo di nozze, senza saldare quanto dovuto.

Nel corso dell’istruttoria, in particolare, era emerso che “gli imputati avevano prenotato la sala per il pranzo di matrimonio, con fissazione del menù e del prezzo; che si erano presentati 30 invitati; che l’albergatore, su richiesta, aveva ordinato delle torte presso una pasticceria; che il giorno successivo al pranzo gli sposi avevano preso i dolci non utilizzati. Sin dal momento della prenotazione, la persona offesa non chiedeva caparra né altre garanzie in quanto lo sposo aveva già usufruito del locale per un precedente matrimonio”.

Era, inoltre, emerso che gli imputati avevano risposto “in maniera evasiva” ai primi solleciti telefonici della persona offesa, “promettendo l’adempimento” e, successivamente, la moglie si era qualificata “al telefono, come persona appartenente alla Guardia di Finanza di Trento o come soggetto sotto protezione della Guardia di Finanza, organo che sarebbe tenuto al pagamento”.

In proposito, il Tribunale osservava che “la differenza tra il mero inadempimento civilistico e l’insolvenza fraudolenta è da individuare nell’intenzione di non adempiere all’obbligazione contratta e nell’attuazione di condotte volte a dissimulare la propria incapacità di far fronte al debito”.

Infatti, “ai fini della sussistenza del reato di insolvenza fraudolenta, la condotta di chi tiene il creditore all’oscuro del proprio staio di insolvenza al momento di contrarre l’obbligazione assume rilievo quando sia legata al preordinato proposito di non adempiere la dovuta prestazione, mentre non si configura alcuna ipotesi criminosa, ma solo illecito civile, nel mero inadempimento non preceduto da alcuna intenzionale preordinazione”.

In tal senso si è pronunciata anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34192 del 2006.

Secondo il Tribunale, inoltre, “in tema di insolvenza fraudolenta ex art. 641 c.p., anche il silenzio può assumere rilievo quale forma di dissimulazione del proprio staio di insolvenza, quando tale stato non sia manifestato all’altra parte contraente ed il silenzio su di esso sia legato al preordinato proposito di non adempiere, cioè, quando sin dai momento in cui il contratto è staio stipulato vi era intenzione di non far fronte all’obbligo o agli obblighi scaturenti dal rapporto contrattuale”.

Ebbene, nel caso di specie, gli elementi sorti in sede di istruttoria erano da ritenersi “univoci e convergenti in ordine all’integrazione della fattispecie”, in quanto “la pregressa conoscenza del cliente, il ritorno il giorno successivo per il prelievo dei dolci, le plurime assicurazioni di pagamento, la finzione relativa all’interessamento di Forze dell’ordine rappresentano elementi da cui si desume l’intenzione di non provvedere al pagamento”.

Sussisteva, inoltre, secondo il Tribunale, il dolo, “consistente nella volontà di non adempiere”.

Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale riteneva di dover condannare gli imputati per il reato di cui all’art. 641 codice penale, infliggendo una pena di 6 mesi di reclusioni.


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