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Ex moglie non lavora e convive: va mantenuta?

Famiglia - -
Ex moglie non lavora e convive: va mantenuta?
Niente mantenimento se la ex moglie si rifiuta di lavorare e convive stabilmente con un altro uomo.
La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 14244 del 12 luglio 2016, è tornata a pronunciarsi in tema di diritto al mantenimento del coniuge separato, di cui all’art. 156 codice civile.

Nel caso esaminato dalla Corte, il Tribunale, pronunciandosi in sede di divorzio, aveva riconosciuto alla moglie il diritto a percepire un assegno mensile a titolo di contributo nel proprio mantenimento, pari a Euro 250.

L’ex marito, ritenendo tale decisione ingiusta, proponeva appello, osservando come non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di tale diritto all’ex moglie, sia in relazione alle condizioni economiche dei coniugi, sia in considerazione del rifiuto della moglie di lavorare e della sua convivenza stabile con un nuovo compagno.

La Corte d’Appello, effettivamente, riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dal marito, revocando l’assegno di mantenimento che il Tribunale aveva riconosciuto alla moglie.

Quest’ultima, dunque, decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, ritenendo violato l’art. 156 codice civile e lamentando, altresì, il fatto che la Corte d’Appello avrebbe fondato la propria decisione sul fatto che la medesima non aveva preso parte al giudizio, rimanendo, come si dice nel gergo tecnico, “contumace” (si tratta della situazione in cui una parte decida di non costituirsi nel giudizio che sia stato proposto nei suoi confronti, disciplinata dall’art. 251 codice di procedura civile).

Il ricorso, tuttavia, veniva dichiarato inammissibile e infondato.

Osserva la Corte, infatti, come la moglie effettui delle censure che hanno ad oggetto la valutazione di merito effettuata dalla Corte d’Appello, la quale non è, invece, censurabile in sede di ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 360 codice di procedura civile.

Rileva la Cassazione, inoltre, come non corrisponda al vero il fatto che la Corte d’Appello abbia valutato la contumaciacome elemento di prova su cui fondare la revoca dell'assegno divorzile”, dal momento che la Corte si era limitata a rilevare che la mancata costituzione in giudizio della moglie, aveva comportato “la mancata proposizione di mezzi di prova idonei a rappresentare una sua situazione di non autonomia reddituale e di disponibilità di mezzi economici tale da impedire di procurarsi da sola un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto nel corso del matrimonio”.

In sostanza, secondo la Corte d’Appello, la moglie, non partecipando al giudizio, non era nemmeno stata in grado di provare i fatti che giustificherebbero il riconoscimento del diritto al mantenimento, ai sensi dell’art. 156 codice civile.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione riteneva inammissibile, oltre che infondato, il ricorso, che veniva rigettato, con condanna della ex moglie-ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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