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Il marito "taglia i viveri" alla moglie? Condanna penale

Famiglia - -
Il marito "taglia i viveri" alla moglie? Condanna penale
Quanti mariti esasperati dalle “mani bucate” delle mogli avranno più volte pensato di ritirare loro il bancomat, lasciandole solo con lo stretto necessario per far fronte ai bisogni essenziali della famiglia?

Attenzione però, perché tale comportamento potrebbe avere delle conseguenze piuttosto gravi.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18937 del 2016 si è recentemente occupata proprio di un caso di questo tipo, anche se con riferimento ad una fattispecie concreta in cui il fatto di aver “tagliato i viveri” alla moglie rappresentava forse la meno grave delle condotte tenute dal marito.

Nel caso all’esame della Corte, la moglie aveva agito in giudizio nei confronti del marito il quale, tra le altre cose, l’aveva anche privata delle disponibilità economiche, togliendole “la procura sul conto corrente e l'uso del bancomat, lasciandole soltanto una carta per la spesa nel supermercato, con un limitato plafond; il bancomat le era stato poi successivamente riconsegnato per poi esserle nuovamente tolto; e tali circostanze risultano riscontrate dall'esame degli estratti conto prodotti, che attestano pagamenti per importi modesti presso supermercati e negozi di alimentari”.

In particolare, la medesima aveva chiesto la condanna per il reato di cui all’art. 572 del codice penale, che punisce con la reclusione da due a sei anni chi “maltratta una persona della famiglia o comunque convivente”.

Il marito era stato condannato sia in primo che in secondo grado e aveva, quindi, proposto ricorso per Cassazione, affermando, tra i motivi di ricorso, che “la privazione di disponibilità economiche in capo alla moglie cui fa riferimento l'imputazione sarebbe insussistente. Non si sarebbe considerato, infatti, che quest'ultima aveva dichiarato di avere sempre lavorato e percepito una retribuzione che rimaneva nella sua disponibilità. La persona offesa, inoltre, aveva delega sul conto corrente dell'imputato, così da poter effettuare anche prelievi”.

Va osservato che, nel caso di specie, questo non era stata, comunque, l’unica modalità di maltrattamento del marito, il quale, le aveva perpetrato ogni genere di violenza, come “insulti, violenze psicologiche, lesioni”, oltre ad “averla costretta a subire e a compiere reiterati atti sessuali, anche orali e anali, nonché masturbazioni, minacciandola, picchiandola, immobilizzandola con violenza, offendendola”.

Ebbene, la Corte, rilevato che “la privazione di disponibilità economiche costituisce solo una delle numerose modalità di maltrattamento poste in essere dall'imputato”, osserva come tutte le circostanze, che avevano trovato conferma in sede istruttoria, non potevano che portare alla conferma della condanna per il reato di “maltrattamenti in famiglia”, di cui all’art. 572 c.p.

In ogni caso, pur nella considerazione della moltitudine di atti che avevano giustificato la condanna nei primi due gradi di giudizio, secondo la Corte, anche la privazione delle disponibilità economiche, può rappresentare una delle modalità di “maltrattamento” di cui all’art. 572 c.p.

Si ripete che, comunque, nel caso di specie, il marito non era stato certo condannato solo per questo motivo, dal momento che era emerso nel corso del procedimento come lo stesso fosse solito usare violenza, anche di carattere sessuale, nei confronti della povera moglie, con la conseguenza che appariva a maggior ragione fondata la domanda di condanna ai sensi dell’art. 572 c.p.


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