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Malattia professionale causata da mobbing: il licenziamento è illegittimo?

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Malattia professionale causata da mobbing: il licenziamento è illegittimo?
Il lavoratore che si assenta per malattia, superando il periodo di tempo concesso dalla legge, non può essere licenziato se il motivo è dovuto a vessazioni e comportamenti persecutori sul lavoro.

In questi ultimi anni, il fenomeno del mobbing si è capillarmente diffuso. Esso è, come noto, caratterizzato da veri e propri atti persecutori, vessazioni, rimproveri e critiche continue, demansionamenti ingiustificati e, più in generale, da tutti quei comportamenti che abbiano la finalità di provocare l’allontanamento del lavoratore dal luogo di lavoro.

Di qui, l’esigenza avvertita dalla giurisprudenza, di predisporre adeguata tutela in favore del prestatore di lavoro che ne sia vittima, in assenza di una norma specifica che esattamente lo definisca e ne circoscriva l’ambito.

In particolare, ciò che interessa sono le conseguenze, in termini di malattie fisiche e/o psichiche, insorte nell'individuo proprio a causa di tali incresciose situazioni.

E’ ormai di evidenza come certi episodi, se ripetuti nel tempo e caratterizzati da comportamenti vessatori posti in essere o dai propri colleghi, in ipotesi di mobbing orizzontale, o dal datore di lavoro, nel c.d. mobbing verticale, possano dare luogo a disturbi di vario genere, da quelli gastro-intestinali e neurologici, a veri e propri stati di ansia, stress e depressione, tutti medicalmente accertabili.

A questo punto, il soggetto che ritiene di essere vittima di determinate condotte potrebbe assentarsi dal lavoro per parecchi giorni, anche per incapacità di affrontare un ambiente così ostile che è stata la vera e propria causa della sua malattia.

Tuttavia, esiste un periodo di tempo preciso che viene concesso al lavoratore per potersi assentare dal lavoro, mantenendo il diritto alla conservazione del posto, il c.d. periodo di comporto.

Superato quest’ultimo, la legge considera che si verifica un’impossibilità sopravvenuta, da parte del lavoratore, di adempiere la propria prestazione, giustificando, in tal modo, uno scioglimento del rapporto di lavoro.

Non sempre, però, la sanzione del licenziamento può essere considerata legittima.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22538/2013, si trovava ad affrontare il caso di un lavoratore dipendente licenziato a seguito del superamento del periodo di comporto.

Quest’ultimo evidenziava di aver subìto diverse contestazioni disciplinari e che, durante la malattia, era stato sottoposto a numerose visite di controllo. Così, ritornato al lavoro, dopo l’ennesimo rimprovero ingiustificato, era stato colpito da una profonda crisi psicologica che lo aveva costretto nuovamente ad assentarsi dal lavoro.

Agli atti di causa emergeva che i comportamenti tenuti dai suoi superiori non potevano che configurarsi come discriminatori e che questi ultimi rappresentavano la causa della malattia.

La Corte osservava che, qualora la patologia dipenda proprio dalle vessazioni e persecuzioni subìte, ovverosia da quello che comunemente viene definito "mobbing" , le assenze non si debbano conteggiare nel periodo di comporto.

Conseguentemente, il licenziamento intimato nei confronti del lavoratore sarebbe illegittimo e quest’ultimo avrebbe diritto alle tutele previste dalla legge, tra cui quella economica, oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro.

Peraltro, in aggiunta all'impugnazione del licenziamento allo scopo di sentirne dichiarare l’illegittimità dal giudice, è possibile anche iniziare una causa di risarcimento dei danni per mobbing.

In questo caso, al lavoratore si chiederà di provare, oltre al danno effettivamente subìto, anche il legame causale tra questo e il comportamento del datore di lavoro, che dovrà risultare a tutti gli effetti inquadrabile come “mobbizzante”.

A tale scopo la giurisprudenza ha elaborato diversi indici per individuare il mobbing, per cui deve trattarsi di una pluralità di atteggiamenti ostili nei confronti del lavoratore, che siano durati nel tempo per almeno sei mesi, posti in essere con un intento persecutorio e che abbiano provocato un danno alla salute.

Infatti, l’art. 32 Cost., laddove indica la tutela della salute come bene dell’individuo e della collettività, si riferisce sia alla salute fisica, sia a quella psichica.
A ciò si aggiunga che anche l’art. 2087 c.c. obbliga il datore di lavoro ad adottare la misure necessarie a salvaguardare “l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".

In sintesi, alla luce dell’orientamento seguito ad oggi dalla giurisprudenza, il licenziamento che sia avvenuto per superamento del periodo di comporto, quando la malattia sia determinata da mobbing, è da considerarsi illegittimo.


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