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Dipendente in malattia sostituisce la moglie in rosticceria: legittimo il licenziamento

Lavoro - -
Dipendente in malattia sostituisce la moglie in rosticceria: legittimo il licenziamento
Lavorare in altro luogo quando si è a casa per malattia può essere motivo di legittimo licenziamento.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3630 del 10 febbraio 2017, si è occupata di un interessante caso in materia di diritto del lavoro e, in particolare, in tema di legittimità del licenziamento.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Genova, in riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda proposta da un dipendente delle Poste, volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa, che gli era stato intimato per aver lavorato due giorni nella rosticceria della moglie, mentre era assente dal lavoro per infortunio.

La Corte d’appello aveva giustificato la propria decisione evidenziando che, dalla consulenza tecnica effettuata in corso di causa, era emerso che “il lavoratore, pure affetto da malattia traumatica, in quei giorni era pressoché guarito ed idoneo alla prestazione lavorativa”, con la conseguenza che “pur non avendo potuto incidere negativamente sul suo stato di salute la prestazione nella rosticceria, doveva ritenersi che il predetto avesse posto in essere un comportamento che ricade nella previsione dell'art. 54 lett. d) ultimo periodo del c.c.n.l. di settore (laddove questo prevede che il dipendente debba astenersi, in periodo di malattia e infortunio, dallo svolgere attività lavorativa, ancorché non remunerata) e si pone in contrasto con i doveri di cui all'art. 2104 cc. e del codice etico”.

Secondo la Corte d’appello, peraltro, il comportamento posto in essere dal lavoratore doveva considerarsi “grave” e tale da “ledere il vincolo fiduciario” tra datore di lavoro e dipendente.

Ritenendo la sentenza ingiusta, il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione, il quale, tuttavia, veniva rigettato.

Osservava la Corte di Cassazione, infatti, come la Corte d’appello avesse del tutto correttamente ritenuto che la condotta del lavoratore avesse integrato “una grave negazione dei canoni desumibili dall'art. 2104 cc. e dal codice etico, nonché dal disposto di cui all'art. 54 lett. d) del c.c.n.l. del settore, secondo il quale è dovere del lavoratore ‘astenersi da qualunque attività - a titolo gratuito od oneroso - o da qualunque altra forma di partecipazione in imprese ed organizzazioni di fornitori, clienti, concorrenti e distributori, che possano configurare conflitto di interessi con la società e astenersi altresì, in periodo di malattia od infortunio, dallo svolgere attività lavorativa ancorché non remunerata’”.

La Corte d’appello, infatti, nel compiere tale valutazione, aveva “evidenziato che quello posto in essere dal lavoratore era comportamento grave, incidente sul dovere fondamentale del dipendente di rendere la prestazione di lavoro e lesivo del vincolo fiduciario, anche in ragione del carattere doloso, desumibile anche dalla prima negazione dei fatti”.

Alla luce di tali considerazioni, dunque, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal lavoratore, confermando integralmente la sentenza di secondo grado e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


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