Previsti dal comma 3 dell'art. 33 della legge 104 sia per il lavoro in azienda che per il pubblico impiego, i permessi - giornalieri o frazionabili a ore - sono agevolazioni retribuite e concesse ai dipendenti che si occupano di un familiare disabile in situazione di gravità accertata, e ai lavoratori subordinati disabili in analogo stato di salute.
Tra i vari possibili quesiti sull'applicazione pratica di questi benefici, ce n'è uno che merita qui una specifica considerazione: un'azienda può chiedere e, quindi, pretendere di sapere come - in concreto - siano state spese le ore di permesso 104? Oppure, anche in mancanza di anteriori controlli investigativi sul beneficiario (ammissibili nel rispetto delle regole sulla privacy), il datore di lavoro non ha alcun diritto di saperne di più in merito? A ben vedere, si potrebbero comprendere le ragioni della eventuale curiosità dell'azienda, posto che - per legge - chi usufruisce di questo istituto conserva retribuzione, anzianità, ferie, tredicesima, TFR e non è tenuto a recuperare le ore che, altrimenti, avrebbe svolto in ufficio.
Si tratta di questioni che meritano una risposta chiara perché, se è vero che abusi e irregolarità nella fruizione dei permessi legge 104 sono fonte di una copiosa giurisprudenza, con annesse news che periodicamente informano sulle violazioni (talvolta anche piuttosto ingegnose) degli obblighi di legge in materia, è altrettanto vero che nella sfera dei rapporti di lavoro tra aziende e lavoratori subordinati esistono, pur sempre, limiti che attengono al rispetto della vita privata individuale.
Il dipendente può scegliere liberamente le giornate di permesso, comunicandole anticipatamente al datore di lavoro, salvo specifiche urgenze legate a motivi sanitari. Da parte sua, il datore di lavoro può chiedere che le imminenti assenze siano compatibili con organizzazione e produttività aziendale e - laddove ricorrano gravi e urgenti esigenze - può suggerire all'interessato un differimento. Attenzione però, all'azienda non è consentito, per legge, di andare oltre e - ad esempio - chiedere informazioni in merito alle specifiche problematiche di salute, che affliggono la persona non autosufficiente. Come accennato sopra, il datore di lavoro può servirsi delle prestazioni professionali di agenzie di investigazione, ma - in linea generale - il dipendente non è tenuto a rispettare alcun obbligo di comunicazione in merito all'utilizzo effettivo delle ore e giorni di permesso 104.
In altre parole, l'ufficio dovrà limitarsi a raccogliere le informazioni rilasciate dal lavoratore al momento della richiesta di agevolazione, e quest'ultimo potrà semplicemente accennare alle finalità per cui chiede di assentarsi. Infatti, il legislatore non impone alcuna descrizione di dettaglio, né sugli aspetti sanitari né su quelli propriamente organizzativi dell'attività di assistenza e cura della persona con disabilità. Nessun rendiconto delle attività è richiesto al beneficiario dell'agevolazione e il datore non potrà entrare nel merito dell'assistenza svolta, né pretendere minuziose giustificazioni.
D'altronde, si tratta palesemente di informazioni o dati personali del dipendente e - in materia - a tutela di quest'ultimo ci sono le norme sulla privacy. Attenzione però, ciò non vuol dire che l'azienda non abbia in nessun caso alcun potere a riguardo. Anzi, anche tramite le attività di un detective, potrà controllare il corretto utilizzo dei permessi ex post, laddove emergano elementi concreti che facciano sospettare abusi o irregolarità (ad es. segnalazioni di colleghi, incongruenze nei comportamenti ecc.). E, se tali violazioni vengono accertate, la giurisprudenza costante della Cassazione ammette la legittimità del conseguente licenziamento per giusta causa e senza preavviso, senza dimenticare i profili di responsabilità nei confronti dell'Inps. Ovviamente l'azienda potrà disporre e far eseguire le verifiche rispettando pur sempre i limiti e i canoni normativi della riservatezza e proporzionalità.
Concludendo, il lavoratore potrà così essere chiamato a giustificarsi, onde evitare gravi conseguenze disciplinari. In caso di contestazione, egli dovrà dimostrare perciò che il tempo speso è stato effettivamente finalizzato all'assistenza. Ma attenzione, perché se le richieste datoriali diventano insistenti o assumono un tono minaccioso, il dipendente potrà tutelarsi con gli strumenti offerti dai sindacati e rivolgersi a un avvocato esperto di diritto del lavoro, segnalando eventuali comportamenti lesivi della privacy o discriminatori.
Tra i vari possibili quesiti sull'applicazione pratica di questi benefici, ce n'è uno che merita qui una specifica considerazione: un'azienda può chiedere e, quindi, pretendere di sapere come - in concreto - siano state spese le ore di permesso 104? Oppure, anche in mancanza di anteriori controlli investigativi sul beneficiario (ammissibili nel rispetto delle regole sulla privacy), il datore di lavoro non ha alcun diritto di saperne di più in merito? A ben vedere, si potrebbero comprendere le ragioni della eventuale curiosità dell'azienda, posto che - per legge - chi usufruisce di questo istituto conserva retribuzione, anzianità, ferie, tredicesima, TFR e non è tenuto a recuperare le ore che, altrimenti, avrebbe svolto in ufficio.
Si tratta di questioni che meritano una risposta chiara perché, se è vero che abusi e irregolarità nella fruizione dei permessi legge 104 sono fonte di una copiosa giurisprudenza, con annesse news che periodicamente informano sulle violazioni (talvolta anche piuttosto ingegnose) degli obblighi di legge in materia, è altrettanto vero che nella sfera dei rapporti di lavoro tra aziende e lavoratori subordinati esistono, pur sempre, limiti che attengono al rispetto della vita privata individuale.
Il dipendente può scegliere liberamente le giornate di permesso, comunicandole anticipatamente al datore di lavoro, salvo specifiche urgenze legate a motivi sanitari. Da parte sua, il datore di lavoro può chiedere che le imminenti assenze siano compatibili con organizzazione e produttività aziendale e - laddove ricorrano gravi e urgenti esigenze - può suggerire all'interessato un differimento. Attenzione però, all'azienda non è consentito, per legge, di andare oltre e - ad esempio - chiedere informazioni in merito alle specifiche problematiche di salute, che affliggono la persona non autosufficiente. Come accennato sopra, il datore di lavoro può servirsi delle prestazioni professionali di agenzie di investigazione, ma - in linea generale - il dipendente non è tenuto a rispettare alcun obbligo di comunicazione in merito all'utilizzo effettivo delle ore e giorni di permesso 104.
In altre parole, l'ufficio dovrà limitarsi a raccogliere le informazioni rilasciate dal lavoratore al momento della richiesta di agevolazione, e quest'ultimo potrà semplicemente accennare alle finalità per cui chiede di assentarsi. Infatti, il legislatore non impone alcuna descrizione di dettaglio, né sugli aspetti sanitari né su quelli propriamente organizzativi dell'attività di assistenza e cura della persona con disabilità. Nessun rendiconto delle attività è richiesto al beneficiario dell'agevolazione e il datore non potrà entrare nel merito dell'assistenza svolta, né pretendere minuziose giustificazioni.
D'altronde, si tratta palesemente di informazioni o dati personali del dipendente e - in materia - a tutela di quest'ultimo ci sono le norme sulla privacy. Attenzione però, ciò non vuol dire che l'azienda non abbia in nessun caso alcun potere a riguardo. Anzi, anche tramite le attività di un detective, potrà controllare il corretto utilizzo dei permessi ex post, laddove emergano elementi concreti che facciano sospettare abusi o irregolarità (ad es. segnalazioni di colleghi, incongruenze nei comportamenti ecc.). E, se tali violazioni vengono accertate, la giurisprudenza costante della Cassazione ammette la legittimità del conseguente licenziamento per giusta causa e senza preavviso, senza dimenticare i profili di responsabilità nei confronti dell'Inps. Ovviamente l'azienda potrà disporre e far eseguire le verifiche rispettando pur sempre i limiti e i canoni normativi della riservatezza e proporzionalità.
Concludendo, il lavoratore potrà così essere chiamato a giustificarsi, onde evitare gravi conseguenze disciplinari. In caso di contestazione, egli dovrà dimostrare perciò che il tempo speso è stato effettivamente finalizzato all'assistenza. Ma attenzione, perché se le richieste datoriali diventano insistenti o assumono un tono minaccioso, il dipendente potrà tutelarsi con gli strumenti offerti dai sindacati e rivolgersi a un avvocato esperto di diritto del lavoro, segnalando eventuali comportamenti lesivi della privacy o discriminatori.