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Tardiva comunicazione prosecuzione malattia lavoratore dipendente

Lavoro - -
Tardiva comunicazione prosecuzione malattia lavoratore dipendente
Illegittimo il licenziamento se il lavoratore tarda solo di due giorni nel comunicare la prosecuzione della propria malattia.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17335 del 25 agosto 2016, si è occupata di un interessante caso di licenziamento intimato per superamento del periodo di malattia.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato ad un dipendente pubblico, condannando il Comune, datore di lavoro, alla reintegrazione e al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra.

In particolare, in questo caso, il lavoratore, dopo essere stato in malattia, non era rientrato in servizio il giorno stabilito, con la conseguenza che gli era stata contestata “l’assenza ingiustificata dal servizio per tre giorni”, in quanto “la comunicazione relativa alla prosecuzione della malattia era avvenuta solo in data 15.2.2010 e senza l’invio della relativa giustificazione”.

Il certificato medico, inoltre, era stato trasmesso dal lavoratore solo il 17.2.2010, anche se il medesimo attestava, effettivamente, la sussistenza della malattia.

Ebbene, secondo la Corte d’appello, “pur essendo la fattispecie dedotta in giudizio disciplinata dall’art. 55 quater introdotto nel d. lgs. 165/2001 (…), il licenziamento era illegittimo, in quanto non sussisteva la contestata assenza dal lavoro senza valida giustificazione”.

Secondo la Corte, peraltro, “la tardiva comunicazione della malattia e il tardivo invio della certificazione medica avrebbero potuto essere puniti, al più, con una sanzione conservativae, “ai sensi dell’art. 2119 codice civile, la sanzione del licenziamento era sproporzionata alla condotta addebitata e realizzata”.

Avverso tale pronuncia, il Comune proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando che anche a voler ritenere che la malattia fosse effettivamente sussistente, la circostanza sarebbe comunque irrilevante ai fini della legittimità del licenziamento, in quanto la disciplina legale impone al lavoratore “di comunicare la malattia e di trasmettere le certificazioni mediche giustificative”, cosa che il lavoratore in questione, invece, non aveva dimostrato di aver fatto.

Secondo il ricorrente, dunque, “ai sensi dell’art. 2119 c.c., la condotta addebitata, per avere determinato disservizi organizzativi, avrebbe dovuto essere considerata di tale gravità da non consentire la prosecuzione del rapporto, neppure in via provvisoria”.

La Corte di Cassazione non riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dal Comune ricorrente, rigettando il relativo ricorso.

La Corte di Cassazione, in particolare, motivava la propria decisione affermando, innanzi tutto, il principio di diritto in base al quale, ai sensi dell’art. 55 quater del d. lgs. n. 165/2001, “l’assenza per malattia è priva di rilievo disciplinare non quando è solo “esistente”, né quando è (anche) comunicata ma quando è “giustificata” nelle forme, inderogabili, previste dall’art. 55 septies, c. 1, e pertanto quando sia stata attestata da certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale”.

Nel caso di specie, il lavoratore, in effetti, non aveva adeguatamente comunicato e documentato al datore di lavoro la prosecuzione della malattia e tale condotta, in astratto, poteva essere posta alla base del licenziamento.

Tuttavia, la Cassazione evidenziava come il giudice di secondo grado, “seppur erroneamente escludendo la “ingiustificatezza” dell’assenza”, aveva adeguatamente motivato circa l’insussistenza del requisito della “proporzionalità” tra la condotta e la sanzione del licenziamento”.

Nel caso concreto, infatti, “il ritardo nella comunicazione della malattia si era protratto per soli due giorni”, che cadevano, peraltro, di sabato e domenica, e “la malattia era risultata effettivamente sussistente in sede di visita di controllo”.

In sostanza, secondo la Cassazione, pur essendo vero che il lavoratore avrebbe dovuto comunicare la prosecuzione della malattia e trasmettere nei termini di legge i relativi certificati medici, doveva comunque aderirsi a quanto evidenziato dalla Corte d’appello, la quale aveva escluso che la sanzione del licenziamento fosse proporzionata alla condotta posta in essere, in quanto il lavoratore aveva tardato solo di due giorni nell’effettuare la suddetta comunicazione.

Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione rigettava il ricorso proposto dal Comune, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali.


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