Secondo la Cassazione, chiedere denaro per un certificato che dev’essere gratuito non è semplicemente una condotta scorretta: si tratta di un reato. Pertanto, risponde del delitto di istigazione alla corruzione il medico, convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, che offre il rilascio di certificati medici di astensione dal lavoro dietro il pagamento di una somma di danaro.
I fatti di causa
Un medico di base è stato condannato dalla Corte d’Appello di Milano per aver chiesto denaro in cambio del rilascio di certificati di astensione dal lavoro.
In due diversi episodi, il professionista – medico di base operante nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – avrebbe richiesto direttamente ai pazienti un compenso per firmare documenti che, in quanto prestazione compresa nel servizio pubblico, avrebbero dovuto essere gratuiti.
Contro la condanna emessa in sede d'appello il medico ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo a sua difesa che:
I fatti di causa
Un medico di base è stato condannato dalla Corte d’Appello di Milano per aver chiesto denaro in cambio del rilascio di certificati di astensione dal lavoro.
In due diversi episodi, il professionista – medico di base operante nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – avrebbe richiesto direttamente ai pazienti un compenso per firmare documenti che, in quanto prestazione compresa nel servizio pubblico, avrebbero dovuto essere gratuiti.
Contro la condanna emessa in sede d'appello il medico ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo a sua difesa che:
- le richieste erano state fatte in tono scherzoso e amichevole;
- l'importo richiesto (30 euro) era modesto e non ripetuto;
- nessuno dei pazienti si era lamentato o aveva cambiato medico;
- diversi testimoni avevano minimizzato la gravità della condotta.
Inoltre, l’imputato ha invocato l’articolo 131 bis del codice penale, che consente l’esclusione della punibilità per "particolare tenuità del fatto" nei casi di condotte episodiche e con danno minimo.
Il ragionamento della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, con la sentenza 19409/2025, ha rigettato il ricorso, affermando che il comportamento rientra pienamente nel reato di istigazione alla corruzione (art. 322, comma 3, c.p.). Il fatto che l’importo fosse contenuto o il tono informale non cambia la natura illecita dell’atto: ciò che conta è che la richiesta di denaro, anche minima, sia idonea a produrre un effetto illecito, ovvero ottenere un atto dovuto in cambio di un compenso.
La somma non deve essere alta per configurare il reato, basta che non sia del tutto irrisoria.
Inoltre, non serve la reiterazione del comportamento: un singolo atto può bastare se viola i doveri d’ufficio.
La Cassazione ha escluso l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. Le condotte del medico, anche se non numerosissime, riflettono una tendenza a violare sistematicamente i doveri di correttezza e imparzialità, fondamentali per chi opera all’interno del SSN: "la particolare tenuità del fatto non può essere riconosciuta quando le condotte criminose presentano tratti comuni che denotano un’inclinazione a delinquere.” La Suprema Corte ha chiarito che una condotta simile può ritenersi inoffensiva solo se "manchi l'idoneità potenziale dell'offerta stessa a conseguire lo scopo perseguito dall’autore", quella cioè del medico a conseguire l'ottenimento delle somme.
Anche somme apparentemente modeste rientrano, dunque, nel reato di istigazione alla corruzione, se associate a un comportamento abusivo da parte del pubblico ufficiale.