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Inneggiare allo Stato islamico costituisce reato?

Inneggiare allo Stato islamico costituisce reato?
La Corte di Cassazione ha confermato che l'inneggiare allo Stato islamico giustifica ampiamente l'adozione della misura cautelare della custodia in carcere.

A chi inneggia allo Stato Islamico può essere applicata la misura cautelare della custodia in carcere?

La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 55418 del 12 dicembre 2017, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni sul punto.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale del Riesame di Brescia aveva annullato il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere ad un soggetto accusato del reato di istigazione a delinquere”, di cui all’art. 414 c.p.

Nello specifico, il soggetto in questione era stato accusato di aver commesso tale reato per “aver pubblicamente, mediante la diffusione sulla rete internet, fatto apologia dello Stato Islamico, associazione con finalità di terrorismo internazionale”.

Ritenendo la decisione ingiusta, il Procuratore della Repubblica di Brescia aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento dell’ordinanza di annullamento della misura cautelare.

Secondo il Procuratore, infatti, “il richiamo costante ed esplicito al conflitto bellico in corso di svolgimento sul territorio sirio-iracheno, contenuto nelle registrazioni pubblicate e condivise sul profilo Facebook del D., rappresentava un idoneo e qualificato riferimento all'ISIS, protagonista non certo secondario di tale conflitto”.

Di conseguenza, secondo il Procuratore, il Tribunale del Riesame, nell’annullare la misura cautelare della custodia in carcere, non avrebbe tenuto in adeguata considerazione le “conseguenze apologetiche che i riferimenti espliciti ed impliciti al conflitto sirio-iracheno erano in grado di provocare rispetto ai frequentatori dei social network”.

Osservava il Procuratore, peraltro, che “il riferimento ad una delle parti in guerra, in particolare all'ISIS, presupponeva, il richiamo alla Jihad islamica, la quale costituisce la fonte di ispirazione delle azioni militari dello Stato islamico sul territorio sirio-iracheno e, su scala internazionale, il collante del terrorismo islamico”.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al Procuratore della Repubblica, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.

Precisava la Cassazione, in proposito, che le associazioni di ispirazione jihadista operanti su scala internazionale “hanno natura di organizzazione terroristiche rilevanti ex art. 270 bis c.p.”.

Ebbene, nel caso di specie, secondo la Cassazione, appariva pacifico che l’indagato avesse “inneggiato apertamente allo Stato islamico ed alle sue gesta ed i suoi simboli” e, il Tribunale del Riesame, nell’annullare il provvedimento che aveva disposto la custodia cautelare in carcere del medesimo, non aveva adeguatamente tenuto conto dei contatti che l’indagato aveva “con altri soggetti già indagati per terrorismo islamico, affermando contraddittoriamente che lo stesso fosse estraneo a frequentazioni di gruppi religiosi più estremisti, o valorizzando la circostanza che fosse estraneo a frequentazioni religiose”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione annullava il provvedimento impugnato dal Procuratore della Repubblica, rinviando la causa al Tribunale di Brescia, affinchè il medesimo decidesse nuovamente sulla questione, sulla base dei principi sopra enunciati.


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