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Infortunio sul lavoro: il datore di lavoro cosa è tenuto a fare?

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Infortunio sul lavoro: il datore di lavoro cosa è tenuto a fare?
La Corte di Cassazione ha precisato che il datore di lavoro deve rimuovere eventuali situazioni di pericolo o di rischio cui sia esposto il lavoratore nell'esercizio delle sue mansioni.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27669 del 21 novembre 2017, ha affrontato un interessante caso di infortunio sul lavoro, fornendo alcune interessanti precisazioni in tema di responsabilità del datore di lavoro.

Questi i fatti di causa.

La Corte d’appello di Brescia aveva confermato la sentenza con cui il giudice di primo grado aveva accolto la domanda di risarcimento danni proposta da un lavoratore nei confronti della sua datrice di lavoro, a seguito di un infortunio sul lavoro.

Il giudice d’appello aveva, infatti, ritenuto che sussistesse la responsabilità contrattuale, ai sensi dell’art. 2087 c.c., della datrice di lavoro, essendo stata dimostrata la “generale situazione di pericolo e di rischio” cui era stato sottoposto il lavoratore stesso nell’esercizio delle sue mansioni (il dipendente, in particolare, era un operaio e si era trovato a dover operare su di un piano di calpestio irregolare e con la porzione centrale aperta verso il vuoto).

Secondo la Corte d’appello, dunque, la datrice di lavoro era tenuta a risarcire il danno subito dal proprio dipendente, in quanto la stessa non aveva approntato le dovute misure di sicurezza.

Quanto, poi, alla quantificazione del danno, il giudice liquidava un danno biologico di oltre Euro 72.000, cui andava detratto l’indennizzo percepito dall’INAIL.

La società datrice di lavoro, tuttavia, non aveva ritenuto corretta la decisione della Corte d’appello, con la conseguenza che la stessa aveva deciso di rivolgersi alla Suprema Corte, nel tentativo di ottenere l’annullamento della sentenza che l’aveva condannata a quell’ingente risarcimento.

Secondo la ricorrente, in particolare, la Corte d’appello non avrebbe dato corretta applicazione agli artt. 1218, 2087 e 2697 c.c., dal momento che era stata pienamente dimostrata la totale mancanza di responsabilità della datrice di lavoro nella causazione del sinistro.

La ricorrente evidenziava, infatti, che la Corte d’appello non aveva considerato “gli standard normali di sicurezza applicati in casi analoghi”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, riteneva di dover aderire a quanto statuito dal giudice d’appello, rigettando il ricorso proposto dalla datrice di lavoro.

Rilevava la Cassazione, in proposito, che i giudici d’appello avevano correttamente applicato “la disciplina vigente in materia di responsabilità contrattuale per infortuni sul lavoro”, con la conseguenza che, “una volta provato che l'infortunio si è verificato mentre il lavoratore stata eseguendo attività cui era adibito e che la sua caduta dall'alto - con conseguenti lesioni personali e postumi - è dipesa dal cedimento di alcuni elementi di protezione”, la prova liberatoria dell’assenza di responsabilità restava a carico del datore di lavoro, che però, nel caso in esame, non risultava averla debitamente fornita.

Secondo la Cassazione, dunque, la Corte d’appello aveva, del tutto correttamente ritenuto che la situazione pericolosa e di rischio cui era stato esposto il lavoratore avrebbe dovuto essere rimossa dalla società datrice di lavoro, la quale, invece, non aveva provveduto.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza di condanna resa dalla Corte d’appello.


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