La 
Corte di Cassazione, con 
ordinanza n. 22069 del 4 settembre 2019, si è occupata del caso di un 
fondo patrimoniale nel cui atto istitutivo era stata inserita la clausola in virtù della quale i beni vincolati nel fondo patrimoniale potevano "essere alienati, ipotecati e dati in 
pegno o comunque vincolati con il solo consenso di entrambi i coniugi, senza necessità di alcuna autorizzazione giudiziale" in presenza di figli minori.
 
	Più in particolare, nel caso di specie, i genitori del minorenne avevano concesso i 
beni immobili in 
ipoteca, per garantire alcuni finanziamenti, e senza che tali atti fossero stati autorizzati dal 
giudice tutelare.
 
	In un secondo momento, il figlio minorenne rappresentato dai genitori agiva in giudizio al fine di fare accertare l’invalidità della clausola contenuta nell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, facendo di conseguenza dichiarare l’invalidità della garanzia ipotecaria concessa senza autorizzazione del giudice tutelare.
	Ebbene, per risolvere la controversia in questione, i giudici della Cassazione hanno affrontato due diverse questioni: da un lato la 
legittimazione del 
minore ad 
agire in giudizio per contestare la clausola presente nell’atto costitutivo del fondo; dall’altro, il tema della 
legittimità della clausola in questione.
 
	Innanzitutto, i giudici hanno affermato che i figli “
sono legittimati a dedurre l’invalidità degli atti di disposizione del fondo patrimoniale, in quanto titolari di una posizione giuridicamente tutelata attesa la configurabilità di uno specifico interesse degli stessi ad interloquire sulle operazioni effettuate dai titolari del diritto di proprietà dei beni costituiti nel fondo patrimoniale, in ragione delle possibili conseguenze degli stessi sulla consistenza del patrimonio istituzionalmente destinato esclusivamente al soddisfacimento dei bisogni della famiglia”.
 
	Per tale motivo, la Cassazione ha riconosciuto la legittimazione ad agire in capo al figlio dei coniugi.
	Per quanto riguarda poi la validità della clausola derogatoria dell’autorizzazione del giudice tutelare per una determinata categoria di atti, ne è stata riconosciuta la validità sulla base dell’art. 
169 primo comma del 
Codice Civile il quale, nel prevedere che “non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in 
camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente”, fa salva la possibilità di prevedere delle deroghe espresse nell’atto di costituzione.
 
	Dall’analisi di tale norma, i giudici hanno dedotto quindi la volontà del legislatore di riservare ai costituenti “la facoltà di limitare il potere dispositivo sui beni del fondo”.
	Tuttavia, compiendo un’attenta analisi dell’istituto, i giudici affermano che l’
art. 169 del c.c. rientra tra le 
misure di protezione che esprimono l’obiettivo del legislatore di assicurare una tutela rafforzata per i figli, per i quali la consistenza del patrimonio istituzionalmente destinato al soddisfacimento dei bisogni familiari non è di certo indifferente.
 
	Per questo motivo il figlio, pur divenuto maggiorenne nel corso del giudizio, mantiene il suo interesse ad agire, in particolare se non emerge che lo stesso sia uscito dalla famiglia e che anzi continui a beneficiare del fondo stesso.