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Articolo 169 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Alienazione dei beni del fondo

Dispositivo dell'art. 169 Codice Civile

(1)Se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l'autorizzazione concessa dal giudice(2) [32], con provvedimento emesso in camera di consiglio [737 ss. c.p.c. ], nei soli casi di necessità od utilità evidente(3).

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dall'art. 51 della L. 19 maggio 1975 n. 151.
(2) Competente sarà il tribunale del luogo di residenza del minore, ex art. 38 disp. att..
(3) Ai sensi del combinato disposto degli artt. 169 e 170 c.c., nonché dei principi costituzionali in tema di famiglia, i beni costituiti nel fondo non potranno essere distolti dalla loro destinazione ai bisogni familiari, o costituire oggetto di ipoteca ad opera di terzi; nel caso però in cui i coniugi, anche disgiuntamente, abbiano assunto obbligazioni nell'interesse della famiglia, e vi sia poi inadempimento delle stesse, il creditore ben potrà iscrivervi ipoteca, stante la funzione di garanzia correlata.

Ratio Legis

La ratio della norma è l'esigenza di porre al riparo l'integrità del patrimonio familiare rispetto agli atti che non ricoprano tale fine, in particolare qualora vi siano figli minori.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

113 Non è stata accolta la proposta di istituire in ogni comune un registro anagrafico pubblico per l'annotazione della costituzione del vincolo di inalienabilità sui beni. Si sarebbe creato in tal modo un sistema ingombrante e poco pratico, che avrebbe costituito un'inutile duplicazione della trascrizione.
114 Per evitare che i terzi si astengano dal costituire un patrimonio familiare, nel timore che i beni vadano ai creditori, era stato proposto di limitare la norma del terzo comma dell'art. 228 del progetto, di modo che l'inalienabilità non fosse opponibile ai creditori del coniuge che avesse costituito il patrimonio, escludendosi il caso del terzo che avesse voluto fare un atto di liberalità. Per venire incontro a tale proposta si dichiara opponibile ai creditori del coniuge l'inalienabilità del patrimonio familiare costituito da un terzo (art. 169 del c.c., ultimo comma). In ordine allo stesso articolo, è stato suggerito di non esonerare il patrimonio familiare dal rispondere per le obbligazioni da delitto o quasi delitto del costituente, con il temperamento peraltro che i beni del patrimonio debbano rispondere solo in via sussidiaria, e cioè in mancanza di beni propri di colui che è stato dichiarato responsabile del danno da risarcire. Non si è accolto questo criterio, perché non è sembrato conveniente ridurre troppo il vincolo dell'inalienabilità del patrimonio familiare.

Massime relative all'art. 169 Codice Civile

Cass. civ. n. 21184/2021

In materia di fondo patrimoniale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 169 e 170 cod. civ. e dei principi costituzionali in tema di famiglia, i beni costituiti nel fondo, non potendo essere distolti dalla loro destinazione ai bisogni familiari, non possono costituire oggetto di iscrizione di ipoteca ad opera di terzi, qualunque clausola sia stata inserita nell'atto di costituzione circa le modalità di disposizione degli stessi in difformità da quanto stabilito dal citato art. 169 cod. civ.; tuttavia, nel caso in cui i coniugi o uno di essi abbiano assunto obbligazioni nell'interesse della famiglia, qualora risultino inadempienti alle stesse, il creditore può procedere all'iscrizione d'ipoteca sui beni costituiti nel fondo, attesa la funzione di garanzia che essi assolvono per il creditore, in quanto correlati al soddisfacimento delle esigenze familiari.

Cass. civ. n. 30517/2019

In presenza di figli minori, lo scioglimento del fondo patrimoniale posto in essere dai genitori senza autorizzazione del giudice tutelare è invalido, ma, poiché il divieto di scioglimento è posto a vantaggio dei detti minori, l'azione di annullamento spetta soltanto a questi ultimi e non pure ai terzi, ancorché creditori in revocatoria. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso potesse formare oggetto di azione revocatoria, essendo già inefficace, il fondo patrimoniale sciolto dai genitori, nonostante vi fossero figli minori e mancasse l'autorizzazione del giudice tutelare).

Cass. civ. n. 22069/2019

In tema di fondo patrimoniale, i figli minori e quelli maggiorenni - questi ultimi se il fondo non sia cessato e non risultino economicamente autosufficienti - sono legittimati ad agire in giudizio in relazione agli atti dispositivi eccedenti l'ordinaria amministrazione che incidano sulla destinazione dei beni del fondo, discendendo tale legittimazione dalla "ratio" dell'istituto, volto a costituire su determinati beni un vincolo di destinazione ai bisogni della famiglia nucleare e, quindi, di tutti i suoi componenti. Ne consegue che l'interesse all'azione permane anche se i figli diventano maggiorenni in corso di causa, in assenza di elementi da cui desumere che siano diventati autonomi rispetto alla famiglia di origine. (Fattispecie relativa all'azione di accertamento dell'invalidità della garanzia ipotecaria, concessa dai genitori sui beni del fondo patrimoniale, promossa dal figlio divenuto maggiorenne dopo avere intrapreso il giudizio). (Rigetta, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 08/10/2015).

Cass. civ. n. 15859/2012

a competenza a conoscere della domanda di autorizzazione alla cessazione del fondo patrimoniale costituito in favore di un figlio minore, limitatamente ad alcune unità immobiliari e sull'accordo di entrambi i genitori divorziati, è del tribunale per i minorenni e non di quello ordinario; elemento discriminante è la vigenza o la cessazione del vincolo coniugale al momento della proposizione dell'istanza autorizzatoria, atteso che la sopravvenuta mancanza di coniugio - come nella specie - determina l'esigenza, in caso di permanenza, meramente temporanea, del vincolo di destinazione del fondo fino alla maggiore età del figlio, di prevedere l'intervento del giudice specializzato, al fine di provvedere specificamente alla sua tutela, nell'amministrazione e nella disposizione dei beni, non esistendo più il presupposto della comunione di affetti ed interessi che caratterizza il rapporto matrimoniale quale base giuridico-solidaristica del fondo medesimo, e non costituendo, quindi, la natura parziale del provvedimento un elemento dirimente circa la competenza.

Cass. civ. n. 6167/2002

L'ordinanza con la quale il giudice di merito (nella specie, tribunale ordinario) dichiari la propria incompetenza a conoscere di un'istanza introduttiva di un procedimento unilaterale di volontaria giurisdizione (nella specie, richiesta di autorizzazione al compimento di atti di disposizione su beni costituiti in fondo patrimoniale per i bisogni di una famiglia composta, tra gli altri, da figli minori), indicando, nel contempo, come competente altra autorità giudiziaria (nella specie, tribunale dei minorenni) è legittimamente impugnabile con l'istanza di regolamento di cui all'art. 42 c.p.c., trattandosi di provvedimento che statuisce irretrattabilmente sulla competenza ed assume, per l'effetto sia pur ai soli, limitati fini de quibus natura di sentenza.

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Consulenze legali
relative all'articolo 169 Codice Civile

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G. F. M. chiede
martedì 09/05/2023
“Buongiorno di seguito il quesito:
sono NUDO PROPRIETARIO di un immobile A2 , mia moglie è titolare del DIRITTO DI ABITAZIONE (cedutole da me a titolo oneroso nel luglio 2021).
Tale immobile è stato conferito nell'ottobre del 2016 in un FONDO PATRIMONIALE FAMIGLIARE, costituito sempre in quella data da me e da mia moglie.
SIAMO IN SEPARAZIONE DEI BENI e mia moglie è totalmente estranea alla mia attività imprenditoriale, ne MAI ha prestato garanzie al sottoscritto o alla SAS di cui sono socio accomandatario dal 2017.
DOMANDA:
posso cedere a titolo oneroso anche la NUDA PROPRIETA' a mia moglie diventando cosi' la stessa piena PROPRIETARIA ?
In caso affermativo:
1) L'immobile rimane in ogni caso ''tutelato'' e conferito nel fondo patrimoniale da noi a suo tempo costituito ( da oltre 5 anni..)?
2) Nel caso di ipotetici future crisi o problemi con la mia attività imprenditoriale, prima dei fatidici 5 anni, tale cessione fosse oggetto di azione revocatoria vittoriosa da un mio eventuale creditore si tornerebbe allo stato attuale, ovvero io nudo proprietario e mia moglie con DIRITTO ABITAZIONE (...che si consoliderebbe nel luglio 2026...), oppure tale diritto risulterebbe cancellato e l'immobile tornerebbe in mia piena proprietà?
Ringrazio per la cortese attenzione ed attendo vostro cortese riscontro in merito al quesito esposto.
Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 22/05/2023
E’ certamente consentito trasferire, a titolo oneroso ed in favore del proprio coniuge, la nuda proprietà dell’immobile già costituito in fondo patrimoniale.
In tal senso può argomentarsi dall’art. 169 c.c., rubricato “Alienazione dei beni del fondo”, nonché dall’art. 3 dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale (di cui, proprio per tale ragione, è stato chiesto di inviarne copia a questa Redazione).
In particolare, secondo quanto disposto dal sopra citato art. 169 c.c., per tutta la durata del fondo patrimoniale, l’alienazione o la costituzione di vincoli reali sul bene che ne costituisce oggetto è consentita a due condizioni:
a) che vi sia il consenso di entrambi i coniugi;
b) che sussista l’autorizzazione del giudice, allorchè nella famiglia vi siano figli minori e sempre che ricorra una situazione di necessità ed utilità evidente.

Si prescinde da tali condizioni nel solo caso in cui il compimento di tali atti sia stato espressamente e preventivamente consentito nello stesso atto costitutivo del fondo patrimoniale, ciò che è avvenuto nel caso di specie, e precisamente con il sopra ciato art. 3, ove risulta convenuto quanto segue:
Il bene costituente il fondo patrimoniale potrà essere alienato, ipotecato, dato in pegno e comunque vincolato con il solo consenso di entrambi i coniugi senza necessità di autorizzazione giudiziale, anche in presenza di figli minori.

Del resto, tale trasferimento non può esplicare alcun effetto sul vincolo già costituito e trascritto sul bene, né può avere alcuna rilevanza la circostanza che proprietario del bene sia l’uno piuttosto l’altro coniuge.
Si tenga presente, infatti, che regola generale, secondo quanto risulta dal primo comma dell’art. 168 del c.c., è quella secondo cui la titolarità dei beni costituiti in fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi.
Tuttavia, sempre il primo comma del medesimo art. 168 fa salva la possibilità che sia diversamente stabilito nell'atto di costituzione; è infatti consentito ad entrambi i coniugi, ad uno solo di essi o al terzo di riservarsi la proprietà dei beni, nel qual caso l'oggetto del conferimento non è la proprietà o la titolarità del bene ma il suo godimento, in modo analogo alla costituzione di usufrutto.
Pertanto, il trasferimento della nuda proprietà da un coniuge all’altro, con conseguente consolidarsi in capo ad uno solo dei coniugi del diritto di piena proprietà, non può in alcun modo incidere sulla destinazione che è stata impressa a quel bene con la convenzione costitutiva del fondo patrimoniale, avendo lo stesso legislatore previsto la possibilità che uno solo dei coniugi o addirittura il terzo costituente si riservi il diritto di proprietà sul bene.

Il compimento di tale atto, peraltro, non può in alcun modo interferire con il termine da cui far decorrere i cinque anni per l’eventuale esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, altro aspetto che nel quesito si chiede di esaminare.
A tale riguardo valgano le seguenti considerazioni.
La costituzione di fondo patrimoniale, stipulato ai sensi dell'art. 167 del c.c., costituisce una tipica convenzione matrimoniale, la quale, come tale, deve essere annotata, ad istanza del notaio che ha rogato l'atto, a margine dell'atto di matrimonio dei coniugi in favore dei quali il fondo stesso è costituito (così Trib.. Frosinone 15.3.2016; Trib. Monza 14.10.2008; Trib. Brindisi 10.12.2001; Trib. Bergamo 16.11.1981; ) e non può essere opposta ai terzi fin quando a margine dell'atto di matrimonio non siano stati annotati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti.
Peraltro, non è neppure idonea, ai fini di tale opponibilità, la trascrizione nei pubblici registri immobiliari della costituzione stessa, in quanto tale trascrizione, disciplinata dall’art. 2647 del c.c., viene degradata al rango di “pubblicità-notizia” (in tal senso possono citarsi Cass. n. 27854/2013; Cass. n. 20995/2012; Cass. n.21658/2009; Cass. n. 24798/2008; Cass. n. 24332/2008; Cass. n. 27745/2007; Cass.n. 8610/2007; Cass. n. 5684/2006; Cass. n. 12864/1999; Cass. n. 10859/1999).

Pertanto, due sono le forme di pubblicità a cui risulta sottoposto il fondo patrimoniale, ovvero:
a) l’annotazione nei registri dello stato civile, con funzione dichiarativa;
b) la trascrizione, con funzione di pubblicità notizia,
ma solo l'annotazione di cui all'art. 162, 4° co., che è norma speciale, è idonea ad assicurare l'opponibilità della convenzione matrimoniale ai terzi.
Da ciò ne consegue che il termine di cinque anni per l’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria dovrà farsi decorrere dalla data in cui è stata effettuata la prima forma di pubblicità (annotazione nei registri dello stato civile).
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. III civ, con sentenza 24.03.2016 n. 5889, nella quale la S.C sostiene espressamente che, nel caso di costituzione di fondo patrimoniale tra coniugi, l’azione revocatoria si prescrive nel termine di cinque anni decorrenti dal giorno in cui l’atto è opponibile ai terzi, e non dalla data della stipula della convenzione, perché solo da quel momento il diritto può essere fatto valere.
A tal fine non rileva la trascrizione dell’atto nei pubblici registri immobiliari, ai sensi dell’art. 2647 c.c., che costituisce mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile (dalla cui data, appunto, deve farsi decorrere il termine di prescrizione di cinque anni).

Una volta che si è adempiuto a tale formalità, per l’estinzione del fondo vale esclusivamente il disposto di cui all’art. 171 del c.c., in forza del quale il fondo si estingue, e dunque il vincolo cessa, con l’annullamento, lo scioglimento o con la cessazione degli effetti civili del matrimonio (non con la separazione personale). Soltanto in questi casi il fondo patrimoniale cessa di esistere perché viene meno il principio dell’unità familiare, salvo che vi siano figli minori, nel qual caso il vincolo rimane in vita fino a che l’ultimo dei figli diventa maggiorenne (in quest’ultimo caso il Giudice potrà adottare, su istanza di chi vi abbia interesse, norme per l’amministrazione del fondo e potrà attribuire ai figli, considerate le loro condizioni economiche, quelle dei genitori ed ogni altra circostanza, una quota dei beni del fondo, in godimento od in proprietà).

Chiaramente è bene tenere conto del fatto che, in quanto strumento che riduce la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti, la prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c. non può che gravare su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, dovendosi a tal fine proporre opposizione ex art. 615 del c.p.c. per contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente.
Nel corso di tale giudizio il debitore opponente sarà tenuto a dimostrare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità al creditore procedente, ma anche che il suo debito verso quest’ultimo è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
In particolare, secondo Cass. civ. sent. n. 2904/2021, le obbligazioni concernenti l’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale risultano, di norma, avere un’inerenza diretta ed immediata con le esigenze dell’attività imprenditoriale o professionale, potendo assolvere solo indirettamente e mediatamente al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, se e nella misura in cui con i proventi della propria attività professionale o imprenditoriale il coniuge, in adempimento dei propri doveri ex art. 143 del c.c., vi faccia fronte (salva prova contraria).

L’esperimento, invece, dell’azione revocatoria avverso l’atto che si ha intenzione adesso di compiere (traslativo del diritto di nuda proprietà in favore della moglie, attualmente titolare del diritto di abitazione), non potrà avere altro effetto che quello di privare quell’atto di effetti nei soli confronti del creditore vittorioso, con la conseguenza che diverrebbe aggredibile da parte di quest’ultimo il solo diritto che ne ha costituito oggetto, ovvero il diritto di nuda proprietà.


Karim H. chiede
mercoledì 11/11/2015 - Lazio
“Nell'anno 2011 una coppia di coniugi costituisce un fondo patrimoniale, ai sensi dell'art. 167 c.c., composto da un appartamento di proprietà di uno soltanto dei coniugi, destinando questo fondo patrimoniale a far fronte ai bisogni della propria famiglia di cui fa già parte un figlio nato nel 2010 e al quale successivamente si sono aggiunti altri due figli.
I coniugi convengono espressamente che l'amministrazione del fondo patrimoniale è regolata dall'art. 180 c.c. e che il bene potrà essere venduto con il solo consenso di entrambi i coniugi, senza bisogno di autorizzazione giudiziale alcuna.
Ora l'appartamento è stato messo in vendita. La mia domanda è la seguente: l'eventuale acquirente dell'appartamento che costituisce il fondo patrimoniale in che misura è garantito da quanto dispone in materia l'art. 169 c.c.? A me sembra che questo articolo si presti ad una interpretazione della giurisprudenza che pone come prevalenti gli interessi dei figli minori e quindi sentenzia che:
A. il bene non può essere venduto
B. può essere venduto solo con sentenza del giudice.
Chiedo il Vostro parere al riguardo.

Secondo quesito, in riferimento al quesito sull'art. 169 c.c., relativo alla possibilità di vendita di beni vincolati ad un fondo patrimoniale: vista la situazione sopra descritta, è possibile, per chi ha sottoscritto una proposta irrevocabile di acquisto nell'ignoranza del vincolo di cui sopra, recedere per giusta causa con diritto alla restituzione della caparra anticipata? Il venditore, nell'accettare la proposta di acquisto, dichiarava l'assenza di "iscrizioni e/o trascrizioni pregiudizievoli, oneri reali, vincoli e gravami di qualsiasi specie, privilegi anche fiscali ed ipoteche, ad eccezione di nulla" e solo successivamente ha informato il proponente all'acquisto dell'esistenza del fondo patrimoniale. Vorrei il Vostro parere anche su
questo aspetto della questione.”
Consulenza legale i 16/11/2015
Il quesito è molto interessante e il tema posto è stato affrontato sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina.
La domanda, in altri termini, è la seguente: l'art. 169 c.c. impone in ogni caso che, in presenza di figli minori, la vendita dei beni costituiti in fondo patrimoniale debba essere autorizzata dal giudice, oppure l'atto di costituzione consente di "aggirare" l'obbligo di questa autorizzazione?

Posto che, qualora l'atto costitutivo taccia, ai fini dell'alienazione è necessario il consenso di entrambi i coniugi ed altresì l'autorizzazione del giudice (concessa solo nei casi di necessità o utilità evidente) quando vi siano figli minorenni, è opinione maggioritaria della giurisprudenza di merito e di consistente parte della dottrina che tali presupposti possano essere superati da un atto costitutivo che espressamente escluda la necessità di autorizzazione giudiziale, anche in presenza di minori.
In tal senso leggiamo la sentenza del Tribunale di Milano, 29.4.2010: "In materia di fondo patrimoniale, la clausola contenuta nell'atto costitutivo alla cui stregua i coniugi convengono che i beni appartenenti al fondo stesso potranno essere alienati, ipotecati o comunque vincolati sulla base del loro mero consenso, pur in presenza di figli minori, rende superflua ogni autorizzazione giudiziale" (v. anche Trib. Verona, 30.5.2000).
Questo orientamento dà enorme importanza al dato letterale della norma e all'inciso 'Se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione', che - in effetti - appare come locuzione piuttosto chiara.
Anche sul piano storico questo orientamento appare fondato, in quanto la norma in esame ha riformato il sistema precedente, improntato ad un'ottica di sostanziale immobilità del patrimonio familiare, in base al quale l'alienazione del beni era sempre soggetta all’autorizzazione giudiziale, anche in assenza di figli minori. E' apparsa, quindi, intenzione del legislatore quella di rendere più flessibile il meccanismo previgente in sintonia con la mutata struttura dell’istituto.

Di recente, la Corte di Cassazione, decidendo in merito al diverso caso della possibilità di scioglimento del fondo patrimoniale in base al solo consenso dei coniugi (questione controversa perché la legge non è esplicita sul punto) ha indirettamente ammesso, operando un parallelo con l'art. 169 c.c., che in caso di alienazione di beni del fondo la legge prevede invece la derogabilità della norma relativa all'autorizzazione del giudice in presenza di minori (cfr. Cass. civ., 8.8.2014, n. 17811: "L'ipotesi della alienazione dei beni del fondo patrimoniale va tenuta distinta rispetto alla cessazione dello stesso che ne determina l'estinzione [...] In presenza di figli minori, va ravvisata in capo a questi ultimi una posizione giuridica tutelata in ordine agli atti di disposizione del fondo" ... "Deve essere riconosciuta l’astratta configurabilità di uno specifico interesse dei figli ad interloquire sulle opzioni operative effettuate dai titolari del diritto di proprietà dei beni facenti parte del fondo, atteso che per i componenti del nucleo familiare non è irrilevante la consistenza del patrimonio istituzionalmente destinato all'esclusivo soddisfacimento dei relativi bisogni. Non incide infine sulla detta conclusione né la natura gratuita del conferimento né la facoltà, espressamente riconosciuta ai coniugi dal legislatore, di derogare convenzionalmente alla previsione del divieto di alienazione dei beni del fondo, disposta in via generale (art. 169 c.c., comma 1)").

Tornando al caso in esame, pertanto, se l'atto costitutivo del fondo ha espressamente previsto, anche in presenza di figli minori, la non necessità dell'autorizzazione giudiziale, si ritiene che tale clausola possa derogare alla regola generale che, invece, tale autorizzazione richiede.

In relazione alla seconda domanda proposta - anche ammesso che l'alienazione dell'immobile debba previamente essere sottoposta all'autorizzazione giudiziale - nell'espressione utilizzata ("iscrizioni e/o trascrizioni pregiudizievoli, oneri reali, vincoli e gravami di qualsiasi specie, privilegi anche fiscali ed ipoteche, ad eccezione di nulla") si ravvisa la possibilità di ricomprendervi un vincolo derivante dall'appartenenza dell'immobile al fondo patrimoniale.
Più precisamente, ci sembra che il promittente venditore abbia assunto l'obbligazione di trasmettere al promissario acquirente un bene libero da qualsiasi vincolo o gravame, con ciò assumendo l'obbligo di ottenere ogni necessaria autorizzazione al fine di poter validamente alienare l'immobile.
Ci troviamo sul piano dell'adempimento del contratto: se il venditore non sarà in grado di eseguire le obbligazioni assunte, compresa quella di essere autorizzato alla vendita dal giudice, egli diventerà gravemente inadempiente e il contratto preliminare potrà essere risolto ai sensi dell'art. 1453 del c.c. (per un caso simile, vedi Corte d'appello di Catania, 3 maggio 2007).

Non ci sembra applicabile al caso di specie, invece, l'art. 1482 del c.c., che prevede la possibilità di sospendere il pagamento del prezzo ed ottenere anche la risoluzione del contratto (se trascorso un certo termine fissato dal giudice il bene non è liberato), perché la norma trova applicazione per le sole garanzie reali (pegno e ipoteca) e vincoli derivanti da pignoramenti o sequestri, non dichiarati dal venditore al compratore.

Su altro piano, potremmo ravvisare una scorrettezza e un difetto nell'obbligo di comportarsi secondo buona fede (artt. 1175 e 1337 c.c.) durante le trattative per la conclusione del contratto preliminare. La circostanza di aver taciuto la presenza del vincolo derivante dal fondo patrimoniale - dal momento che esso è potenzialmente un ostacolo all'alienzione, qualora non si ottenga l'autorizzazione giudiziale alla vendita - può assumere rilievo come omissione del dovere precontrattuale di informazione della controparte. Il rimedio previsto è il risarcimento del danno, in particolare del cosiddetto "interesse negativo", che comprende le spese inutilmente sostenute in relazione alle trattative e le eventuali perdite (documentabili) sofferte per non aver potuto usufruire di altre vantaggiose occasioni. Poiché, però, nel nostro caso il contratto preliminare è già stato concluso, tale risarcimento del danno potrà ottenersi nell'ambito del più generale risarcimento dovuto in caso di risoluzione del contratto per inadempimento.

Non ci appare invocabile, invece, allo stato attuale, un recesso per giusta causa con restituzione del doppio della caparra, perché l'inadempimento richiesto ai fini di attivare questo rimedio è lo stesso domandato per ottenere la risoluzione (adempimento di non scarsa importanza, v. art. 1455 del c.c.). Quando e se il promittente venditore non risulterà in grado di vendere l'immobile per la carenza dell'autorizzazione giudiziale, venendo meno alle obbligazioni contrattualmente assunte, allora il promissario acquirente potrà, a sua scelta, decidere di recedere dal contratto ai sensi dell'art. 1385 del c.c. oppure di chiedere la risoluzione del preliminare.