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Diverbio tra conducenti: quando si può parlare di "particolare tenuità del fatto"?

Diverbio tra conducenti: quando si può parlare di "particolare tenuità del fatto"?
La Corte di Cassazione ha precisato che l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48352 del 20 ottobre 2017, si è occupato di un interessante caso di “violenza privata” (art. 610 c.p.), commesso nell’ambito della circolazione stradale.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, il Tribunale di Padova aveva dichiarato “non doversi procedere” nei confronti di un imputato, che era stato accusato del reato di “violenza privata”.

Secondo il Tribunale, infatti, l’imputato non poteva essere considerato colpevole, in ragione della “particolare tenuità del fatto” (art. 131 bis.

Nello specifico, i fatti di causa si riferivano ad un “diverbio” che si era verificato tra due conducenti, “per questioni di circolazione stradale”.

In particolare, l’imputato aveva tagliato la strada ad un’altra vettura ed era, poi, “sceso dalla propria auto ed aveva sferrato un calcio su uno specchietto retrovisore del mezzo della controparte, rompendolo”.

Ebbene, secondo il Tribunale, era sicuramente innegabile “la tenuità dell'offesa” e l’imputato era incensurato, con la conseguenza che doveva applicarsi la causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis c.p.

Il Pubblico Ministero, ritenendo la decisione ingiusta, aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, infatti, erano state “ingiustificatamente sottovalutate le modalità della condotta”, che si era concretizzata “in un crescendo di azioni aggressive, intimidatorie e violente”.

Evidenziava il Pubblico Ministero, in proposito, che l’imputato aveva “sfogato la propria incontrollabile rabbia sferrando un violento calcio allo specchietto retrovisore esterno destro della vettura, spaccandolo”, essendo, dunque, “intuibile il terrore che tali gesti, potenziale premessa di altre ben più gravi violenze” dovevano aver provocato nei tre bambini che erano a bordo della vettura dell’altro conducente.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al Pubblico Ministero, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.

Precisava la Cassazione, infatti, che l’art. 131 bis c.p. stabilisce che la punibilità della condottaè esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo (…), l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.

Rilevava la Cassazione, tuttavia, che “l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità (...) quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa, ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”.

Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione evidenziava come l’imputato si fosse reso “protagonista di prevaricazioni gratuite ed obiettivamente gravi, sia per l'estrema banalità delle ragioni del dissidio con il soggetto passivo (occasionato da questioni di viabilità), sia per il protrarsi del comportamento aggressivo (iniziato già quando l'imputato si trovava alla guida dell'auto), sia infine per avere egli insistito nel medesimo atteggiamento pur al cospetto della moglie e dei figli minori del querelante”.

Secondo la Cassazione, dunque, il Tribunale avrebbe dovuto tenere in considerazione questi elementi, cosa che, invece, non era stata fatta.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal Pubblico Ministero, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, trasmettendo gli atti al Tribunale di Padova, affinché questi condannasse l’imputato per il reato di cui all’art. 610 c.p.


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