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Il danno non patrimoniale per la perdita di un animale non è risarcibile

Il danno non patrimoniale per la perdita di un animale non è risarcibile
Il risarcimento per la perdita di un animale di affezione dovuta a fatto illecito altrui attiene solo al profilo patrimoniale e non anche a quello non patrimoniale.
Il caso in questione ha ad oggetto le conseguenze risarcitorie derivanti dalla morte di una cagna di razza gravida di sei cuccioli, avvenuta a causa dell’ingerimento di materiali non commestibili e dei successivi interventi veterinari.
L’animale, dopo aver ingerito dei brandelli di coperta ed una noce, presentava chiari problemi di salute e perciò era stata portato in una clinica veterinaria dal padrone. Lì il veterinario aveva provveduto ad effettuare gli esami del sangue ed un’ecografia, concludendo che sia esofago che intestino erano liberi da ostruzioni e sconsigliando la radiografia, visto lo stato di gravidanza della cagna.
Non essendoci stati dei miglioramenti, nel pomeriggio il padrone decideva di recarsi nuovamente alla clinica, dove un altro medico provvedeva ad effettuare la radiografia e ad estrarre la noce dall’intestino, senza però rimuovere la zona necrotica in prossimità del taglio chirurgico. Nonostante l’intervento, però, non vi erano stati miglioramenti e l’animale moriva poche ore dopo.
Il proprietario del cane chiedeva perciò il risarcimento per i danni subiti a causa del decesso dell'animale, sia quelli patrimoniali (tra cui il valore economico del cane di razza, il denaro impiegato per i corsi di addestramento, il mancato guadagno per l’imminente cucciolata e per le possibili future), che quelli non patrimoniali, come la depressione, in quanto “attraverso la cura dell'animale, realizzava la propria esistenza e la propria personalità”.
I medici, d’altra parte, sostenevano di aver operato con diligenza e che la morte del cane fosse invece imputabile al padrone, in quanto quest’ultimo aveva omesso di vigilare correttamente sull’animale e di riferire poi le informazioni necessarie per una corretta diagnosi.
Il Tribunale di Rieti, con sentenza n. 347/2019, ha accolto la domanda risarcitoria sotto il profilo patrimoniale, in quanto l’attore aveva correttamente dimostrato l’errore nella prestazione professionale, il danno e il nesso di causalità. Allo stesso tempo, però, il giudice ha riscontrato anche la rilevanza causale della condotta omissiva del proprietario, riducendo così la quantificazione della somma da questi richiesta a titolo di risarcimento.
Il giudice ha invece respinto la richiesta di danno non patrimoniale, affermando che non è riconducibile “ad alcuna categoria di danno non patrimoniale risarcibile la perdita, a seguito di un fatto illecito, di un animale di affezione, in quanto essa non è qualificabile come danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente tutelata”. Infatti, il ristoro del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. è dovuto solo nel caso di lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti, tra cui sono ricompresi solamente quei diritti “rientranti nel nucleo primigenio della tutela della persona, inalienabili e incoercibili” e tra i quali non può dirsi ricompresa l'affezione per un animale di compagnia.
Dunque, la perdita di un animale avvenuta a seguito di un fatto illecito può portare solamente al risarcimento del danno patrimoniale, da quantificare in base a una serie di parametri di tipo economico (il valore di mercato dell'animale o il suo eventuale stato di gravidanza); ma non può comportare in alcun caso un risarcimento di tipo non patrimoniale.


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