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Il danno non discende automaticamente dalla violazione di un dovere

Il danno non discende automaticamente dalla violazione di un dovere
Secondo la Cassazione, colui che avanza una domanda risarcitoria non può limitarsi ad evidenziare la condotta colpevole della controparte ma deve descrivere le lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5590 del 22 marzo 2016, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di risarcimento del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.).

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Napoli aveva confermato la sentenza di primo grado, con la quale era stata rigettata la richiesta di risarcimento dei danni non patrimoniali, che un lavoratore (autista di mezzi pubblici) aveva affermato di aver subito a causa della “usura psicofisica e/o da stress lavorativo, per la mancata fruizione di soste durante la conduzione di automezzi adibiti al trasporto pubblico di persone su tratte urbane ed extraurbane”.

Secondo la Corte d’appello, in particolare, la richiesta risarcitoria non poteva essere accolta, in quanto il lavoratore non avrebbe adeguatamente provato il danno derivato dal mancato rispetto dell’obbligo del datore di lavoro “di concedere soste di 15 minuti o più tra una corsa e l’altra nell’ambito del turno di lavoro”.

Il lavoratore, infatti, non avrebbe indicato con la dovuta chiarezza “la natura e gli elementi specifici del pregiudizio subito”.

Il lavoratore, ritenendo la decisione ingiusta, decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il ricorrente, in particolare, la Corte d’appello avrebbe dovuto accogliere la sua richiesta risarcitoria, in quanto il danno non patrimoniale può essere riconosciuto anche “sulla base della pura e semplice allegazione ogni qual volta la sua concreta esistenza sia agevolmente desumibile da massime di comune esperienza o da presunzioni semplici”, senza che sia necessario che il danneggiato indichi con precisione “in quale forma particolare di sofferenza si sia concretato il pregiudizio”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al lavoratore, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Osservava la Cassazione, infatti, la Corte d’appello aveva, del tutto adeguatamente, motivato la propria decisione di rigettare la richiesta risarcitoria, avendo la stessa rilevato che il lamentato danno subito non risultava essere stato provato.

Precisava la Cassazione, in proposito, che “la violazione di un dovere non equivale a danno e questo non discende automaticamente dalla violazione del dovere”.

Secondo la Cassazione, infatti, ai fini del risarcimento del danno, occorre individuare quale sia stato l’effetto di una determinata violazione, in modo da poter verificare se si sia, effettivamente configurato un danno e procedere, poi, alla relativa liquidazione.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, colui che avanza una domanda risarcitoria non può limitarsi ad evidenziare la condotta colpevole della controparte ma deve “includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l’attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal lavoratore, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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