Versamenti sospetti: cosa succede se non sono giustificati
Secondo l’art. 32 delle disp. risc. imp. redditi, ogni movimento sul conto bancario, sia in entrata (bonifici o versamenti di contanti) sia in uscita (prelievi) può essere ritenuto fiscalmente rilevante (e quindi imponibile), salvo che il contribuente non dimostri il contrario. Tuttavia, al riguardo è necessaria una precisazione: la giurisprudenza di merito e la Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. sent. n. 228/2014) hanno chiarito che la presunzione di evasione fiscale relativa ai prelievi vale solo nei confronti degli imprenditori. Pertanto, non sono ad essa soggetti lavoratori dipendenti, pensionati, disoccupati, titolari di partita IVA e professionisti.
Ad ogni modo, la possibilità da parte del Fisco di “presumere” un’evasione gli fornisce uno strumento di controllo piuttosto potente.
L’obbligo di giustificazione degli accrediti vale per tutti: anche i privati cittadini possono essere chiamati a documentare la provenienza delle somme accreditate, a meno che non siano in grado di fornire documentazione idonea.
Il principio della “presunzione legale”
Nel sistema tributario italiano, la “presunzione legale” esonera il Fisco dal dover dimostrare che certe entrate costituiscano reddito. Spetta, invece, al contribuente fornire la prova che le somme incassate non sono imponibili o che sono state già tassate. Si tratta dunque di una presunzione relativa, in quanto contrastabile, da parte del contribuente, mediante prova contraria. Questo meccanismo ribalta l’onere della prova e rende fondamentale una tracciabilità precisa dei flussi in entrata.
Come dimostrare che un bonifico non è reddito
Non basta, dunque, dichiarare che una somma ricevuta non rappresenta un compenso: il contribuente deve fornire prove concrete e puntuali. Le giustificazioni generiche, infatti, non sono ammesse. Tra gli atti più efficaci per dimostrare la natura non imponibile delle somme ricevute rientrano:
- prestiti tra privati: contratto con data certa e tracciabilità del precedente esborso;
- donazioni: documenti che attestino la liberalità, con eventuale registrazione se di valore rilevante;
- risarcimenti danni: sentenza o accordo che ha disposto il pagamento;
- vendite tra privati: dichiarazione scritta con corrispondenza e tracciabilità del pagamento;
- rimborsi spese: nota spese e prova dell’anticipo;
- vincite tassate alla fonte: ricevuta del premio con ritenuta fiscale già applicata.
Cosa rischia chi non fornisce prove adeguate
Se non riesci a giustificare gli accrediti sul conto, l’Agenzia delle Entrate può:
- tassare gli importi ricevuti come redditi non dichiarati;
- applicare sanzioni per dichiarazione omessa o infedele;
- richiedere il pagamento di interessi sulle imposte dovute.
Attenzione ai conti e investimenti fuori Italia
Le attività finanziarie detenute all’estero in Paesi a fiscalità agevolata possono far scattare un’ulteriore presunzione legale di evasione. La normativa (art. 12 del D.L. 78/2009) prevede che il possesso di asset o investimenti finanziari all’estero, detenuti in giurisdizioni incluse nelle “black list” ministeriali (i cc.dd. paradisi fiscali), non dichiarati nel Quadro RW della dichiarazione dei redditi, si presume costituisca il frutto di redditi mai dichiarati in Italia.
Quali Paesi sono considerati “a rischio”
Le giurisdizioni considerate paradisi fiscali sono elencate nei Decreti del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 4 maggio 1999 e del 21 novembre 2001. Anche se, in seguito, questi Paesi hanno siglato accordi di collaborazione con l’Italia, la presunzione continua a operare. È un criterio ampio, voluto dal legislatore per scoraggiare la detenzione occulta di capitali all’estero.
Quadro RW: un obbligo che non si può ignorare
Il monitoraggio fiscale degli asset esteri è regolato dall’art. 4 del D.L. 167/1990. Chiunque risieda fiscalmente in Italia – persona fisica, ente o società semplice – deve dichiarare gli investimenti esteri posseduti, anche se non producono reddito. L’omissione non solo comporta sanzioni pecuniarie, ma innesca anche la presunzione di evasione se i beni sono localizzati in paradisi fiscali.
Come difendersi dalla presunzione di evasione
Anche la presunzione per investimenti esteri è “relativa”. Il contribuente può difendersi dimostrando:
- la provenienza da redditi regolarmente dichiarati;
- l’origine da eredità o donazioni già tassate;
- l’esistenza di fonti lecite documentate.