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Conferimento dell’incarico all’avvocato: profili probatori

Conferimento dell’incarico all’avvocato: profili probatori
È l’avvocato a dover provare l’incarico professionale in caso di contestazione del mandato.
È noto che il cliente è sempre obbligato a pagare l’onorario al difensore, a prescindere da quanto il giudice abbia deciso con riferimento alle spese di giudizio. Ma, se il cliente convenuto in giudizio eccepisce di non aver mai conferito l’incarico al professionista, a chi spetta l’onere della prova?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 36336 del 23 novembre 2021, ha affrontato proprio la questione della ripartizione dell’onere della prova nelle controversie relative alla liquidazione del compenso all’avvocato. Sul punto, precisamente, la Corte ha ritenuto che, nel caso in cui il soggetto a cui è richiesto il pagamento del compenso contesti il mandato professionale, l’onere di provare il conferimento dell’incarico spetta al professionista.

La vicenda giusta al vaglio della Suprema Corte, in particolare, riguardava la domanda proposta da un avvocato al Tribunale di Lecce relativa alla liquidazione del compenso a lui spettante in relazione all'attività professionale svolta in favore di un architetto consistita nella redazione di tre contratti di appalto. Il convenuto aveva chiesto il rigetto della domanda, eccependo di non aver conferito nessun incarico all'attore e di aver fatto redigere i contratti da un altro legale.
Il Tribunale aveva poi accolto parzialmente la domanda e liquidato in parte i compensi richiesti, ritenendo che i documenti, per quanto redatti da un altro professionista, erano effettivamente stati oggetto di revisione da parte dell'attore.
Tale ordinanza era dunque stata impugnata dall'architetto, dolendosi - limitatamente a quanto qui di interesse - del fatto che il Tribunale non si fosse pronunciato sull'eccezione con cui il ricorrente aveva sostenuto di non aver conferito alcun incarico all'avvocato. Ebbene, tale censura è stata ritenuta fondata dalla Cassazione.

Va infatti tenuto in considerazione, ricorda la Suprema Corte, che:
- il contratto d’opera professionale ex art. 2222 c.c. costituisce il titolo costitutivo del diritto al compenso;
- l’esecuzione di tale contratto da parte dell’avvocato presuppone logicamente il conferimento dell’incarico da parte del cliente in una forma tale da far emergere in modo inequivoco la volontà del cliente di avvalersi dell’opera di quel professionista.
La Cassazione, in ossequio ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, reputa quindi operante la regola generale di cui all’art. 2697 c.c., secondo cui chi intende far valere un diritto in giudizio (l’avvocato) deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (il conferimento dell’incarico).

Ciò posto, è possibile operare conclusivamente altre due importanti precisazioni:
  1. che tale prova può essere fornita con ogni mezzo istruttorio, compresa la prova per presunzioni, fermo il vaglio del giudice di merito sull’idoneità degli elementi nel complesso prodotti a costituire una prova presuntiva;
  2. che la prova del conferimento dell’incarico non può essere fornita mediante la produzione in giudizio della procura alle liti: quest’ultima, infatti, può essere rilasciata anche da un terzo poiché consiste in un mero presupposto per il compimento dell’attività processuale, che può essere svolta anche nell’interesse di un soggetto diverso dal cliente. Il cliente, tenuto al pagamento del compenso, è invece il soggetto che ha richiesto la prestazione della sua opera professionale conferendo al professionista il mandato professionale.


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