Il caso: domande regolari, ma nessuna risposta per 13 anni
Nel 2004, un privato aveva presentato 32 istanze di regolarizzazione per 32 box auto, realizzati nel 2000 e indicati come pertinenze di abitazioni. La documentazione era completa: ricevute di pagamento, progetti tecnici, autodichiarazioni, accatastamenti. Dopo alcune richieste di integrazione, prontamente soddisfatte, il Comune ha smesso di rispondere.
Poi, a distanza di oltre tredici anni, il colpo di scena: tutte le domande respinte. La motivazione? Secondo l’Amministrazione non si sarebbe formato alcun silenzio-assenso per carenze documentali e i box, in quanto costruzioni non residenziali, non rientrerebbero tra gli interventi condonabili previsti dalla legge.
In un primo momento, il TAR ha condiviso questa lettura, ma dal Consiglio di Stato è arrivata la smentita.
Silenzio che vale come approvazione
I giudici di Palazzo Spada hanno in primo luogo richiamato la previsione di cui all’art. 35 l. n. 47/1985, la quale prevede che, dopo 24 mesi dalla domanda del privato, l’Amministrazione perde il potere di intervenire e il silenzio si trasforma in assenso, produttivo di effetti reali. Secondo i giudici, ciò si verifica anche se, in astratto, l’opera non sarebbe compatibile con le norme sul condono.
Il titolo edilizio si consolida, anche se l’opera non è sanabile
Il Consiglio di Stato ha affermato che non è rilevante che i box auto non avessero le caratteristiche per rientrare tra le opere sanabili. Il punto centrale è che il Comune ha avuto tutto il tempo per esprimersi e non lo ha fatto. E, quando la P.A. non rispetta i termini previsti, perde il potere di intervenire, con conseguente perfezionamento del titolo e stabilità giuridica degli effetti per il cittadino.
La formazione del titolo abilitativo, anche se tacita, produce un assetto di interessi che non può essere modificato arbitrariamente o a distanza di anni. Il rispetto dei tempi, infatti, è parte essenziale del corretto funzionamento dell’amministrazione.
Annullare tutto dopo anni? Non si può
L’unica strada per intervenire, una volta formato il titolo, è l’autotutela, ma anche questa ha dei limiti chiari. L’art. 21 nonies della legge sul proc. amministrativo, infatti, impone un termine massimo di 18 mesi per annullare provvedimenti ritenuti illegittimi.
Nel caso esaminato, il Comune è tornato sulla questione oltre sei anni dopo la scadenza del termine, senza dimostrare la sussistenza di gravi motivi di interesse pubblico, né irregolarità gravi. Un intervento simile è stato ritenuto del tutto illegittimo: troppo tardi, senza valide ragioni e in violazione del principio di affidamento del cittadino.