Una recente decisione del Tribunale di Massa - la n. 432 dello scorso 4 agosto - scuote il mondo della gestione amministrativa e contabile dei condomini, toccando uno dei punti più controversi e delle aree più "grigie" del diritto condominiale: il compenso dell'amministratore, quando il suo mandato sia ormai terminato.
Ribadendo che la forma è sostanza soprattutto quando si tratta di incarichi che comportano responsabilità gestionali e patrimoniali, la decisione si inserisce nel panorama giurisprudenziale non soltanto come un semplice intervento chiarificatore e risolutore di un caso concreto, ma - anche e soprattutto - come monito mirato ad arginare la discutibile consuetudine dei rinnovi taciti e delle gestioni "in proroga" protratte per anni, legate alla scarsa conoscenza dei condomini in merito alle regole dell'amministrazione di un palazzo.
Il messaggio dato dai giudici toscani è preciso: alla scadenza del mandato, se non vi è un rinnovo formale, l'amministratore - in linea generale - non ha diritto ad alcun compenso. Si tratta di una posizione che costringe proprietari di appartamenti e amministratori a una maggiore disciplina e trasparenza e a fare molta attenzione a quanto previsto dall'art. 1129 del c.c., il quale - tra le varie disposizioni relative agli obblighi di tale figura professionale - regola la durata dell'incarico, pari a un anno con rinnovo automatico di una sola volta, per un altro anno (salva revoca o dimissioni). L'1+1 impone all'amministratore il passaggio per una nuova delibera assembleare che disponga un'eventuale riconferma, altrimenti l'incarico dovrà intendersi non rinnovato e scadrà.
Il punto chiave è il seguente: che cosa succede se l'assemblea non si riunisce o non delibera nulla? Il tribunale di Massa ha spiegato che l'amministratore:
Ribadendo che la forma è sostanza soprattutto quando si tratta di incarichi che comportano responsabilità gestionali e patrimoniali, la decisione si inserisce nel panorama giurisprudenziale non soltanto come un semplice intervento chiarificatore e risolutore di un caso concreto, ma - anche e soprattutto - come monito mirato ad arginare la discutibile consuetudine dei rinnovi taciti e delle gestioni "in proroga" protratte per anni, legate alla scarsa conoscenza dei condomini in merito alle regole dell'amministrazione di un palazzo.
Il messaggio dato dai giudici toscani è preciso: alla scadenza del mandato, se non vi è un rinnovo formale, l'amministratore - in linea generale - non ha diritto ad alcun compenso. Si tratta di una posizione che costringe proprietari di appartamenti e amministratori a una maggiore disciplina e trasparenza e a fare molta attenzione a quanto previsto dall'art. 1129 del c.c., il quale - tra le varie disposizioni relative agli obblighi di tale figura professionale - regola la durata dell'incarico, pari a un anno con rinnovo automatico di una sola volta, per un altro anno (salva revoca o dimissioni). L'1+1 impone all'amministratore il passaggio per una nuova delibera assembleare che disponga un'eventuale riconferma, altrimenti l'incarico dovrà intendersi non rinnovato e scadrà.
Il punto chiave è il seguente: che cosa succede se l'assemblea non si riunisce o non delibera nulla? Il tribunale di Massa ha spiegato che l'amministratore:
- non decade immediatamente, ma entra in un regime particolare avente il nome di "prorogatio imperii", mirato ad assicurare la continuità della gestione fino alla nomina di un successore;
- ha poteri fortemente limitati, perché può compiere esclusivamente atti urgenti e conservativi, indispensabili per evitare danni alle parti comuni (ad esempio un intervento urgente su una perdita d'acqua o la riparazione dell'ascensore o del portone condominiale). Ma non può, invece, gestire la normale amministrazione né assumere decisioni di ordinaria gestione economica.
Secondo una prassi diffusa, ma non aderente appieno al dettato della legge, in molti condomini si ignora questa distinzione e sono tantissimi quelli che continuano a considerare "in carica" l'amministratore anche dopo anni, esponendosi a consistenti rischi legali ed economici. Infatti, gli atti ordinari compiuti senza un mandato valido possono essere contestati o addirittura invalidati. Insomma, c'è una consuetudine errata - e alimentata dagli amministratori non trasparenti, che non informano adeguatamente i condomini sul fatto che, trascorso il biennio, il loro incarico diventa privo di base formale - per cui si tende, quindi, a ritenere che il professionista resti in carica "fino a revoca", e che l'approvazione dei bilanci equivalga a una sorta di riconferma implicita. Ma così non è.
In una linea di coerenza, la decisione n. 4342 del tribunale di Massa chiarisce così che l'amministratore in proroga non ha diritto al compenso e non può pretenderlo, perché il diritto all'onorario scatta soltanto all'esistenza di un mandato valido ed efficace. Non solo. Il giudice ha parallelamente escluso che l'eventuale approvazione dei bilanci contenenti la voce relativa al compenso possa riparare alla mancanza di un anteriore ed esplicito rinnovo formale. Il principio giuridico è palese: la volontà dell'assemblea non può derogare a una norma imperativa del Codice Civile e, conseguentemente, la mancanza di un incarico regolarmente deliberato rende illegittimo ogni pagamento per attività ordinarie. Il solo diritto che resta in capo all'amministratore è quello di ottenere il rimborso delle spese documentate e necessarie, per gli atti urgenti o conservativi compiuti nel periodo di proroga.
In riferimento ai compensi per le attività supplementari, come l'invio delle certificazioni uniche o la compilazione del modello 770, la magistratura applica lo stesso principio di trasparenza: anche queste prestazioni possono essere legittimamente retribuite ed entrare nell'onorario, a condizione che siano previste da un accordo scritto e specifico al momento del conferimento o del rinnovo formale dell'incarico. In altre parole, non basta che il professionista le svolga e poi le inserisca in fattura, confidando nel pagamento di condomini non sufficientemente informati: senza una pattuizione preventiva e dettagliata, la richiesta di pagamento è inefficace. Al tempo stesso, il tribunale raccomanda ai condomini di leggere con attenzione le voci del contratto, per evitare spese non dovute o non concordate.
Concludendo, a seguito di questa decisione, per i condomini si apre la possibilità di contestare i compensi richiesti da amministratori rimasti in carica senza rinnovo e, nei casi più gravi, di chiedere la restituzione delle somme versate indebitamente. È preferibile - quindi - una maggiore attenzione nella gestione assembleare e nel controllo della regolarità formale degli incarichi. Per gli amministratori, invece, il rischio è ancora più rilevante: chi opera per mesi o anni confidando in un rinnovo tacito potrebbe scoprire di non avere alcun diritto al pagamento del lavoro. La decisione di Massa va interpretata, allora, come un forte incentivo a una gestione più professionale, scrupolosa e trasparente.
In una linea di coerenza, la decisione n. 4342 del tribunale di Massa chiarisce così che l'amministratore in proroga non ha diritto al compenso e non può pretenderlo, perché il diritto all'onorario scatta soltanto all'esistenza di un mandato valido ed efficace. Non solo. Il giudice ha parallelamente escluso che l'eventuale approvazione dei bilanci contenenti la voce relativa al compenso possa riparare alla mancanza di un anteriore ed esplicito rinnovo formale. Il principio giuridico è palese: la volontà dell'assemblea non può derogare a una norma imperativa del Codice Civile e, conseguentemente, la mancanza di un incarico regolarmente deliberato rende illegittimo ogni pagamento per attività ordinarie. Il solo diritto che resta in capo all'amministratore è quello di ottenere il rimborso delle spese documentate e necessarie, per gli atti urgenti o conservativi compiuti nel periodo di proroga.
In riferimento ai compensi per le attività supplementari, come l'invio delle certificazioni uniche o la compilazione del modello 770, la magistratura applica lo stesso principio di trasparenza: anche queste prestazioni possono essere legittimamente retribuite ed entrare nell'onorario, a condizione che siano previste da un accordo scritto e specifico al momento del conferimento o del rinnovo formale dell'incarico. In altre parole, non basta che il professionista le svolga e poi le inserisca in fattura, confidando nel pagamento di condomini non sufficientemente informati: senza una pattuizione preventiva e dettagliata, la richiesta di pagamento è inefficace. Al tempo stesso, il tribunale raccomanda ai condomini di leggere con attenzione le voci del contratto, per evitare spese non dovute o non concordate.
Concludendo, a seguito di questa decisione, per i condomini si apre la possibilità di contestare i compensi richiesti da amministratori rimasti in carica senza rinnovo e, nei casi più gravi, di chiedere la restituzione delle somme versate indebitamente. È preferibile - quindi - una maggiore attenzione nella gestione assembleare e nel controllo della regolarità formale degli incarichi. Per gli amministratori, invece, il rischio è ancora più rilevante: chi opera per mesi o anni confidando in un rinnovo tacito potrebbe scoprire di non avere alcun diritto al pagamento del lavoro. La decisione di Massa va interpretata, allora, come un forte incentivo a una gestione più professionale, scrupolosa e trasparente.