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Bloccare strade o ferrovie, anche in modo pacifico, da oggi diventa reato, rischi due anni di carcere: nuovo Decreto

Bloccare strade o ferrovie, anche in modo pacifico, da oggi diventa reato, rischi due anni di carcere: nuovo Decreto
Dal 5 giugno 2025 bloccare strade o ferrovie, anche in modo pacifico, diventa reato: la nuova legge prevede il carcere fino a due anni, sanzioni aggravate per proteste collettive e polemiche su diritti costituzionali e opere pubbliche
Dal 5 giugno 2025 è ufficiale: chi ferma il traffico bloccando fisicamente una strada o una ferrovia rischia il carcere. Con l’approvazione definitiva al Senato della legge di conversione del Decreto Sicurezza (D.L. n. 48/2025), l’Italia introduce una stretta significativa contro le manifestazioni che interferiscono con la circolazione pubblica.
Chi si siede o si sdraia sull’asfalto per ostacolare il transito, anche in modo pacifico e solitario, ora commette un vero e proprio reato. La pena può arrivare fino a 30 giorni di carcere o, in alternativa, consistere in una sanzione pecuniaria fino a 300 euro. Se a compiere l’azione sono più persone, la sanzione diventa molto più pesante: si rischiano fino a due anni di reclusione.

Prima dell’intervento normativo
Fino all’entrata in vigore del decreto, simili gesti di protesta erano classificati come illeciti amministrativi, con multe comprese tra 1.000 e 4.000 euro, ma senza conseguenze penali. Si trattava di sanzioni previste dal “Decreto Sicurezza” del 2018 (il c.d. “Decreto Salvini”). Episodi come quelli messi in atto dagli attivisti ambientali di “Ultima Generazione” erano frequenti, ma non comportavano arresti.

Le novità fanno discutere
Mentre la maggioranza di governo rivendica la misura come una garanzia per l’ordine pubblico e una forma di tutela per le forze dell’ordine, le opposizioni parlano apertamente di deriva autoritaria. In particolare, solleva polemiche l’estensione della sanzionabilità anche alla resistenza passiva non violenta, cioè a chi si limita a frapporre il proprio corpo senza reagire fisicamente. Per questo, diversi commentatori hanno ribattezzato la norma come “anti-Gandhi”.
L'introduzione di sanzioni penali per chi blocca una strada, anche in modo pacifico, solleva interrogativi rilevanti sul piano costituzionale. In Italia, il diritto di manifestare pacificamente è tutelato dall’art. 17 Cost., che stabilisce:
I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi.
Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.”
Questo diritto non è assoluto: può essere limitato per motivi di ordine pubblico o sicurezza, ma solo attraverso misure proporzionate, necessarie e non discriminatorie. È qui che sorgono i primi dubbi.
La nuova norma sanziona con pena detentiva fino a 30 giorni anche la resistenza passiva non violenta, come sedersi su una carreggiata in segno di protesta. Se a farlo sono più persone, la pena può salire fino a due anni di reclusione. Tali pene rappresentano una svolta punitiva significativa, soprattutto in confronto alla disciplina precedente, che prevedeva sanzioni esclusivamente amministrative.
Il rischio risiede in una potenziale violazione del principio di proporzionalità. Introdurre pene detentive per condotte non violente, che in passato non erano nemmeno classificate come reati, potrebbe eccedere l’obiettivo di tutela dell’ordine pubblico.

Focus su infrastrutture e opere pubbliche
Ulteriori inasprimenti colpiscono chi si oppone alla realizzazione di opere strategiche. Se la contestazione include minacce a pubblici ufficiali coinvolti nei lavori, scatteranno aggravanti specifiche. È il caso, ad esempio, delle mobilitazioni contro il Ponte sullo Stretto o contro i cantieri ad alta velocità, che la legge mira esplicitamente a scoraggiare.

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