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Avvocato, puoi non pagarlo se non ti informa dei rischi dell'azione legale proposta: nuova sentenza della Cassazione

Avvocato, puoi non pagarlo se non ti informa dei rischi dell'azione legale  proposta: nuova sentenza della Cassazione
La Cassazione ribadisce che l’avvocato deve informare il cliente sui rischi della causa. Il silenzio può far perdere il diritto al compenso, come nel caso di una parcella da oltre 13mila euro
Quando si affida una causa a un professionista, il cliente si aspetta competenza, impegno e, soprattutto, chiarezza. L’avvocato, in particolare, oltre a difendere il proprio assistito con diligenza, ha l’obbligo di informarlo sin dall’inizio sui reali margini di successo e sui rischi che si corrono. A ricordarlo, con una recente ordinanza, è la Corte di Cassazione, la quale ha ribadito che il silenzio sui possibili esiti negativi del giudizio può costare caro all’avvocato, fino a compromettere il diritto al compenso.

Il caso concreto: una parcella da oltre 13mila euro
La vicenda trae origine da un procedimento per una controversia in materia di donazione. L’ex cliente di un legale, dopo aver perso la causa, aveva ricevuto un’ingiunzione di pagamento per una parcella superiore a 13.000 euro. La donna decideva dunque di presentare opposizione al decreto ingiuntivo, producendo in giudizio la testimonianza dell’ex segretaria dello studio, la quale aveva confermato che il difensore non aveva informato la cliente circa la forte probabilità di un esito sfavorevole della causa.
Il Tribunale aveva riconosciuto solo in minima parte la fondatezza della contestazione, riducendo la parcella di appena 400 euro. Secondo i giudici, infatti, anche se informata, la donna avrebbe comunque agito in giudizio.

L’intervento della Cassazione: informazione mancata, compenso a rischio
Con l’ordinanza n. 25889 del 22 settembre 2025, la Cassazione ha accolto le doglianze della ricorrente. Gli Ermellini hanno evidenziato l’errore commesso dal giudice di merito, che aveva ritenuto irrilevante l’omessa informazione sul possibile esito infausto, sul presupposto che la cliente avesse comunque deciso di proporre appello contro la sentenza di primo grado.
Secondo la Cassazione, tale ragionamento non regge: la scelta di impugnare una sentenza sfavorevole non dimostra affatto che la cliente, se correttamente istruita sui rischi iniziali, avrebbe intrapreso comunque la causa. Si tratta, sottolinea la Corte, di un “dato neutro”, insufficiente a fondare una presunzione grave, precisa e concordante ai sensi dell’art. 2729 del c.c..

Il dovere di chiarezza come parametro di diligenza
L’ordinanza ribadisce che la trasparenza è parte integrante della diligenza professionale media prevista dall’art. 1176 del c.c. e dalla Legge professionale forense n. 247/2012. L’avvocato ha il dovere di illustrare i rischi e le prospettive concrete del contenzioso, permettendo così al cliente di effettuare una scelta realmente consapevole, anche sotto il profilo economico.
L’omessa informazione priva l’assistito della possibilità di valutare costi e benefici in modo equilibrato, alterando il rapporto fiduciario e incidendo direttamente sulla qualità della prestazione.

Dal ridimensionamento all’azzeramento della parcella
È chiaro quindi che, quando si dimostra che il cliente, se correttamente informato, non avrebbe conferito l’incarico, il professionista perde il diritto all’intero compenso.
Ad ogni modo, in assenza di tale elemento di prova, la mancata informazione costituisce un inadempimento di cui il giudice deve tenere conto nella liquidazione della parcella, riducendone l’importo proporzionalmente alla gravità della condotta.


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